Il brusio degli studenti, sommesso ma incessante come il frinire delle cicale in agosto, misto al picchiettare della pioggia sulle vetrate è il sottofondo perfetto per una buona lettura.
Con il naso immerso tra le pagine, divoro con gli occhi una parola dopo l'altra, una frase dopo l'altra. Non mi importa di essere al mio primo giorno in quella prestigiosa università dal retrogusto nostalgico, di aver interagito con gli altri il minimo indispensabile e di star ora ignorando bellamente ciò che mi circonda: il romanzo che sto leggendo ha preso una piega inaspettata e non posso aspettare.
Per me, la lettura non è un semplice passatempo e un facile metodo di escapismo, bensì una finestra sul mio mondo interiore. Sono sempre stata incapace di leggere tanto le mie emozioni quanto quelle altrui, ma ho trovato nei romanzi dei buoni maestri.Gli occhi nocciola sondano il contenuto del romanzo con avidità, mentre le dita sottili accarezzano la carta per svelare ciò che mi è ancora nascosto. La suspense cresce e con essa il desiderio di sapere, di toccare con mano quel che sto aspettando ormai da troppi capitoli. Leggo e volto pagina, volto pagina e leggo fino a scoprire che...
Il brusio cessa. Il rumore bianco che mi ronza nelle orecchie, placido e rilassante, svanisce di colpo e con esso anche la mia concentrazione. Rimane solo il lieve picchiettio della pioggia, facendosi più persistente ogni momento. Sta per scoppiare il temporale.
Sono costretta a staccarmi dal fascino magnetico di quelle pagine per rivolgere la mia attenzione ad altro. A qualcun altro.Il silenzio degli studenti accoglie un giovane uomo ben vestito e dall'aria trafelata. Lo stupore generale si percepisce nel sommesso vociare che serpeggia tra i banchi: vedendolo così, nessuno direbbe che quello sia il nostro docente. Troppo giovane, troppo impacciato e troppo carino per spiegare da dietro una scrivania.
A differenza del resto della fauna studentesca, non perdo la mia solita espressione monotona. Solo un occhio attento noterebbe il lieve arricciarsi delle mie labbra mentre osservo il giovane professore scrivere in tutta fretta nome e cognome sulla lavagna: Matthew Chevalier, professore di teologia.
Poso il mio amato romanzo sotto al banco, mi stacco dallo schienale e mi protraggo in avanti. Poggio un gomito sul tavolo e il mio volto soffice, macchiato da una bruciatura rossastra che ricopre la parte inferiore della guancia destra fino a scendere sul collo, viene accolto dal palmo della mia mano, ancora intrisa del buon profumo della carta stampata. Da quando il professore è entrato, non gli ho staccato gli occhi di dosso, ma solo ora è diventato evidente anche per lui. Lo fisso, le gambe accavallate sotto il banco e lo sguardo di chi non ha intenzione di smettere, seduta al primo banco. È impossibile non notarmi.
Il professore ricambia il mio sguardo e io cerco di leggere ciò che prova: labbra dischiuse, occhi appena sgranati, fiato sospeso. Giurerei si tratti di sorpresa, ma il giovane si riprende in fretta, presentandosi a dovere e introducendo ciò che studieremo. Non prendo appunti come mio solito, a stento apro il quaderno, ma accarezzo con lo sguardo i folti capelli castani e gli occhi fulvi del professore fin quando le campane non sanciscono il cambio dell'ora.
E se il resto della classe si arma di cartella ed esce a passo svelto nel chiacchiericcio generale, io mi prendo il mio tempo per ordinare libri e quaderni nella borsa a tracolla. Ogni mio movimento è mellifluo e calcolato mentre i miei occhi fuggono da quelli di lui, stretti tra le ciglia per la sorpresa.«Cosa ci fai tu qui?»
«Studio, Matthew. Ti sembra così strano?»
«Sai che non intendo questo." il tono del giovane si fa più aspro, più impaziente, ma per me la durezza nelle sue parole non significa altro che un banale fastidio da parte sua: «Non sapevo ti saresti iscritta qui.»
Quando anche l'ultimo libro viene ordinatamente posato nella cartella, mi alzo e, al contempo, sollevo lo sguardo per incontrare il bel volto velato d'emozione del docente: «Mamma non è tenuta a dirti sempre tutto.»
Solo perché Matthew è stato il pupillo di mia madre, insegnante privata e tutrice, questo non significa che sia parte della mia famiglia e, perciò, debba conoscere sempre i movimenti di tutti i March.
«Ho proposto io la Blackthorn e mamma è stata entusiasta. È più tranquilla sapendo che ci sei tu e l'aria di montagna mi fa bene.»
Faccio qualche passo in avanti e con nonchalance mi siedo sulla cattedra. Matthew, dall'altra parte, mi osserva in tralice.
«Che c'è? Sei infastidito, Matthew?»
«Ora per te sono il professor Chevalier.»
«Oh, mi scusi...» abbandono la borsa sulla cattedra. Mi sporgo in avanti, le mani ben poggiate sulla scrivania tanto da farmi diventare i polpastrelli bianchi: «Professore. Mi devo ancora abituare.»
Stavolta sono io a guardarlo in tralice e l'espressione di Matthew muta, riesco a comprenderla: disagio. No, è più delicato, più sottile. Imbarazzo.«Mi dica una cosa, professore.» arriccio di nuovo le labbra in quello che per me, seria e controllata, è alla stregua di un sorriso: «Otto agosto. Le ricorda niente?»
A quella domanda, il ragazzo risponde aggrottando le sopracciglia. Poi un barlume gli si accende negli occhi e si avvicina a me: «Certo... certo che mi ricordo. Come avrei potuto dimenticare?»
A ritrarmi, stavolta, sono io: «E allora dov'eri il giorno del mio compleanno? Me lo avevi promesso.»Matthew è stato tante cose per me: una fastidiosa presenza in giro per casa, poi un esempio da seguire e infine l'incarnazione stessa dell'amore. Ero solo una bambina quando quel ragazzino di umili origini era stato preso da mia madre sotto la sua ala, avendo visto in lui del potenziale. Secondo mamma, non era giusto che una persona così brillante non potesse eccellere solo perché non aveva i soldi per permetterselo, così lo aveva seguito nei suoi studi fin dalle scuole medie. Ovviamente avevo dovuto accettare che la mia adorata mamma desse tante attenzioni a un altro bambino, molto più di quanto facesse con i suoi altri studenti. Matthew era silenzioso e schivo, molto legato a Violet e per niente interessato a giocare con me. E per me, che avevo quattro anni, era un vero affronto.
Ma il tempo ha permesso che ci conoscessimo a fondo, vivessimo fianco a fianco e Matthew diventasse una costante nella mia vita. Era inevitabile che, dopo tutto questo tempo, io ne restassi affascinata a tal punto da innamorarmi di lui. Peccato che io frequentassi ancora le medie e lui fosse già diplomato al liceo.
Matthew non mi aveva mai considerata come una ragazza, vedendomi solo come la presuntuosa e antipatica figlia della sua insegnante. Almeno fin quando non compii sedici anni e lui, di ritorno dall'università, si rese conto di avere davanti una giovane donna. Non poteva più ignorarmi.
«Lyanth, io...»
«Ho aspettato, Matthew. Ho aspettato i miei diciott'anni. E tu non hai rispettato la promessa, mi hai mentit-»
Un fulmine squarcia il cielo e il tuono che ne segue rimbomba tra le alte montagne. In un battito di ciglia, Matthew ha superato la cattedra e ora mi stringe tra le braccia. Rimango con le parole sospese a metà, tra la lingua e le labbra. Le inghiotto, beandomi della bella sensazione di quella stretta.
«Non dirlo. Non osare dirlo. Preferirei morire piuttosto che mentirti.»
Sbuffo divertita e mi stacco dal suo petto per incrociare il suo sguardo: «Sei sempre così drammatico.»
Lui mi sorride e mi accarezza la bruciatura, suo tipico vezzo per addolcirmi.
«Allora, professore? Cosa vogliamo fare?»
Mi sporgo verso di lui, assottigliando lo sguardo e poggiando senza alcun ritegno il seno florido sul suo petto. Matthew distoglie lo sguardo, prima di rinsaldare la presa su di me e sfiorarmi le guance con i morbidi capelli: «Io suggerirei di-»
«Professor Chevalier?»
Una voce gracchiante ci interrompe. Il giovane docente mi lascia andare, distanziandosi da me, mentre io scendo dalla cattedra e mi liscio la gonna. Immediatamente dopo una donna di mezz'età, dal naso aquilino e i capelli argentati, entra nell'aula vuota. La pioggia, fuori, si fa più flebile.
«Ha un'altra lezione a breve, non lasci gli studenti da soli.»
«Sì, certo. Mi sono attardato per dare un paio di delucidazioni a questa studentessa, tutto qui.»
La donna mi scruta da dietro le lenti degli occhiali prima di sbuffare con il naso: «Fai domande già il primo giorno? Molto diligente...»Non capisco se nelle sue parole ci sia un sottinteso, ma è meglio così, o le avrei risposto per le rime. Quella, sicuramente, non doveva essere la professoressa più simpatica dell'istituto. Prendo la tracolla, me la passo sulla spalla e saluto entrambi con garbo ed educazione: «Allora io vado. Grazie delle spiegazioni.»
Il mio sguardo incolore si posa prima sulla docente e poi su Matthew: «Arrivederci, professoressa. Professore.»
E con un ultimo sguardo languido, mi congedo.
Abbiamo superato il problema dell'età, ma ora dobbiamo affrontarne uno nuovo: essere studentessa e professore.
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Blackthorn - Lyanth
RomanceLa nuova arrivata - Domanda d'ammissione alla Blackthorn University.