Prologo

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A tutti coloro che perdono sé stessi,
e a tutti coloro che lottano per ritrovarsi.

Era cambiata.

Se lo ripeteva costantemente.
"Sono cambiata, sono cambiata, sono cambiata."

Prendeva un profondo respiro, l'aria che le bruciava i polmoni, e lo ripeteva di nuovo.

Lo pensava mentre era sola, seduta sul tronco d'albero nell'immenso giardino della corte, il libro aperto sulle gambe.
Lo pensava mentre camminava a fianco della Signora della città, che l'aveva accolta.
"Imprigionata" sarebbe un termine più corretto, però.
Lo pensava anche mentre sorrideva ai Fae che incontrava durante i balli e i festeggiamenti a corte.

Ed è ciò che avrebbe fatto di lì a poco, davanti alla massa di gente che si sarebbe trovata davanti.

E avrebbe sorriso, come se non vedesse l'ora di completare il suo incarico.

Un compito essenziale per la sua libertà, costretta ad eseguirlo dalla taglia che si era trovata sulla testa.

Era troppo giovane quando le fu data la possibilità di scegliere.
Era dispersa, immersa in un' oscurità talmente soffocante da non trovarne un'uscita.
Così accettò.

Ma Aileèn poteva sopportarlo.
Poteva sopportare tutto ciò che è e sarebbe successo.
Perché lei era cambiata.

Avevo deciso di lasciare il passato alle spalle, e di ricominciare la sua vita da capo.

Cercò di non irrigidirsi guardando il riflesso della corona dorata nello specchio, che risplendeva incastrata tra i suoi capelli corvini.

La corona della Corte Dorata, Orabycur.

Eppure tutta quella ricchezza stonava con ciò che lei stessa era, ciò che lei stessa si sentiva di essere.

Abbassò lo sguardo sul vestito bianco che indossava: la scollatura a cuore, con dettagli in oro, stretto sui fianchi e che scendeva morbido fino al pavimento.

Un abito di un tessuto trasparente.

Tutto ciò che la copriva, oltre a quello strato leggerissimo di tessuto, era la biancheria intima, talmente costosa da farle venire la nausea.

Un tempo indossava strati su strati di vestiti scuri.
Un tempo non si conosceva neanche il suo volto.
Un tempo si sapeva solo il suo nome.

E ora ne aveva un altro: Charlene.
Aileèn non esisteva più.
Charlene Charlene Charlene.

Charlene, la nipote ritornata dopo anni, erede al trono di Orabycur.

Detto così sembra una cosa grandiosa, il problema era un altro: l'erede non sarebbe stata lei, ma il bambino che avrebbe concepito.
Subito dopo che si sarebbe sposata con il principe di Pesythur, la Corte della Luce Lunare, unendo così le due corti.

L'obiettivo della Signora della città dell'oro - di cui è proibito sapere il nome- era quello di conquistare le altre 3 corti, puntando poi direttamente al Re Supremo.

Una mossa azzardata, ma fattibile se con un piano perfetto.
E quello, purtroppo, lo era.

Due ore dopo si trovava al fianco di Bryn, il principe della corte.
Aveva più o meno la sua stessa età, intorno ai 20 anni, e aveva tutta la bellezza che un Fae potesse avere.

Seguiva i classici standard di bellezza della sua corte : pelle talmente chiara da sembrare bianca, occhi azzurro limpido, capelli biondo cenere.
E le orecchie a punta, tipiche dei Fae.

L'aveva già conosciuto prima, e si erano visti almeno 5 volte.
Quella sarebbe stata la volta decisiva.

Infatti, stava a lui la decisione se prendere in sposa Charlene o meno.
E quella notte lei avrebbe fatto di tutto per conquistarlo.

Così, presa dall'impulso, si avvicinò a un servitore e prese due calici di vino bianco fatato, per poi offrirgliene uno.
Gli regalò il sorriso più bello che potesse sfoggiare, e lui ricambiò allo stesso modo.

<<Ti ringrazio, mia signora.>> rispose semplicemente, iniziando a gustare il vino.

<<Per lei questo ed altro>> rispose Charlene tornando al suo fianco.
Il vino le scivolò in gola, bruciandole l' esofago.
Così costoso, uno spreco di soldi.

<<Spero che il viaggio sia andato bene>> disse lui, tentando una conversazione.

Lei annuì, aggiungendo poi: <<Fortunatamente non abbiamo trovato bande o ostacoli durante il tragitto.>>.

Succedeva spesso, che le gilde illegali dei rivoluzionari sbarrassero la strada ai reali, protestando per un mondo migliore.

<<Ne sono contento>>.

Così si concluse la conversazione.
Charlene stava rigida, con la schiena dritta e le mani unite davanti, cercando disperatamente un qualcosa a cui aggrapparsi.

Non stava facendo bene il suo lavoro.

Non ebbe il coraggio di incrociare lo sguardo della Signora, seduta su uno dei due troni in fondo alla sala. Poteva immaginare il suo sguardo gelato trafiggerle i polmoni, mentre picchiettava col dito sul bracciolo del trono in legno.

Poteva sentire le sue urla, appena sarebbero tornate al palazzo.
Urla che, tuttavia, aveva imparato ad ignorare.

<<Vuole ballare?>> lo chiese lui a lei, e realizzò che forse non stesse andando poi così male.

Così ballarono tutta la sera, guardandosi negli occhi, la mano di Bryn sulla sua schiena e la mano di Charlene sulla sua spalla.
Le altre due incrociate.

Passarono la serata dicendosi parole dolci, complimenti.
Entrambi con un sorriso falso sul volto.
Perché si, anche Bryn era costretto a trovare una moglie adatta.

Lei non lo era, l'aveva capito perfettamente.
Charlene era bella, si, ma il suo sorriso era falso tanto quanto il suo.
Gli diceva parole dolci, con un tono di voce che sembrava quasi forzato.
Fingeva di essere cieco, e di non vedere le ombre che contornavano quei bellissimi occhi blu notte.

L'avrebbe sposata.
Gli sembrava la scelta migliore.

Poteva anche essere un principino viziato, ma era un brav'uomo.
Aveva capito che non avrebbe mai trovato una ragazza unica come lei.

Così il giorno dopo mandò una lettera a Orabycur, dicendo di aver accettato l'accordo.

Appena arrivò la notizia, Charlene imprecò, chiudendosi poi nella sua stanza.
Aveva completato il suo incarico, ce l'aveva fatta.

Eppure... C'erano un bel po' di cose che non andavano.
Lei non lo voleva.

Camminò avanti e indietro per la stanza per minuti, forse ore, tentando di placare la rabbia che cresceva in lei.

<<Respira, Aileèn, respira>> disse, ma quelle parole la fecero agitare ancora di più.

Non le diceva mai.
Le aveva sempre e solo pensate.

Così, in preda alla rabbia, spalancò le ante dell'armadio, per poi aprire uno scompartimento segreto sulla sinistra.
Tirò fuori un manichino, uno si quelli che si utilizzano per cucirci su gli abiti.

E poi...
Alzò il materasso del letto, scavando tra le pesanti e costose coperte.
Afferrò il pugnale dal manico a forma di lupo, uno dei pochi oggetti che le rimanevano della vecchia Aileèn.

E, senza neanche prendere la mira, lo scagliò contro il manichino, centrando il collo.

E, in quel momento, capì che non fosse cambiata per niente.

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