Capitolo 1 Non ne voglio parlare

151 12 4
                                    


Ed è così che mamma mi disse "Ci dobbiamo trasferire, Elise! Lo sai che Brooklyn non è sicuro per le tue condizioni di salut-"

Non la feci neanche finire, discutere della mia infezione non mi fa stare per niente bene, faccio fatica a guadare quella orrenda cicatrice che mi attraversa il collo.

Quando mi guardo allo specchio fantasizzo una me senza quel mio "marchio" che tanto bello non è;

Ormai la gente mi conosce per quello e no, non in modo positivo.

Non mi mancherà affatto Brooklyn, anzi, forse è meglio rimuovere alla mia mente tutti quei nomignoli.

Sono Elise Lemier, non "emo" o "halloween"!

Ho purtroppo dovuto lasciare la maggior parte dei miei averi, non un grande affare.

"Ci mancherai molto!" Penso sia stata l'unica volta che la bulletta mi abbia detto una cosa del genere, da non riprovare.

Pochi giorni dopo mi ritrovai diretta per Manchester, città che avevo sentito nominare per la squadra di calcio, dalle foto sembrava abbastanza bellina.

Dal finestrino tondo dell'aereo notai il tempo: "Sono il comandante di volo, ci scusiamo per le eventuali inconvenienze"

Tornai bambina, la gara delle gocce.

"Arriverà prima la mia lacrimuccia o la pioggerellina?" pensai.

Lì mamma conosce delle persone fantastiche.

Non mi fido molo perchè ogni volta che lo dice sono sempre dottori che si spacciano per-quelli-che-mi-cureranno, è straziante, nessuno ci è ancora riuscito.

Il viaggio non è stato così male, a dir la verità mi sono addormentata. Ho lasciato stare qualsiasi tipo di problema: solo io e io.

Erano le 05:48 del mattino, una specie di taxi arrivò.

Intorno a me vidi molti edifici, non trovavo differenze così evidenti da Brooklyn, o forse si;

Mamma non c'era.

La mia mente si è riempita di pensieri, paranoie e ripensamenti.

L'ultima frase che mi disse è stata: "Ti troverai meglio, ti accetteranno".

Inizialmente non ci ho dato peso, e invece forse i pezzi si stanno collegando.

Il taxista si è fermato a una struttura molto carina e raffinata, con del verde attorno e qualche lucina sotto il portico.

C'era questa signora alla porta che con i piedi stava cercando di raddrizzare lo zerbino con su scritto "Home, not House".

Tipica frase da genitore, no? Mi sono venuti dei dubbi.

Ho preso la mia valigia azzurra dal bagagliaio dell'auto gialla.

"Arrivederci" il taxista sorrise.

Dunque salii quei pochi gradini che c'erano per raggiugere la casa.

Indossavo dei pantaloni della tuta, una sciarpa e una maglia comoda e larga. Ancora il meteo era incerto.

Tempo di schiarirmi la voce che la donna si presentò.

"Ciao! Io sono Nat, la zia di cui probabilmente non sei ancora al corrente."

Disse ridendo mentre avvicinò la mano per stringermela.

"Sono Elise, piacere di conoscerti."

Sorrise mi accompagnò dentro casa.

Nel mentre ha cominciato a parlare di diversi argomenti del tipo:

"Sei allergica a qualcosa? E invece come sta la mamma?"

"Ehm no forse non è una domanda a farti, tesoro." Ha poi borbottato.

Eravamo finalmente dentro casa, passando per il garage.

Era davvero una casa stupenda, nulla a riguardo dell' appartamento a Brooklyn, questa è minimo il doppio.

Posai la valigia nella camera appena consegnata. Molto pregiata e pulita.

Zia Nat nei giorni successivi mi fece dei tour per la città. Molto molto bella, rispecchia tanto i miei gusti.

Ne ero rimasta sorpresa eccitata fino a quando non iniziò a parlare della scuola.

"E se non mi accettano? E se sono come gli altri?" Dentro la mia testa la situazione è così, una marea di paranoie.



Una cicatrice  fino al cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora