Da piccola ero solita scendere in cantina, rovistare tra vecchi scatoloni, bauli e valigie e vedere se riuscivo a trovare dei vecchi giochi di mia madre come bambole di pezza, peluche di cani o biglie. Quest'ultime erano le mie preferite e le avevo messe tutte dentro un piccolo scrigno di legno, con dei fiori incisi sui lati. Avevo trovato biglie di ogni dimensione e colore e le lanciavo, facendole cozzare fra di loro. Quel giorno però una biglia rotolò troppo in là nella cantina. la inseguì e notai una figura nell'angolo buio della stanza, un bambino di dieci anni forse, poco più grande di me. Era rannicchiato su se stesso, si abbracciava le gambe forte forte. Indossava dei pinocchietti grigi, delle scarpe senza lacci ed era a petto nudo. Era talmente magro che riuscivo a vedere la sua colonna vertebrale. I suoi lunghi e sottili capelli neri scendevano lungo il viso, coprendolo. Lo salutai, ma non ottenni risposta. Il bambino rimaneva immobile con il volto girato verso la parete umida. Mi avvicinai di più: "Hei" dissi. Sospirò ma rimase comunque fermo, senza muovere un muscolo. Ora che ero più vicina a lui, notai la sua pelle liscia e chiara, che la colonna vertebrale sembrava quasi che volesse uscire fuori, tirando la pelle. Mi chinai, tenendomi le gambe tra le braccia, rivolgendoli un tenero e innocente sorriso. In tasca avevo una merendina ancora incartata che volevo mangiare ma invece la porsi al bambino. Lui voltò lentamente il viso, annusando l'aria e con uno scatto mi strappò via la merendina dalle mani, divorandola con ancora l'involucro di plastica, tra grugniti e ansimi.
Ogni pomeriggio scendevo giù in cantina, salutavo il mio nuovo amico e gli offrivo da mangiare. Era denutrito e io volevo aiutarlo. Aveva braccia lunghe e ossute e terminavano in mani piccole, con dita affusolate. Il bambino rimaneva sempre nel suo angolino, senza mai parlare. Un giorno gli portai gli avanzi del mio pranzo, un'altra volta della frutta e un'altra ancora qualche rimasuglio di carne. Potevo intravedere il suo viso ogni volta che mangiava qualcosa. Aveva labbra bianche e sottili, guance incavate, denti appuntiti e orbite vuote, nere, con degli occhietti piccoli e rossi. "Poverino" pensai. Aveva sempre fame, non era mai sazio. Mangiava qualsiasi cosa! Persino le verdure che io tanto odiavo. Non era schizzinoso come me. Il cibo che però prediligeva ero io. Gli piaceva annusarmi, mordicchiarmi le braccia e tirar via dal mio corpo ogni essenza. Ora sono nella cantina, la mia colonna vertebrale spinge attraverso la pelle, vuole uscire. Ho fame. Tanta fame.
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Abissi Mentali
Truyện NgắnUna serie di brevi racconti horror e non basati su disturbi psicologici, fobie e traumi. Patologie, disturbi, traumi e fobie non verranno trattati in maniera medica o scientifica, ma faranno semplicemente da base per i racconti. Spero che vi piacci...