Prologo

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"Come fuoco, arderai
con passione tra le fiamme,
Come acqua, troverai
serenità nelle maree,
Come terra, abbraccerai
il nostro ultimo saluto,
E come vento, ritornerai
a essere libero."

L'oceano era un vortice d'inferno. Ogni onda infieriva come un colpo implacabile, un pugno di acqua e sale che mi trascinava sempre più in profondità, come se il mare stesso volesse inghiottirmi negli abissi per non lasciarmi mai più.

Il mio respiro era un sibilo spezzato, un gorgoglio disperato mentre cercavo aria che non c'era, e l'acqua gelida mi strappava via ogni scintilla di calore, penetrando nella carne come migliaia di aghi di ghiaccio.

I vestiti, fradici e strappati, si appiccicavano al mio corpo come una seconda pelle, una pelle di agonia e disperazione. I capelli, un tempo morbidi e leggeri, erano ora fruste di alghe avvolte attorno al mio volto, cinghie salate che mi accecavano e soffocavano, ma le mie mani, spossate e tremanti, non avevano più la forza di liberarmene.

Il mare non era solo furia, era odio puro. Ogni fibra del mio essere urlava di dolore, un dolore che rimbombava nella mia testa come tamburi di guerra, mentre il mondo attorno a me si riduceva a un turbinio di oscurità e onde. Le dita, gonfie e deformate dall'acqua, sembravano quelle di una creatura marina, una creatura che aveva perso la sua umanità.

Non ero più me stessa, ero diventata qualcosa di diverso, qualcosa di oscuro.
Mi sentivo una sirena malvagia, non quella dei canti seducenti, ma una creatura della notte, portatrice di distruzione. Sì, forse il mare mi stava trasformando in una di loro, un'alleata degli abissi.

Il cielo sopra di me era una bestia in tumulto, un mostro di nuvole nere e lampi accecanti. Ogni fulmine che squarciava l'orizzonte sembrava destinato a me, un colpo di grazia per porre fine alla tortura. Pregavo, silenziosamente, che uno di quei lampi mi colpisse, mettendo fine al dolore insopportabile che mi dilaniava. Sentivo il mio corpo vibrare di terrore. Le mie forze si stavano esaurendo, come sabbia che scivolava tra le dita.

Chiusi gli occhi, stringendo le palpebre fino a farle dolere, cercando di prepararmi all'inevitabile. Ma la morte, alla fine, non era ciò che mi terrorizzava. No, la vera paura era che potesse arrivare troppo lentamente, che mi facesse soffrire ancora più a lungo. La rassegnazione mi avvolgeva come una nebbia gelida, e con essa arrivava una strana, amara accettazione. Forse era giusto così, forse il mare mi stava solo riportando a casa.

Poi, una forza oscura e implacabile mi afferrò, un'onda gigantesca che mi sollevò per poi gettarmi giù, nelle profondità più oscure. Sentivo l'acqua circondarmi, pesante come piombo, schiacciarmi il petto, e i miei polmoni bruciavano, implorando aria.

Istintivamente, portai una mano al collo, cercando di strappare via l'inesistente morsa che mi stringeva, ma il mio corpo era ormai un fardello inerte, un sacco di carne e ossa senza volontà.

Eppure, nonostante tutto, nonostante il dolore e la disperazione, una scintilla di vita rimase. Con uno sforzo disumano, una forza che non credevo di avere, scalciai, muovendo le gambe, lottando contro la corrente che cercava di trascinarmi giù. Tornai in superficie, sputando e tossendo acqua, i miei polmoni riempiti di ossigeno come se fosse la prima volta che respiravo.

Dove mi trovavo? Non c'era nulla di riconoscibile, solo un caos di onde nere e un cielo che sembrava voler crollare su di me.

L'acqua mi schiaffeggiava, mi accecava, ma in lontananza, tra la furia degli elementi, vidi qualcosa. Una linea sottile, una spiaggia. Sembrava così lontana, quasi irraggiungibile, ma era l'unica cosa che mi rimaneva.

Poi, sentii una goccia calda scendere lungo la mia guancia. Era acqua salata, o forse una lacrima? Non lo sapevo. Buon Dio, non importava più. Non potevo permettermi di pensare.

Chiusi il naso, stringendo i denti fino a sentire il gusto del sangue, e mi lasciai trascinare dalle onde, ma questa volta con uno scopo. Usai ogni briciolo di forza che mi rimaneva, ogni residuo di energia, e cominciai a nuotare. La terra era lì, davanti a me, ed era tutto ciò che contava.

Ogni movimento era una fitta di dolore, ogni bracciata una lotta contro l'oblio. La testa mi girava, e sentivo il cuore battere furiosamente nel petto, come se volesse scappare dal mio corpo. Ma non potevo fermarmi.

Fermarsi significava morire.

E così continuai. Nuotai con disperazione, con rabbia, con terrore. Nuotai contro la morte stessa.

Nuotai, nuotai e nuotai ancora, spingendomi oltre ogni limite, perché la vita, la mia vita, era l'unica cosa che ancora mi apparteneva. E non l'avrei ceduta all'oceano senza combattere fino all'ultimo respiro.

Blood and TidesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora