Due colpi. Cinque secondi. Due colpi.
Sul cuore di Simone era scolpito ormai quel ritmo. Gli risuonava nelle orecchie, nella cassa toracica, gli faceva scorrere forte il sangue nelle vene.
Due colpi. Cinque secondi. Due colpi.
Batteva all'unisono con il pensiero di quella mano che avrebbe bussato sul portone e della persona che vi si sarebbe celata dietro.
Camminava di pari passo con quel crescendo di emozioni che gli attanagliava lo stomaco: ansia, curiosità, gioia.
Simone moriva dalla voglia di conoscere quell'uomo.
Lo desiderava dal giorno in cui gli capitò di parlargli; dal giorno in cui le sue parole lo ammaliarono, intrappolandolo in una dolorosa morsa. Era come un piccolo insetto che annega in un bicchiere d'acqua e non sa come uscirne, solo che Simone non desiderava affatto scappare da quella pozza. Più si avvicinava a 'Kafka', più il desiderio di conoscerlo lo attirava in una spirale d'ignoto.
Egli sperava solo di fuggire da una realtà che lo teneva legato mani e piedi a qualcuno che mai aveva amato, ma che soprattutto non riusciva ad amare neanche volendo.
Le foto con sua moglie Monica erano state nascoste con meticolosa cura. Senza quelle cornici, le pareti sembravano vuote, eppure non gli importava più di tanto.
Qualsiasi cosa potesse anche solo indurre a pensare ad una relazione con lei aveva ricevuto il medesimo trattamento: tutto scomparso, inghiottito dal nulla; cinque anni di matrimonio svanirono in un quarto d'ora, e fu in quel momento che Simone desiderò che accadesse per davvero una cosa del genere, in maniera permanente.
Non aveva ancora ordinato da mangiare. Voleva cucinare lui, però ci avrebbe messo fin troppo tempo nel preparare ogni pietanza e ripulire tutti i piatti. Avrebbe prenotato del cibo da asporto in compagnia del maggiore, cosicché le sue preferenze nel mangiare sarebbero state tenute in considerazione.
Era tutto pronto per quella sera: i suoi abiti e i suoi capelli erano in ordine, la casa era stata tirata a lucido, i ricordi erano stati accuratamente chiusi a chiave in un cassetto.
Per una notte avrebbe finto di essere qualcuno che non era, assumendo i panni di un'identità che nella realtà non gli apparteneva.
Sarebbe stato bello continuare ad essere così oltre quel momento.
Due colpi. Cinque secondi. Due colpi.
Venne riportato alla realtà da quei tonfi, e improvvisamente fu come se una voragine si fosse appena aperta sul linoleum del pavimento. La realtà lo investì in pieno: da lì a poco avrebbe incontrato quell'uomo misterioso, 'Kafka'.
Sospirò, si sistemò nervosamente i capelli - un'abitudine che aveva sin da quando era ragazzino - e aprì la porta senza alcuna esitazione, trovandosi davanti una visione, o forse il frutto di un sogno che sarebbe svanito da lì a poco.
Due occhi scuri lo studiavano con palpabile curiosità, accompagnati da un sorriso sghembo contornato da una fossetta e della barbetta tagliata da poco, probabilmente. Era poco più basso di Simone, snello, dall'aria furba e vivace. Giurò di non aver mai visto qualcuno più attraente di lui, ma si maledì nello stesso istante in cui quel pensiero venne formulato.
"Quindi sei reale." Esordì il maggiore, accompagnando il tutto con quel suo solito sorriso a cui Simone faceva ancora fatica ad abituarsi. Era come se il semplice guardarlo lo rimescolasse da dentro, annodandogli la gola e facendogli tremare le mani.
"Pensavo che mi sarei trovato davanti un vecchio grinzoso, me stavo a cagà sotto."
"Da come parli su Twitter, non si direbbe che nella realtà hai un accento romano così marcato. Ti facevo più fine."
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Respirare piano per non far rumore
FanfictionRaccolta di OS per la socmed in corso su @TTOKYOBLUES (twitter, pinnato)