Blood and Tides

1. Lama nel Buio

"Arriverà un momento in cui
crederai che tutto sia finito.
Questo sarà l'inizio."
-Epicuro

☆

In un'epoca lontana, quando le stelle appena nate brillavano nel cielo come gioielli appena forgiati, e il firmamento era un vasto oceano di mistero, viveva una ninfa di nome Nyssa. La leggenda narra che Nyssa abitasse nei recessi più profondi dei boschi incantati, dove la luce del sole si avventurava timidamente e solo i raggi più audaci riuscivano a penetrare tra le fronde.

In quel luogo, dove l'oscurità era interrotta solo dal bagliore delle stelle lontane, si diceva che la sua presenza fosse parte del respiro stesso della foresta.

Nyssa era una creatura di ineguagliabile bellezza, la sua figura slanciata e delicata sembrava scolpita dalla luce degli astri. La sua pelle, eterea e traslucida, rifletteva i segreti nascosti nelle profondità del cosmo, e i suoi occhi erano specchi profondi che catturavano l'essenza delle maree e dei venti notturni. Era una figlia della notte e delle acque, un ponte tra il mondo visibile e quello ignoto.

Ogni notte, quando la luna si innalzava alta nel cielo, Nyssa emergeva dalle ombre per danzare sotto il chiarore argenteo. I suoi movimenti, leggeri e aggraziati, sfidavano la gravità, mentre la sua figura si fondeva con le ombre, diventando una manifestazione vivente di luci e tenebre.

Si raccontava che chiunque avesse avuto la fortuna di vederla danzare, avrebbe potuto intravedere un riflesso della propria anima nei suoi movimenti. Tuttavia, solo coloro con un cuore puro e il coraggio di affrontare l'oscurità potevano davvero comprendere il significato profondo di quella visione, trovando così la strada della salvezza.

E quel nome era anche il mio.
Nyssa Delacroix.

Ma tornando alla realtà, a ciò che mi ancoràva ancora a quel mondo...

Ogni bracciata verso la riva era un'impresa disperata, mentre la furia della tempesta mi inseguiva con la forza di una bestia selvaggia. I fulmini squarciavano il cielo come artigli incandescenti, e il ruggito dei tuoni sembrava provenire dalle profondità dell'oceano. Ogni colpo d'onda mi respingeva, eppure continuavo a lottare, costringendo i muscoli stremati a muoversi, a non arrendersi.

Le onde, sebbene non più furiose come all'inizio, rimanevano un avversario temibile. Ogni bracciata era una battaglia, ogni respiro un ricordo di quanto fosse vicino il baratro dell'oblio. I miei muscoli, dolenti e irrigiditi, rispondevano con movimenti lenti e pesanti, come se fossero immersi in una sostanza densa che cercava di trascinarmi verso il fondo. Ma non potevo cedere, non dopo essere arrivata così vicina alla riva.

Quando finalmente sentii il fondale sotto i piedi, un'ondata di sollievo mi travolse. Tentai di sollevarmi, di trovare stabilità su quella sabbia tanto desiderata, ma il mio corpo, esausto e indebolito, cedette sotto il peso della fatica accumulata. Caddi in ginocchio, affondando nella sabbia umida e fredda, e cominciai a gattonare verso la spiaggia come una creatura ferita in cerca di rifugio.

La sabbia si incastrava tra le dita, si accumulava sui miei abiti strappati, e ogni movimento era una lotta contro il terreno che sembrava voler inghiottire il mio corpo stremato.

La tempesta continuava a infuriare alle mie spalle, i fulmini illuminavano a intermittenza il paesaggio, e i tuoni rimbombavano come il ruggito di un gigante furente. Le ginocchia, ormai graffiate e sanguinanti, si muovevano con uno sforzo disperato, mentre la sabbia si incollava alle ferite aperte, aumentando il dolore a ogni passo.

Poco dopo, quando il terreno divenne abbastanza solido sotto di me, mi lasciai cadere pesantemente, esausta. La sabbia mi avvolse come un manto freddo, un contrasto rassicurante rispetto alla furia selvaggia del mare. Chiusi gli occhi, lasciando che il mio viso si immergesse nella sabbia, cercando disperatamente di trovare un momento di pace.