Erano le 7.00 del mattino, l'appartamento era vuoto e tutto ciò che c'era era un silenzio assordante.
Amo questa atmosfera, ma la mia vita era diventata tutt'uno con la monotonia.
Essere il figlio di un grande impenditore aveva i suoi lati positivi, ma quelli erano niente in confronto a quelli negativi.
La festa di ieri sera mi aveva scombussolato abbastanza, se mio padre viene a sapere tutto ciò potrebbe incazzarsi davvero, questa volta.
Scesi dal letto, l'aria di LA era ancora dannatamente calda, avevo bisogno di rinfrescarmi con una doccia.
Mi passai le dita tra i ricci ormai del tutto disordinati, camminando intanto verso il bagno.
A terra c'erano asciugamani sparsi e quasi era un porcile, la donna delle pulizie dovrebbe passare verso le 8.30, farei meglio a stare fuori di casa a quell'orario.
[...]
Tenevo gli arti superiori tesi al volante, i muscoli delle mie braccia tatuate erano rigidi e ben sviluppati, frutto dell'allenamento a cui mi dedico con mente, cuore e corpo.
Avevo lo sguardo fisso sulla strada, mentre le ruote della mia Ferrari nera sfrecciavano sull'asfalto liscio.
Gli occhiali con le lenti scure mi proteggevano dai raggi di sole che c'erano quella mattina, ma erano così forti che quasi trapassavano pure quello strato di vetro.
Siamo ad ottobre e qui si soffoca a causa dei 34 gradi.
A pochi kilometri di distanza notai il grande edificio di mio padre e del suo migliore amico:
Nathan Styles e Jonathan Krieger.
Grandi imprenditori di moda, famosi in quasi tutta l'America.
Più comuni come 'mio padre ed il suo migliore amico Jon.'
Parcheggiai davanti a quell'enorme palazzo che pareva un'unica massa di vetro.
Slacciai la cintura e presi il cellulare dalla mia tasca, sentendo che vibrava.
Portai quest'ultimo all'orecchio e risposi:
-"pronto?"
-"Edward."
Era mio padre, per qualche strano motivo sembrava nervoso, così guardai l'orologio che avevo al polso.
Capii.
-"Arrivo subito."
Riattaccai prima che quello mi urlasse contro, danneggiandomi il timpano dell'orecchio sinistro.
Scesi dall'auto perfettamente nera e lucida, prendendo le chiavi e infilandole nella tasca posteriore dei miei jeans anch'essi neri.
[...]
Camminavo a passo svelto, diretto verso l'ascensore.
Aspettai impaziente che le porte si aprino, fino a quando qualcuno si scontrò contro la mia schiena.
Mi voltai, ritrovandomi davanti una ragazza.
La osservai per qualche attimo, notando in primo piano i suoi occhi scuri e a mandorla.
Sembrava in imbarazzo, era nervosa ed ero riuscito a capirlo dai suoi denti perfettamente bianchi e curati che si toruravano il labbro inferiore, quest'ultimo coperto da uno strato di rossetto rosa.
Ma non ero io a metterla a disagio, lei non dava tanto peso alla mia presenza.
I capelli castani erano raccolti in una coda alta, il look era casual:
una semplice camicia color cipria che mostrava un lembo del suo stomaco piatto e pallido, non tanto, accompagnato da dei jeans bianchi e attillati, mentre ai piedi portava dei tacchi vertiginosi.
Cercai di capire chi era, perchè quel volto mi era familiare.
Volevo parlarle, ma proprio in quel momento le porte dell'ascensore si aprirono.
Notando che non mi muovevo, lei si scostò dalla mia vista, passandomi davanti ed entrando dentro quel piccolo spazio, io la imitai.
-"Che piano?"
Mi chiese accennando un sorriso radioso.
Ah.
-"34."
Le risposi e lei aggrottò la fronte, quasi assumendo un'espressione pensierosa.
Dopo pochi secondi annuì.
-"pure io."
Le sue dita erano piccole, le unghie colorate di un rosa candido.
Emisi un gemito gruttale, giusto per attirare la sua attenzione.
-"Mh?"
-"Ti ho giá vista da qualche parte?"
-"Mi stavo chiedendo lo stesso."
Ridacchiò arricciando il naso, mentre l'ascensore continuava a salire.
-"già."
Sembrava agitata, le sue gote avevano assunto un colore più intenso.
[...]
Dopo essere usciti dall'ascensore la persi di vista.
Così andai nell'ufficio di mio padre, dove a mia sorpresa trovai pure Jon.
-"Papà."
Mi rimproverò con lo sguardo per il ritardo mastodontico, mentre il suo migliore amico mi rivolse un sorriso, riprendendo poi a lavorare, complilando qualche scartoffia lì sulla sua scrivania disordinata.
-"Arija?"
Mio padre era impegnato a guardare un punto fisso dietro di me.
Mi voltai e notai la stessa ragazza di prima che si avvicinava a passo lento verso il nostro ufficio.
-"Arija?" chiesi io.
-"Arija!?" chiese Jon.
-"Arija!!" disse la segretaria, aprendogli la porta.
Guardai mio padre, volevo fargli tante domande, ma quello non era il momento più adatto.
-"Bambina mia." quasi esultò Jon, correndo verso di lei e avvolgendo le braccia attorno alla sua vita, lei fece lo stesso ma attorno al suo collo, lanciando un urlo di gioia che risuonò in tutta la stanza.
-"papà."
[...]
Ecco dove l'avevo già vista.
Jon mi aveva mostrato un album di sue foto, dove Arija era presente.
In quel momento stava seduta sulla scrivania, con le gambe accavallate e una rivista tra le mani.
-"Tu sei Arija."
Alzò lo sguardo verso la mia direzione.
-"Così sembra."
Disse ironica, continuando a guardarmi.
-"Tu sei Edward, vero?"
Mi chiese con un accenno di curiositá nella voce.
-"così sembra."
Risposi con il suo stesso tono, alzandomi poi dal divano.
-"thug life."
Ridacchiò alzandosi pure lei, per poi voltarsi e poggiare la rivista sugli scaffali lì vicino.
Ha un culo favoloso.
-"sai dove sono andati mio padre e
Nathan?"
-"Mh."
-"Mh?"
-"Scusami?"
-"eh?"
-"lascia stare." ridacchiò uscendo dall'ufficio, lasciandomi solo.
___________________________Ecco qua!
Non so quando continuerò, ma sicuramente entro la prossima settimana posterò due capitoli.
Spero vi sia piaciuto anche questo.
All the love. Xx.✖️Miks.✖️
