4 - Charlotte

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Sfogliai ancora una volta il libro, accarezzando con le dita le parole stampate alla perfezione. Non sapevo con certezza quante volte l'avessi letto di preciso, ma riuscivo quasi a recitare interi capitoli a memoria. Lo chiusi per un attimo e mi misi ad ammirare la splendida copertina decorata con immagini di fiamme e fumo. Passai i polpastrelli sul nome dell'autrice, sentendone la superficie liscia e leggermente in rilievo. Harper Cooper, mia madre.

Aveva deciso di utilizzare il nome di mio padre, fin dal primo giorno di nozze, e si giustificava dicendo che troppi ricordi dolorosi erano legati al suo vecchio nome. Non mi ha mai voluto dire quale era, l'unica cosa che sono riuscita a farle ammettere era che apparteneva al suo primo marito che l'aveva abbandonata.

Come ha anche deciso di far stampare una sola copia del suo romanzo, la stessa che ora tenevo in mano. Non ho mai capito il motivo di questa scelta: il libro era scritto veramente bene, la trama e i personaggi pure. Ogni volta che le chiedevo spiegazioni rispondeva sempre con la stessa frase: «Il mondo non è ancora pronto per leggere questa storia.»

Eppure non mi sembrava che avesse nulla di particolare: era un fantasy, dove la protagonista dotata del potere del fuoco si innamora di un uomo affascinante, ma con poteri oscuri. Avevo letto molti altri libri di questo genere, ma lei insisteva che il suo fosse completamente diverso.

Sospirai e appoggiai la testa sul materasso del mio letto, quando sentii il campanello di casa suonare. Alzai la testa di scatto, domandandomi chi potesse essere a quest'ora. Un corriere di Amazon, forse?

«Lottie! Vai tu a vedere chi è!» la voce di mia madre rimbombò in tutta la casa. Sbuffai e mi alzai a fatica dal letto, ma quando vidi sullo schermo d'ingresso il volto della persona che aveva appena suonato, mi bloccai per un attimo.

«Benjamin?» domandai, stranita, mentre ricontrollavo l'immagine sullo schermo. Il mio migliore amico aveva una faccia sconvolta e spaesata, i suoi capelli castani, di solito sempre curati, erano un groviglio disordinato. Aprii senza pensarci due volte, mentre l'ansia mi saliva al petto.

Sapevo quale era la sua situazione a casa, avevo provato a convincerlo a denunciare il tutto alla polizia, ma lui si era sempre rifiutato. «È mio padre.» rispondeva sempre, come se quella semplice frase potesse spiegare tutto. Non attesi nemmeno che percorresse l'intero vialetto prima di andargli incontro.

«Cosa è successo? Stai bene?» I suoi occhi nocciola, di solito allegri, erano persi nel vuoto. Lo controllai velocemente, ma non c'era nulla di visibile. «Tua madre sta bene? Addison?»

«Addison è fuori città insieme al suo nuovo ragazzo.» furono le prime parole che mi rivolse. Tirai un sospiro di sollievo: almeno sua sorella maggiore era fuori pericolo. Corrugai la fronte quando notai quello che aveva sottobraccio. «Perché hai il libro di matematica?»

«Non ho capito l'ultimo argomento, me lo potresti rispiegare?» rispose meccanicamente. Non si muoveva di un millimetro e il suo sguardo non incrociava mai i miei occhi.

«Non sei qui per matematica. Non mi muoverò di qui finché non mi dirai che cosa è successo.» Il cuore mi batteva sempre più forte, non aveva ancora risposto alle mie prime due domande. Se Anthony aveva fatto qualcosa a sua madre... stavolta avrei chiamato personalmente le forze dell'ordine.

«Sto bene, non è successo niente. Mia mamma sta bene. Stiamo tutti bene.»

«Non è vero. Sei un pessimo bugiardo.» Lui inspirò bruscamente. «Forse ho sbagliato a venire qua, avrei dovuto andare da Dylan per farmi spiegare matematica.» Corrugai la fronte.

«Chi? Quel ragazzo strano che non parla mai con nessuno? Seriamente Benjamin?»

«Dicono che sia bravo in matematica, anzi, in tutte le materie.» Era successo qualcosa, qualcosa di orribile se non voleva parlarne nemmeno con me. Ci conoscevamo fin da quando eravamo bambini, mi diceva sempre tutto, anche quando Anthony picchiava lui e sua madre.

«Entriamo in casa, comincia a fare freddo.» L'autunno cominciava a diventare più gelido e aggressivo, le foglie ormai formavano tappeti morbidi sulla maggior parte dei marciapiedi. Gli appoggiai una mano sul fianco, per guidarlo in casa, ma la staccai immediatamente di fronte alla sua smorfia di dolore. Gli alzai sia la felpa che la maglietta, prima che potesse reagire, e fissai con orrore i lividi violacei che erano spuntati sul suo corpo muscoloso.

«Io chiamo la polizia.» Feci per prendere il cellulare, ma Benjamin poggiò la mano sul mio braccio, bloccandomi. «No, ti prego, non farlo.»

Spensi con un click lo schermo del telefono, ma non mi mossi di un millimetro. «Dammi un buon motivo.» ringhiai. «Dammi un cazzo di buon motivo per non far rinchiudere Anthony in carcere e buttare via la chiave.»

Stavo per aggiungere qualcos'altro, ma le parole mi si fermarono in gola quando vidi delle lacrime rigargli il volto.

«Perché non c'è più nessuno da mandare in prigione.» singhiozzò e mi gettò le braccia al collo. Ricambiai l'abbraccio, la rabbia era improvvisamente sparita, sostituita da un terrore gelido che mi penetrava nelle ossa. «Che cosa è successo?»

«Ho ucciso mio padre, Lottie, ho ucciso mio padre.»

L'Isola dei Tre Regni - Il Regno di Morte e OssaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora