60.Gabriel

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Poche ore fa...

Erano ormai venti minuti buoni che fissavo il vuoto, tenendo la tazza tra le mani. Non avevo nemmeno più idea di cosa ci fosse dentro. Il sapore amaro del mio fallimento era l'unica cosa che riuscivo a percepire.
«Allora, cosa farai? Combatterai con Danny?» mi chiese Manuel, riportandomi bruscamente alla realtà.
Sospirai, cercando di mettere ordine nei miei pensieri. «Sì. Non ho più niente da perdere, giusto? Ormai con Sofia è finita, l'ho già persa. Combattere con lui sarà almeno un modo per sfogarmi... anche per quello che le ha fatto.»
Manuel abbassò lo sguardo. «Gabriel, mi dispiace, ma era inevitabile che succedesse.» Lo fissai, incredulo, mentre le sue parole si infiltravano nella mia mente. «Inevitabile? Sofia ha detto che ha letto un messaggio preciso che io avevo mandato a lei ma io non le ho mandato nessun messaggio.» Improvvisamente mi ricordai quel giorno che avevo lasciato il telefono a casa...Mi avvicinai lentamente, cercando di mantenere il controllo, ma sentivo il sangue ribollirmi nelle vene. «Sei stato tu, vero? Glielo hai dato tu il messaggio a Ginevra?»
Manuel scattò in piedi, mettendosi sulla difensiva
«Ma che cazzo dici? Assolutamente no! Cioè forse. Non ricordo. Forse ero ubriaco.»
Le sue parole non mi convinsero. Mi avvicinai ancora di più, stringendo i pugni per evitare di scagliarmi contro di lui. «Avevo ragione, hai mandato tu quel messaggio a Ginevra, fingendoti me. Per cosa? Per fare uno scherzo del cazzo? Per cosa? Quello che ti avevo detto era una cazzo di confidenza!» Mi allontanai di qualche passo, tentando di contenere la rabbia che mi stava logorando.
Poi puntai il dito contro di lui. «Se ho perso l'amore della mia vita, è solo colpa tua.» Manuel si irrigidì, ma non abbassò lo sguardo. «No, Gabriel. La colpa è tua che hai pensato a quel piano del cazzo. Sì, è anche colpa mia, per aver mandato per scherzo il messaggio a Ginevra. Ma non sono l'unico stronzo qui. Hai delle colpe anche tu. Giocare con i sentimenti di una ragazza. Avresti continuato se solo non ti fossi innamorato di lei, non mentire.» Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco.
«Vaffanculo.» Presi la mia giacca e mi diressi verso la porta, senza nemmeno voltarmi.
«Sì, mandami pure a fanculo, negando l'evidenza.» urlò mentre aprivo la porta per uscire da casa sua. Entrai nella mia auto, con il borsone sul sedile del passeggero.
Le lacrime iniziarono a scendere, senza controllo. Non piangevo mai , non ero il tipo che esternava i propri sentimenti . Ma con lei... tutto era diverso. Non riuscivo a trattenermi. Il dolore era insopportabile, come un peso che mi schiacciava, e per la prima volta nella mia vita mi sentii completamente perso. Ero stato un vero coglione. Avevo perso l'unica donna che mi amava davvero... e la colpa era solo mia.

Presente.

«Dai, Gabriel, se ti ho fatto venire qui è per farti svagare un po'.» disse Theo con tono incoraggiante, mentre si appoggiava al bancone accanto a me. Cercava in ogni modo di risollevare il mio umore, ma non aveva capito che ormai non c'era più niente da fare.
«Non mi va di restare qui. Non sono dell'umore giusto.» risposi secco, tracciando distrattamente il bordo del bicchiere con il dito.
Nonostante tutto, i miei occhi la cercavano. Quando finalmente la trovai, lì, in mezzo alla pista da ballo, mi sentii mancare. Rideva, muoveva il corpo a ritmo di musica, e per un attimo sembrava davvero spensierata. Mi trattenni dal correre da lei, dal trascinarla fuori e supplicarla di darmi un'altra possibilità. Ma non potevo. Non dovevo.
Mi ripetei che aveva ragione: io le avevo fatto solo del male e se stare lontano da me l'avrebbe fatta stare meglio, allora dovevo accettarlo. Non avevo altra scelta.
Con un gesto rapido scolai il contenuto del bicchiere, lasciando che il bruciore dell'alcol mi annebbiassi i pensieri per un istante.
«Guarda com'è felice senza di me.» mormorai a Theo, mentre i miei occhi la seguivano ancora una volta.
«Non è felice, è ubriaca.» rispose lui ridendo, nel suo solito modo leggero e senza filtri.
Abbassai lo sguardo sull'orologio. Stavo facendo tardi. Non potevo restare lì.
«Dove vai?» chiese Theo, alzando un sopracciglio curioso quando mi vide muovermi verso l'uscita.
«Al grande capannone. Vuoi venire?» risposi secco, guardandolo negli occhi.
Non rispose, si limitò a scuotere il capo, ormai esasperato. Uscimmo da quella casa e ci dirigemmo verso la mia auto.
«Sicuro di essere pronto per il combattimento? Danny è forte.» disse Theo, visibilmente preoccupato.
«Anche io lo sono, e abbiamo molte cose di cui parlare. Ha fatto del male a Sofia e non la passerà liscia.» risposi, la mia voce piena di determinazione. Non c'era più spazio per la gentilezza o il ragionamento.

******

Appena arrivati al capannone, mi guardai intorno, scrutando ogni angolo alla ricerca di Danny.
«Aspettami qui.» dissi a Theo, indicandogli di restare lì. Individuai subito Danny in un angolo, circondato da alcune persone che chiacchieravano. Mi avvicinai con passo deciso, cercando di non dare troppo nell'occhio.
Quando mi vide, sorrise con aria di sfida. «Gabriel, come stai? Anzi, come sta la tua sorellina?» disse, alzando un sopracciglio, provando a provocarmi.
La sua insistenza mi fece esplodere dentro. «Non provocarmi, Danny. Non mi ci vuole nulla a spaccarti la faccia.» risposi, la voce tesa. «Era una cosa tra me e te. Lei non c'entrava un cazzo!» aggiunsi, lanciandogli uno sguardo carico di rabbia.
Danny ridacchiò, come se non fosse minimamente spaventato. «Dovevo trovare un modo per farti combattere, tu non volevi e dovevo fare qualcosa per convincerti.»
In quel momento, non c'era più spazio per le parole. La rabbia montava dentro di me, e non avrei più aspettato. «Adesso sono qui. Andiamo su quel cazzo di ring,» dissi, afferrandolo per il braccio e stringendo i denti.
Salimmo sul ring e mi tolsi la giacca, restando solo in canottiera. Indossai le bende per proteggere le mani e mi misi in posizione. Appena la ragazza diede il via, il mio corpo si mosse. Ogni pugno che Danny cercava di mandarmi a segno finiva per colpire l'aria. Lo colpii duramente sulle costole, sentendo la resistenza che cedeva.
Improvvisamente le parole di Sofia mi rimbombarono nella testa: "Se vuoi batterlo, deve arrivare alla fine esausto. Fallo stancare." Non capivo come avesse potuto sapere tutto questo, ma lo seguii come un istinto. Ogni movimento era calcolato, ogni schivata perfetta. Lo evitavo con facilità, lo tenevo lontano da me mentre cercavo di portarlo alla fatica. Era chiaro che la sua energia stava svanendo, e il suo respiro si faceva più affannoso.
Verso la fine, lo vidi indebolirsi. La sua guardia era abbassata, il corpo meno reattivo. Con un movimento rapido, mi avvicinai e con un colpo ben assestato lo feci cadere a terra, facendo scivolare la mia gamba dietro la sua caviglia. Con un altro movimento rapido, mi misi a cavalcioni sopra di lui, bloccandolo.
Iniziai a picchiarlo senza fermarmi, l'adrenalina mi accecava. "Uno, due, tre..." non riuscivo a fermarmi. La mia mente si era persa nel vortice di rabbia che sentivo.
«Gabriel, basta!» La voce di Theo mi raggiunse come un campanello d'allarme. Mi prese per le spalle e mi tirò via da Danny, che giaceva a terra, tramortito.
Mi fermai, il fiato corto, le mani ancora tremanti per la furia appena scatenata. Guardai Danny, che cercava di rimettersi in piedi, ma sapevo che non avrebbe potuto fare altro che arrendersi.
Mi alzai lentamente, Theo mi guardò, ma non disse nulla. Sapeva che avevo bisogno di elaborare, di pensare a cosa fare dopo. Quando mi avvicinai all'uscita del capannone, mi sentivo stranamente disorientato, come se non sapessi più dove fossi diretto. Le immagini del combattimento, la faccia di Danny, il mio stesso odio, tutto si mischiava nella mia mente.
Uscimmo dal capannone in silenzio, e la notte che ci circondava sembrava più pesante di prima. Il mio corpo era stanco, ma la mia mente correva troppo veloce per poter riposare.

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