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Elena dormiva profondamente già da un'ora, ma avevo assolutamente bisogno di un suo parere. Mi affacciai all'interno della camera e vidi la sua sagoma prona rivolta verso la finestra. La massa di capelli scuri che le cadeva sul cuscino sembrava una pianta marina, immobile però, non come quando le estremità fluttuano leggere fra le correnti, pareva invece un vegetale ornamentale in un acquario senz'acqua. Entrai nella stanza e mi sedetti sul bordo del letto. Elena, dissi, svegliati per favore, è successa una cosa. Cosa, biascicò lei, immobile, soffiando quelle quattro lettere fra le labbra ancora addormentate. Giovanni Bellesini mi ha appena telefonato, ti ricordi? Nessuna risposta. Probabilmente si era di nuovo appisolata. Allungai la mano sinistra e le toccai la schiena. Lei sussultò e stavolta, sbuffando, appoggiò le mani sul materasso e si sollevò, spostando i capelli che le nascondevano il viso.

«Ma Giovanni Bellesini del tuo paese?» chiese.

«Certo, chi altri?».

«E cosa vuole a quest'ora?».

«Non lo so e non mi interessa».

«Magari è successo qualcosa, rispondi, che ti costa, tuttalpiù riagganci.»

Le risposi che non ci tenevo a sapere quello che voleva, che magari si era sbagliato e gli era partita una chiamata, che come lei ben sapeva, non ci eravamo lasciati in ottimi rapporti e che la nostra amicizia era terminata ormai da molto tempo. Elena cercò di farmi ragionare, mi disse che forse, se mi stava chiamando, per Giò c'erano ancora delle cose in sospeso e che magari lui non era poi così determinato a farla finire come lo ero stato io. Aggiunse che richiamarlo non avrebbe di certo cambiato la mia situazione attuale e che sarebbe semplicemente stata una verifica che non gli fosse, o che non fosse, accaduto nulla di male a lui o a qualcuna delle vecchie conoscenze che avevamo in comune.

Stetti in silenzio non trovando parole per risponderle. Possibile che, per come ero diventato, per tutto quel tempo trascorso, per tutte le cose che erano accadute, alla mia età non trovassi ancora il coraggio di affrontare il suo nome, di reagire quando mi si palesava il suo nome, di riflettere lucidamente senza l'interferire di emozioni alterne che mi confondevano, di dire, insomma, quello che veramente provavo e avevo provato durante la nostra amicizia, senza le paure che mi comandavano e che mi hanno comandato così a lungo?

Probabilmente Elena vide il mio volto incupirsi e mi accarezzò una mano per risvegliarmi dal quel torpore maligno. Disse semplicemente:

«Puoi farcela».

Posso farcela? Io? Michele Lorenzini, anni 42, alto 1.76 centimetri, occhi castani, capelli ormai brizzolati, posso rispondere al telefono a Giovanni Bellesini e fare finta che non sia successo nulla? Posso fingere che il tempo non abbia compromesso le nostre persone e che le nostre vite non siano state influenzate dagli eventi successi? Cara Elena, non credo proprio di riuscirci, ho paura, sono tutto un fremito al pensiero di sentire la sua voce, di sapere quello che ha da rivelarmi, delle brevi frasi che intercorrono dal suo al mio cellulare fra un sospiro e l'altro, della sua verità che si scontra con la mia senza arrivare ad una soluzione, ad un chiarimento, ad una riappacificazione. Forse, per non dover star male, sono io stesso che voglio che le cose rimangano così, mi sono costruito la mia storia, la fine della mia storia e sapere che questa storia non è ancora terminata mi fa ricadere nel dirupo in cui non riesco a trovare una via d'uscita, né ora, né mai. Forse sono solo io che non voglio nuove ferite che sanguinino sulle vecchie oramai cicatrizzate.

Propriomentre sto per rispondere ad Elena, il telefono riprende a vibrarmi nel palmodella mano destra. Giovanni Bellesini. Ancora lui. Il cuore riprende a battermirapidamente. Osservo Elena. Forza, mi dicono i suoi occhi, rispondi. Va bene, ora rispondo.

IL PRINCIPE PERDUTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora