Duende

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Ci fu un giorno ben preciso in cui venne a conoscenza dell'esistenza del duende. Era il 20 luglio 1967, durante una sosta ad Ibiza.

Dopo aver vagabondato in lungo e in largo attraverso Francia e Spagna, raccattando qualche spiccio suonando per strada, David Gilmour, Willie Wilson e Rick Wills decisero di fermarsi nell'isola. Si diceva fosse già popolata da molti hippie provenienti da tutto il mondo, ma non ci vollero credere prima di vederlo con i loro occhi. David diede uno sguardo a Willie e Rick che scrutavano attentamente la cartina in cerca della via dove si trovava la casa in cui Marcus, un loro amico, li avrebbe ospitati.
La Calle Paraíso non sembrava così distante da dove si trovavano, e strumenti in spalla, si misero in marcia sotto il sole rovente.
Marcus li stava aspettando con una canna in bocca seduto sui gradini della porta di una graziosa casetta su una collina, dalle mura bianche e con il tetto piano. Il giardino stepposo, quasi incurato, faceva da cornice con le sue palme, e i cespugli e i fichi d'india sparsi qua e là parevano degli schizzi di colore sulla tavolozza rossa del terreno argilloso sottostante.
"Benvenuti!" Marcus accolse ognuno di loro con un caloroso abbraccio, e li invitò dentro, dove la temperatura sembrava essersi abbassata di qualche grado.
"Accomodatevi! Vi faccio vedere dove dormirete, sarete sicuramente stanchi"
Mostrò loro le stanze dove avrebbero dormito.
David buttò un occhio alla finestra: il mare blu cobalto si fondeva con il cielo e il verde della natura si perdeva tutt'intorno. Ben diverso dalla sua grigia e piovosa Cambridge. Sulla sinistra si vedeva il mercato con i suoi mille colori, profumi e suoni. Decise allora che non sarebbe rimasto lì a riposarsi dopo il lungo viaggio, come i suoi amici, ma sarebbe andato ad esplorare l'isola.
Camminò in mezzo alla natura, senza sapere dove stava andando, quando venne richiamato dal brusìo proveniente dalla cittadina. Superò un arco di pietre e si ritrovò di colpo immerso nel mercato degli hippie. Bancarelle di ogni tipo la facevano da padrone, dove uomini e donne di molte età e nazionalità vendevano la qualunque: collanine fatte a mano, borse di pelle, vestiti, spezie e anche qualche strumento musicale.
Una giovane bionda gli allungò una tracolla marroncina, sfoggiando un raggiante sorriso. David si frugò nelle tasche, in cerca di qualche soldo ma contando sulla mano solo i ramini guadagnati dall'ultima esibizione per strada, per la quale vennero quasi arrestati per accattonaggio, sospirò rassegnato.
"Scusami" le disse con una scrollata di spalle.
Continuò il suo giro, assaporando a pieno la libertà che quell'isola aveva da offrire, quando il suo orecchio venne richiamato, come sotto un incantesimo, dal suono di alcune chitarre.
Si lasciò condurre fino a ché non vide un gruppo di persone raggruppate in una piazzetta, dove una mezza dozzina di chitarristi dalla pelle ambrata, disposti a semicerchio, stavano intonando un canto. Un suono quasi straziato, a metà tra gioia e lamento, passione e dolore. Su una pedana al centro alcune ballerine di flamenco, dall'età indefinita, si muovevano una ad una a ritmo di musica, facendo sbattere i piedi e le mani con furioso impeto.
Gli occhi di David le scrutarono finché il suo sguardo non si posò su di una in particolare.
Ora era da sola sul suo piccolo palcoscenico.
Le forme morbide erano avvolte da una gonna rossa da gitana che le arrivava alle caviglie, i lunghi capelli color dell'ebano legati alla buona in un coda bassa sciolta; danzava sinuosa al principio, lenta, sulle note della musica ispanica, le braccia che si muovevano come due aspidi, quasi avessero un'identità propria, incantarono il giovane inglese che rimase a guardarla come fosse caduto in una sorta di trance.
David notò il viso carico di pathos della giovane ballerina che nel frattempo aveva aumentato il ritmo della sua danza, facendo risuonare i tacchi delle sue scarpe con più vigore. Non si poteva dire se fosse lei ad essere trasportata dalla musica o il contrario.
David si fermò a guardare per un attimo la pelle del proprio braccio: i peli di erano rizzati e un brivido lo percosse lungo tutta la schiena.
Un ragazzo in piedi vicino a lui se ne accorse e con un sorriso sornione, annuendo, gli disse: "Ella tiene duende".
Subito capì. Nonostante quella parola gli fosse sconosciuta capì al volo: bastava guardare il fascino, l'eleganza, la passione e il trasporto con cui quella ragazza eseguiva quella danza. Quella parola astratta, irreale e irrazionale si concretizzava e quasi diventava tangibile solo guardando lei.
Era la forza che scaturisce dalla Terra, sangue che ribolle nelle vene; energia dionisiaca, punto estremo che si crea tra artista e spettatore.
Quante volte lo aveva provato con la sua musica, ogni volta che impugnava la chitarra e lasciava che le dita scorressero da sole sulle corde come un flusso di coscienza.
Lo aveva Jimi Hendrix, lo aveva Billie Holiday e non ultimo di importanza lo aveva il suo amico Syd Barrett.
E ora lei, la meravigliosa ninfa che si dimenava in una danza celestiale e demoniaca allo stesso tempo.
Si risvegliò da quell'ipnosi quando il piccolo pubblico riunito lì intorno cominciò ad applaudire. Le ballerine si inchinarono, applaudendosi a vicenda a loro volta. La ragazza prese un cappello e cominciò a girare tra il pubblico chiedendo qualche spiccio. David si frugò di nuovo tra le tasche senza nemmeno ricordarsi di avere solo pochissimi centesimi e quando la ragazza arrivò a lui glieli mise nel cappello.
A quel punto lei lo guardò: gli occhi del colore del caffè incontrarono i suoi, si spostarono sugli spicci che lui aveva lasciato e senza dire niente si posarono di nuovo su di lui, e riprese il suo giro.
Avrebbe voluto chiederle qualcosa, anche il nome gli sarebbe bastato, ma non ci riuscì; in genere non era timido con le ragazze ma quella creatura divina, senza dire nulla, era riuscita a sottrargli le parole.
"La chiamano la Niña del Viento, ma nessuno sa il suo vero nome" gli rispose lo stesso ragazzo, quasi avesse letto i suoi pensieri.
Quella sera andò a letto con una strana sensazione dentro. Sapeva che era dovuto a quella ragazza: l'inferno interiore che gli aveva causato gli impedì di dormire.
Pensò a lei tutta la notte fissando il soffitto e decise che il giorno dopo sarebbe andato a cercarla, finché non si addormentò alle prime luci dell'alba.

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