Capitolo 2 Cozze e vongole

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Qualche giorno dopo iniziai la scuola, o almeno, ho tentato a non andarci.

E invece eccomi qua.

Chiamata alla lavagna per presentarmi, che incubo. Parlare davanti a tutti non è mai stato il mio forte.

"Abbiamo una nuovissima studentessa, Elise, Elise Lemier, vieni pure, io sono Miss. Wughs e insegno Latino e Greco."

Non avevo mai sentito parlare Latino, ho sempre studiato materie come Fisica e Storia.

Chissà in che scuola mi han mandata.

Nonostante ciò mi alzai e feci qualche passo per raggiugere la professoressa.

"Buongiorno, io sono Elise, vengo da Brooklyn e ho 15 anni."

"Tutto qui? Dai ragazzi fate qualche domanda" Propose lei.

"Com'era Brooklyn?" Incitò la professoressa a un ragazzo.

"Molto bella e considerato i fatto che ci sono cresciuta per 17 anni, beh, penso sia abbastanza" Risposi, ero molto fiera di me.

"Perchè hai la sciarpa al collo? È quasi primavera, non hai caldo?"

Mi fece questa maledetta domanda una ragazza dai capelli biondi.

Cercandomi difendermi risposi: "Ho il raffreddore e mal di gola, il dottore me l'ha consigliato..."

Sapevo benissimo che non era vero, mi tremavano le mani: "Lo sapevo."

Mi indicarono il banco assegnato, di fianco a un ragazzo: Riccio e biondo.

"Ptsz, hey Elise giusto?"

"Sì, si sono io." Ero confusa ma non stoppai la conversazione, non mi dispiaceva affatto.

Passò la mattinata tra materia e presentazione ho approcciato con un paio di persone nella classe, ma ancora non ricordo i loro nomi.

Ma specialmente un ragazzo mi è rimasto impresso. Il mio nuovo compagno di banco.

Lo stesso che mi ha chiesto di stare con lui a pranzo, ovviamente ho detto di si, pur di non stare a sola.

Nella stanza c'era un'aria indefinita, con voci e vapori di diversi cibi.

Vedevo, però, il ragazzo seduto vicino a una panchina al lato della sala.

Agitava le mani come per chiamarmi.

A quel punto mi avvicinai, ho trattenuto il sorriso.

Si sentiva la sua scia di profumo già da due tavoli distanti.

"Quindi? Come ti sembra?" La sua voce era quasi rauca, soddisfatta.

"Non malissimo, ricordami il tuo nome?"

"Marcus, ti siedi o..?" Si fece più in là.

Era come se volesse cambiare argomento.

Mangiai poco, gli spaghetti con le cozze, in questo caso.

Dentro trovai per caso una vongola, mi sentivo esattamente così.

Totalmente diversa dagli altri e spaesata, sesnazione bruttissima. Non lo auguro a nessuno.

Ho tenuto dentro tutto. Non volevo espormi ancora.

"Vuoi un passaggio a casa?" Mi chiese.

Io avevo gli occhi fissi sulle vene che si notavano, stava solo tenendo in mano la forchetta.

Me lo dovetti far ripetere due volte.

"Quindi il passaggio a casa? Ho la moto, ci metteresti di meno, Elise." Ridacchiò.

"Accetterei volentieri ma non ho il casco, sarà per un'altr-"

"Ti presto il mio, basta che arrivi a casa sana e salva e il mio lavoro è fatto." Insisteva.

E come promesso mi accompagnò a casa.

Durante il tragitto mi sono aperta con lui e gli ho raccontato della mia vita di prima della vecchia scuola e di mia madre.

Aveva rincominciato a piovere, i suoi capelli erano evidentemente bagnati.

Eravamo appena arrivati.

"Ho dei fazzoletti, tieni!" Li lanciai, io ero sotto il portico e lui nel la via, poi mi misi il cappuccio e andai a riconsegnargli il casco, lo avevo sporcato di lip gloss, non ne ero certa.

"Grazie mille, scusa se ti ho stufato con quelle chiacchere.."

Mi abbracciò, "Spero che ora ti senta al sicuro, a domani."

Lo salutai, sentivo ancora il profumo dl suo casco nero.

Il giorno dopo fù come quello precedente, solo che uscii poco prima per degli allenamenti di ginnastica artistica.

"Hai stampato le tue labbra sul casco, non so se te ne sei accorta Eli" Mi faceva venir voglia di restare.

Passano settimane, l'amicizia con lui è probabilmente quella che ho sempre sognato.

Notai qualcosa di strano, mannaggia a me che ci ho fatto caso: la mia cicatrice stava diventando più evidente.

"Massì tranquilla Eli, sarà il caldo, ormai è primavera, no?" Mi provò a tranquillizzare Marcus, l'ha scoperto per caso.

Quel giovedì non è stato per niente tranquillo. Se solo non mi fossi tolta quella sciarpa!

"E ora che penserà mai di me? Non è possibile devo sempre rovinare tutto." Pensai a voce alta, la professoressa mi guardò male insegno di non parlare.

Mi stava andando in pappa il cervello, non sapevo che fare.

"Conta fino a 10" Mi aveva raccomandato zia Nat.

Ma purtroppo mi chiese la storia, la storia di questa maledetta cicatrice.

"Da piccola mi sono fatta male." Mentii, non c'era scusa più banale.

"So che stai mentendo Elise! Ormai ti sto iniziando a conoscere, lo sai, non ti giudicherei mai e poi mai."

"Mh" Spostai lo sguardo alla lavagna. Lo ignoravo. Non volevo mettermi a ulteriore disagio.

"Driiiiinn!"

"La mia amata campanella non mi dà mai delusioni, suona sempre al momento giusto" Lo guardai e ridacchiai.

A proposito di zia Nat è una donna abbastanza giovane ma non è sposata, strano, è davvero così dolce e ti capisce solo da uno sguardo.

Quando usciamo insieme per la città, se incontra suoi conoscenti mi scambiano per sua figlia. (Che tra l'altro non ha)

Sentivo la mancanza di mamma. Avevo ancora circa cento messaggi da parte sua. Quel numerino scritto su "Archiviati".

Una cicatrice  fino al cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora