Si misero comodi sulle poltrone e si rilassarono davanti al fuoco. La seduta del Marchese era la più distante dal camino e chiese ad un servitore di rimediare all'errore ma Le Cadeau mandò via il maggiordomo e lo fece lui stesso. «Vi devo molto più di questo vostra grazia ma voglio dimostrarvi la mia riconoscenza, sono sicuro che in futuro riuscirò a farlo molto più concretamente», disse inchinandosi al Marchese. Questi ed il re si rivolsero uno sguardo di intesa e dopo che il giovane si sedette annuirono. Quello era il loro segnale, era il momento per rivelare al ragazzo tutta la verità. Iniziò a parlare proprio il Marchese: «Ti ringrazio molto di questo tuo gesto, significa che sei rispettoso, quindi anche rispettabile. Io e sua maestà ti dobbiamo delle spiegazioni. Beh, io direi che il nostro sovrano è la persona più adatta per poterti raccontare dal principio...». Il re prese dunque la parola: «Ragazzo mio, è arrivato il giorno. Non so bene come addolcirti la notizia perciò andrò dritto al punto e spero che questa mia decisione non ti arrechi dolore, almeno spero che non te ne aggiunga. Voi, Monsieur Le Cadeau, siete in realtà mio figlio, Luigi». Il ragazzo bevve in un sol sorso il vino nella coppa e splalancò gli occhi incredulo. Più volte scosse la testa, convinto che il sovrano gli stesse mentendo. «Credimi, è così. Hai potuto vedere quanto io sia fissato con le contadinelle e beh... Io e tua madre abbiamo avuto una relazione da giovanissimi. Ti giuro però che era amore, tanto che io sfidai la mia famiglia per riuscire a portarla a palazzo. Tuttavia tua madre mi spezzò il cuore, dicendomi che non ce l'avrebbe mai fatta a vivere rinchiusa in una prigione lussuosa. Quella donna era uno spirito libero, amante della natura e della campagna, proprio come te. La notizia della tua nascita mi arrivò solo un anno più tardi. Per me quel bambino era un regalo quindi quando tu sei arrivato alla Reggia dicendo di chiamarti "Le Cadeau", ho ordinato che mantenessi questo nome. Il tuo vero nome però è Luigi, tu sei mio figlio». Il giovane continuava a scuotere la testa, negando in cuor suo la difficile verità. Si rivolse al Marchese: «Vostra grazia voi eravate a conoscenza di tutta la storia?». Il nobile lo guardò amorevolmente e rispose: «Perchè credi che io abbia scelto te con tutti i bravi attori che c'erano in quel momento a Parigi? Io ho avuto ordini precisi, portare il figlio del re a palazzo ed affidarlo nelle mani del miglior formatore della Reggia. Gustave ha fatto proprio un ottimo lavoro». A quel punto il ragazzo tuonò: «Non ditemi che Gustave era vostro complice!». Il re lo calmò, assicurandogli che l'uomo non sapeva nulla. «Se io sono vostro figlio, perchè mai ci avete fatto credere che dovessi essere qui solo creare scompiglio nella corte?», chiese furioso, con le lacrime agli occhi per il nervoso. «Tu, sei mio figlio ma illegittimo. Non avrei mai potuto chiamarti a corte senza un motivo. Mi serviva una scusa per avvicinarvi a me e formarvi, quindi vi ho fatto credere prima una cosa e poi un altra. Tua madre ed il Delfino, il vero motivo della tua presenza qui lo devi a loro».
Le Cadeau bevve d'un fiato un altro bicchiere di vino. Non riuscì a parlare, aveva troppe emozioni da elaborare e da decrifare. Si limitò a gesticolare con la mano, per indicare al re di andare avanti con la confessione. Il sovrano non si alterò per la mancanza di rispetto, capiva benissimo lo stato confusinale del ragazzo. Riprese a parlare, non prima di aver tolto dalle mani del giovane l'ennesimo calice di vino: «Vedi, quando mi sono reso conto che il Delfino, tuo fratello, non sarebbe stato in grado di prendere il mio posto ho pensato a te. Tuttavia ero indeciso sul da farsi. Mi ero addirittura convinto che non fosse necessario ma poi... La morte di tua madre mi ha ucciso, mi dispiace tanto che tu abbia saputo in questo modo. La sua scomparsa mi ha aperto gli occhi; solo e soltanto tu puoi prendere le redini di questo regno ed evitare che sprofondi in un turbinio di carestie e guerre». «Quindi quando il Marchese mi ha prelevato dal teatro mia madre non c'era più?», disse piangente il giovane, con le lacrime che sgorgavano a fiumi. Il nobile annuì e gli porse la sua spalla per sfogarsi. Appoggiò la testa, sentendosi senza forze. Poco dopo rinsavì, solo per poter chiedere notizie di suo fratello e della fattoria. «Non sappiamo dove sia, l'ho liberato ma è andato per la sua strada. Io ti prometto che mi impegnerò a cercarlo ma intanto la tua fattoria è già stata ricostruita. È il mio piccolo regalo per te. So che hai sofferto tanto nella vita e sono consapevole che io stesso ti ho fatto soffrire con questo inganno ma voglio rimediare. Se accetterai di diventare l'erede al trono io...». In quell'istante arrivò di corsa nel salone Gustave, armato di tutto punto. Nella mano destra teneva un moschetto e nella sinistra una spada. Alla cinta aveva due pistole, cariche e pronte a sparare. I tre lo guardarono con la bocca aperta, non sapendo cosa dire. «Ma che cosa fate?», disse alterato il Marchese ed il maggiordomo rispose prontamente: «Quei cacciatori che il ragazzo ha derubato sono dei mercenari. Ce ne sono molti di più, forse una ventina. Appena l'ho saputo sono corso nella tenuta perchè immaginavo foste qui. Ho portato degli amici, ce li ha prestati un prelato, si fanno chiamare moschettieri». Entrarono una dozzina di soldati, anche loro armati fino ai denti. «Rischiamo di morire per tre cervi?», esclamò sconsolato Le Cadeau, ancora sotto shock per la quantità di informazioni rivalategli. Una raffica di proiettili ruppe i vetri delle finestrelle della tenuta, rovinando anche alcuni trofei di caccia. Gustave ordinò a tutti di stare a terra, così facendo avrebbero ridotto le possibilità di essere colpiti. Il maggiordomo diede ai tre i loro moschetti e preparò i moschettieri a rispondere al fuoco: «Caricate... Puntate... Fuoco!». I dodici sparono a caso, nella direzione degli spari ma non colpirono nessuno. «Bene, sanno che noi siamo armati e pronti. Sicuramente ci caricheranno, state pronti a riceverli», disse il capo di questo gruppo di soldati. Neanche il tempo di dirlo che gli assalitori si lanciarono alla carica in direzione del casolare. I moschettieri caricarono in fretta, misero i fucili fuori dalle finestre, prendendo la mira e si prepararono a sparare la seconda raffica di colpi: «Puntate... Fuoco!». Ben dieci dei mercenari perirono grazie alla precisione dei moschettieri. L'altra metà però non si arrestò per lo spavento dei compagni caduti; era gente determinata e pronta a tutto. Due di loro estrassero le pistole e colpirono dei moschettieri. Alla vista dei soldati che cadevano tramortiti al suolo il giovane si alzò in piedi e si unì alla fila di militari, pronti a dare il benvenuto a quel commando d'assalto. «Cosa fai? Rimani qui con noi!», gli ordinò il padre ma il figlio non ne volle sapere. Gustave era in quella fila di uomini coraggiosi pronti a dare la vita per il proprio re ed il futuro della loro nazione e lui non sarebbe stato da meno. Mirarono alla porta, l'unico accesso al salone. Si sentirono delle urla, grida da battaglia. La loro carica distrusse la porta ed il boato distrasse i moschettieri che con i loro proiettili riuscirono a ferire di striscio solo pochi di quei mercenari infuriati. Le Cadeau ne aveva sotto tiro uno che stava combattendo con un soldato. Riflettè a lungo prima di premere il grilletto, non avrebbe voluto uccidere un altra persona; esitò troppo a lungo prima di sparare e un uomo gli si scaraventò addosso con un pugnale. Con il fucile lo bloccò ma comunque la forza dell'assalitore era nettamente maggiore rispetto alla sua. La lama del pugnale si stava avvicinando al suo viso quando si sentì uno sparo di pistola. La forza di uccidere l'aveva trovata Gustave, il suo precettore. Si inginocchiò e lo tirò su, poi gli disse: «Ti ho promesso che ti avrei protetto e sempre lo farò». Si abbracciarono e si guardarono con le lacrime ai occhi. Sebbene la scena fosse commovente l'attenzione si spostò quasi subito sui cadeveri sul pavimento. Il corpo speciale portato da Gustave era riuscito in pochi minuti a sbarazzarsi di tutti i loro aggressori. Al Marchese vennero i conati di vomito alla vista delle salme ed il re si mise la mano davanti alla bocca per la felicità di averla scampata. Fortunatamente i moschettieri colpiti dalle pistolate stavano bene, avevano riportato solo qualche graffio. I proiettili li avevano presi di striscio e tutti i presenti si rallegrarono della cosa. «Cari i miei moschettieri credo proprio che sarete le mie guardie personali, non mi lascerò scappare degli uomini così valorosi!», esclamò emozionato il re, brindando alla vittoria. Dopo i brevi festeggiamenti il Marchese, Gustave, Le Cadeau e sua maestà uscirono dal casolare per parlare. Sua grazia fece un riassunto della confessione del sovrano ed il maggiodomo rimase scioccato. «Lui quindi è vostro figlio? Io ho istruito il Delfino, futuro re di Francia?», domandò incredulo indicando il giovane. Luigi annuì ma precisò che il ragazzo non aveva ancora profeito parola in merito al diventare l'erede al trono, erano stati interrotti dall'imboscata. «Non so cosa fare adesso, concedetemi del tempo per pensarci...».
STAI LEGGENDO
Il Nuovo Delfino
AdventureLa Francia di Luigi XIV, il re Sole, è scossa dal cambio di residenza del sovrano. Siamo nel 1686, da pochi anni infatti Luigi si è insediato nella Reggia di Versailles, trascinando con sé tutta la sua corte. I nobili diventano quindi prigionieri, i...