Parte 1

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"La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo."

Virginia Woolf



Giulia è ormai abituata alla morte.

Di solito si mette in disparte, sapendo che nessuno l'avrebbe notata ma temendo lo stesso di essere d'intralcio. È un vecchio vizio, che si porta dietro fin da piccola, quando ha cominciato a fare quegli strani sogni.

All'inizio, non capiva bene qual era il confine tra il sonno e la veglia. Non sapeva che anche volendo, non avrebbe potuto fare niente per fermare quello di cui era testimone.

Paralizzata, assisteva agli eventi come una spettatrice passiva.

A volte allungava le mani, quando l'irrazionalità aveva la meglio. Ma le dita sfioravano quelle dell'assassino e della vittima senza toccarle.

Finché non aveva capito che non esisteva in quella realtà. Loro erano i vivi, lei era il fantasma. Fin quando non si fosse svegliata.

Osservava quelle persone correre e inciampare, cadere, rialzarsi, singhiozzare; li guardava morire, uno ad uno.

Le smorfie sofferenti, il sangue che schizzava, l'ultimo rantolo disperato.

Ogni volta era un trauma. Ma non ha idea, davvero, di quello che si prova. A morire. A vedersi morire.

Perchè c'era sempre stata la possibilità di svegliarsi.

Spalancava le palpebre nell'oscurità della stanza; a poco a poco, riconosceva il soffitto bianco, le piccolo macchie di muffa che ogni giorno si riprometteva di pulire.

La luce entrava in rivoli biancastri dalle tapparelle abbassate. Lentamente il suo respiro tornava regolare.

"È solo un sogno", si ripeteva sottovoce.

Una piccola fitta al cuore. Era il dolore che provava nel veder morire la gente.

A volte si lasciava sfuggire una lacrima. Il sapore del sale sulle labbra le ricordava che era viva. Che era in grado di piangere, gioire. Respirare, mangiare, bere. Amare.

Il più piccolo gesto quotidiano diventava il trionfo della vita.

Anche quella notte ha fatto un sogno. Il peggiore, senza dubbio.

Aveva intuito subito che c'era qualcosa di diverso, stavolta. Forse l'aveva capito prima di addormentarsi. C'era un silenzio irreale, in casa. Non si sentiva né lo stridio delle imposte scosse dal vento, né lo sbraitare dei cani.

I vicini non avevano litigato. E non aveva sentito il bambino del piano di sotto piangere, come sempre, alla stessa ora. Il ragazzo al piano di sopra doveva essere uscito, perchè non si sentiva la solita musica provenire dalla sua finestra.

La situazione era talmente tranquilla che aveva faticato ad addormentarsi. Quel quartiere era sempre stato alquanto vivace, ed una serata così silenziosa era da tanto che doveva trascorrerla.

Scivolare nel sonno cullata dal cicaleccio, era la prassi.

Quella notte invece, c'era così tanto silenzio che credeva di essere diventata sorda. E aveva cominciato ad avere paura. Un rivoletto gelido di sudore che le si appiccicava sulla fronte. Era caldo, ma aveva tirato su le coperte fino alla gola.

Inquietudine fredda. Il sogno era arrivato all'improvviso.

Una radura, il sole che penetrava a tratti dai rami degli alberi che, in un intricato reticolo, coprivano il cielo. Un cielo che intravedeva, color rosso sangue. Ancora il tramonto, ancora il bosco dei morti.

Si era incamminata, guardinga. Sapeva che presto avrebbe capito.

Un'altra morte. Un altro caso da risolvere.

Ma stavolta sentiva un groppo in gola che non la faceva respirare.

I suoi passi su un tappeto di foglie secche, che scricchiolavano come ossa.

E poi una lapide bianca. Fiori appassiti posati su di essa che nascondevano l'incisione. Col respiro affannato, li aveva scostati, aspettandosi l'ennesimo nome sconosciuto. Un'altra vittima innocente, che come al solito non avrebbe potuto salvare. In tutti quegli anni, aveva cercato di fare giustizia, ma solo in quell momento si era chiesta se fosse servito davvero.

Non aveva mai potuto fermare gli omicidi a cui assisteva nei sogni. Perché quello che vedeva era sempre passato. L'unica cosa utile che poteva fare per la gente che guardava morire impotente, era indagare, attraverso gli indizi che raccoglieva nei sogni, sui motivi della loro fine. A volte riusciva persino a scorgere la faccia dell'assassino. Altre, il caso era un po' più difficile. Ma non si era mai data per vinta. E lo faceva per loro. Per le vittime. Perché era convinta che mettere in prigione il colpevole fosse ciò che avrebbero voluto.

Ma quella notte, quando aveva letto il suo stesso nome sulla lapide, si era chiesta se in tutti quegli anni, non avresse fatto altro che inseguire fantasmi.

Un battito di ciglia, e lo scenario era cambiato. Si era ritrovata di nuovo in camera sua. Quella stessa stanza immersa nella penombra, così come l'aveva lasciata quando aveva chiuso gli occhi poche ore prima.

Ed erano ancora chiusi i suoi occhi. Verosimilmente, stavolta le palpebre, erano calate per sempre.

L'espressione era serena, come se fosse stata addormentata.

L'unico elemento stonato, frammenti di vetro per terra. Quello che rimaneva del bicchiere dal quale beveva ogni giorno. Uno dei suoi preferiti, che una volta era stato un barattolo di Nutella; la scritta era un po' scolorita, ma si vedeva ancora.

Quel corpo, quei vestiti semplici, il letto sfatto, la camera in disordine; tutto era così suo che faceva male.

Si era svegliata con un sussulto, come sempre le accadeva quando sognava.

Non ha mai visto altro che morte, negli incubi. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe successo anche per la sua.

MEMENTO MORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora