nessun vincitore crede al caso

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(la frase è di Nietzsche)

Jemima's PoV

Se mi avessero detto che ci sarei riuscita, credo che mi sarei risparmiata miliardi di crisi esistenziali. Insomma, so che il bello è il viaggio, l'attesa e tutte quelle stronzate lì, ma un po' di certezze finali non uccidono nessuno.

Poi, già che mi sto auto commiserando, anche la fortuna è molto sottovalutata – o sopravalutata, a seconda delle situazioni. Cioè, sono solo coincidenze, casualità... roba che non interessa a chi adora la probabilità statistica, le combinazioni possibili o le percentuali.

Tipo me, ecco, l'ho detto. Ho sempre saputo di avere un cervello molto logico, razionale sino alla paranoia, tuttavia non ero sicura che mi avrebbero ammesso a Cambridge. Devo ammettere che – purtroppo – la mia fedina penale non è molto rassicurante. Nemmeno il mio fascicolo sanitario, in realtà.

C'è qualcosa di tranquillizzante, in me? Esclusa la prima impressione, ovviamente. Mia sorella Penny dice sempre che assomiglio un vulcano quiescente, dal momento che sembro particolarmente pacata quando mi si conosce, ma poi... lei è fermamente convinta che io sia leggermente distruttiva. Non che lei sia meglio, ovviamente.

<Jenny, smettila di fissare il vuoto!>, mi sgrida una voce che riconoscerei anche se fosse stata alterata.

<Aiutami con questi cazzo di scatoloni>, ordina, senza lasciare il tempo di replicare.

<Penny, qualcuno doveva valutare la struttura, studiare le possibilità che crolli o che esploda. Dovrei mettermi a misurare le pareti>, rispondo, giusto per provocarla.

La sua figura sgraziata compare al mio fianco e, con mia enorme sorpresa, incrocia le braccia al petto e mi imita.

<Cosa cazzo fai?>, le chiedo brusca, troppo curiosa per resistere.

<Provo a capire cosa stai fingendo di fare>, ribatte algida, per poi molarmi una sacca di libri sui piedi, probabilmente volontariamente.

<Stronza>, borbotto, agguantando la borsa strapiena di manuali.

<I miei manuali!>, realizzo, sorridendo come una bambina.

<Sembri una psicopatica>

<Vaffanculo. Non osare rovinare questa riconciliazione, Penny!>, abbaio sulla difensiva.

Lei innalza gli occhi al cielo e mi sorpassa, varcando per la seicentesima volta l'ingresso della nostra nuova casetta in Inghilterra, mentre io – nonostante siamo arrivate quasi un'ora fa – non sono ancora entrata. Meglio che rimedi, decisamente.

Abbiamo selezionato una villetta a due piani, fuori città, circondata da un piccolo patio cadente affacciato su un cortiletto infestato da qualsiasi tipo di pianta selvaggia. Una smorfia disgustata mi compare sul volto, schifata dai mucchi di oggetti arrugginiti, cadaveri di piccoli animaletti e colonie di insetti. Non siamo ricche, nel caso non si fosse capito.

Salgo sulla piattaforma in legno d'acero che, come se protestasse, scricchiola in maniera inquietante.

<E' una cazzo di casa dell'orrore>, commento acidamente. Scuoto violentemente il capo e sorpasso l'ingresso, che si affaccia su quella che dovrebbe essere la nostra sala. Peccato che ora assomigli ad un campo d battaglia. I mobili sembrano decenti, ma l'aria stantia e la polvere sono i primi elementi che mi aggrediscono i sensi, immediatamente seguiti dalla scarsa illuminazione e dal ronzio in sottofondo.

<Lampadine difettose>, intuisco, accecandomi nel tentativo di fissare la fioca luce sopra la mia testa.

Sollevo un lembo del telo che copre quello che suppongo sia un divano e mi scontro con una visione scandalosa, così orribile da accelerarmi il battito cardiaco. Non è vero, è uno scherzo. Se io chiudo le palpebre e poi le riapro, questo scempio non ci sarà più. Giusto?

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