7. L'inizio del matrimonio tra Grego e Kathelene - usanze rumene

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Kathelene sposò alla fine Grego, andò a vivere insieme a lui e alla sua madre, oramai negli ultimi mesi di vita.

Si prese cura della suocera con molto affetto e devozione unica, per i prossimi sei mesi, senza cambiarsi per andare a letto a dormire, ma standole vicino, sbrigando nel frattempo tutti i lavori necessari.

La casa fu costruita da pochi anni, ma fatta da scarti piuttosto, da mattoni di fango, con porte e finestre da quale passava facilmente il freddo e la corrente, con muri crepati e con dislivelli e stufa che scaldava mai.

Non c'erano dei rediti, la suocera, poverina, era rimasta con nulla e non avendo una pensione non aveva da dove prendere un solo soldo.

Gli aveva trovati con la convinzione e l'orgoglio di avere un cavallo, ma cosi vecchio, magro e privo di forze, che non poteva essere d'aiuto in nessun modo, appena si teneva in piedi.

Si doveva agire: andò dai genitori anche lei con l'anima spezzata e loro procederono come con le sue sorelle prima di lei, ma le dettero anche una mucca, per avere almeno da mangiare.

Poi lei si rimboccò le maniche e inizio a sistemare la casetta: lavorò a uncinetto bellissime tendine, che non c'erano alle finestre, con fiorellini colorati dolcemente, che cambiarono già l'aspetto alle camere.

Poi iniziò muro per muro, camera per camera, con le sue manine, a ripararli e raddrizzarli.

Dopo che la sua suocera non c'era più, di giorno era sui campi, sì, per lavorare quella terra promessa, e di notte cuciva, lavorava ogni cosa a mano per addobbare la casa, per gli indumenti necessari.

Nel frattempo continuava a migliorare le condizioni della casa, cambiò gli infissi, la stufa, intonacò i muri e questo cambiò radicalmente l'aspetto di essa, dentro che fuori.

Tutti i lavori, dei campi, del giardino, in casa, erano eseguiti manualmente, maggiorità parte portati a buon fine da Kathelene, perché Grego poteva aiutare ben poco.

Per guadagnare quel poco niente tesseva tappeti, copriletto, lavorava a feri ogni tipo di indumento, gonne, maglie, vestiti, soprabiti, capoti.

Tutto quello che usciva dalle sue mani, fatto con massima responsabilità, impegno, dedizione e passione, era un capolavoro.

Non era un caso che veniva nominata "Kathelene mani d'oro".

Venivano sempre da lei, anche da villaggi lontani, a seguito di passa parola, per chiedere un consiglio per una situazione o cosa, sapendola anche più che discreta, per chiedere la lavorazione di qualche copriletto o di qualche indumento oppure solo che insegnasse loro come si fa quello o quell'altro lavoro, per sbrigarselo in autonomia.

Era veramente molto nota per essere capace a tirare su un foglio specifico millimetrico il modello di un tappeto o copriletto, avendo davanti semplicemente un pezzo già lavorato da altre persone.

Di una saggezza sorprendentemente acuta e non di meno intelligenza, le veniva spesso detto che se i genitori avessero avuto la possibilità di mandarla a studiare, anche dopo le medie, sarebbe arrivata senza alcun dubbio una persona importante, di grande valore.

Ma di grande valore era comunque, anche nella sua umile semplicità.

Tra tutti i lavori, anzi, per avere la stoffa da quale ricavare tutto il necessario per la casa e non, all'epoca era usata principalmente la canapa, essendo considerata ancor oggi uno dei tessuti più ecologici al mondo.

Anche la lana si usava come tutt'oggi, per lavorare indumenti a ferri, tessere tappeti, riempire le trapunte. Dopo aver tosato le pecore si andava al torrente per lavare la lana e seguivano tutte le operazioni perché questa diventasse filo. Poi si tingeva, secondo le necessità e gusti, con colori naturali ottenuti dalla macerazione o l'infuso di diverse piante, scorze, fiori.

Mentre invece per la canapa si dovevano seminare le piante, che, per fortuna, ama l'ambiente. Avendo gli steli profondamente alti e dritti riesce a controllare le piante infestanti, non avendo necessità da molta irrigazione o l'utilizzo di trattamenti con pesticidi, come contrariamente ne ha il bisogno il cotone.

Fino al periodo di proibizionismo della canapa, intorno all'anno 1975, l'Italia è stata la maggior produttrice di canapa tessile e anche la prima per la sua buona qualità. Purtroppo, è stata messa da parte la sua coltivazione, sia per le ragioni politiche, che per la concorrenza dovuta all'importazione di altri tipi di fibre, come il cotone o le fibre sintetiche.

Rispettando certe regole molto specifiche da seguire, in merito alla sua coltivazione, oggi in Italia la canapa sta diventando nuovamente molto usata, fortunatamente.

Le sue proprietà, quasi come quelle della lana, traspirante, termoregolatrice, antimicrobica, igroscopica, resistente, sono certamente da apprezzare.

Per la lavorazione manuale della canapa, la Kathelene metteva gli steli in acqua, legati in guaine e li conservava in questo modo fino ad una settimana, essendo il processo di macerazione. Quindi le lavava e le asciugava.

Una volta asciutte, venivano colpite con un bastone di legno, che aveva nella punta un pezzo di metallo simile ad un coltello, per staccare i fili dal gambo e ottenere la filatura.

Il passo successivo era la pettinatura, con una spazzola speciale composta da due parti di legno su cui erano incastrati dei denti di metallo. Usava per prima la spazzola con i denti più lunghi e poi quella con i denti più corti.

I resti degli steli venivano utilizzati come combustibile per le stufe. I fili così ottenuti venivano inseriti nell'aculeo della forchetta e poi li torceva.

Usava poi un attrezzo per arrotolare la filatura in grandi dimensioni. Raccoglieva cosi in fasci da trenta per tenere traccia del loro numero.

Questi fasci poi gli metteva in un sacco dopo avergli imbevuti di una pasta fatta di cenere.

Dopo aver fatto un buon fuoco nel forno a legna, dopo averlo pulito di brace, metteva dentro i sacchi umidi fino al giorno dopo. Poi, per diversi giorni, li sciacquava più volte in acqua, lasciandoli asciugare al sole e ripetendo l'operazione ancora e ancora. Il passo successivo era la tessitura.

I pezzi tessuti e piegati venivano messi in un cesto grande, con un foro nella parte inferiore attraverso il quale veniva tolta l'acqua. L'acqua veniva fatta bollire e versata sui pezzi di tessuto piegati, risciacquandoli, eliminando poi l'acqua si rifaceva da capo più volte.

Tutto ciò veniva fatto per ammorbidire il tessuto; a quei tempi era consuetudine aggiungere un cucchiaio di grasso di maiale all'ultima acqua bollita, per renderlo ancora più morbido. Poi li stendeva bene, in rotoli ben stretti, per dare l'impressione di essere già stirati.

Al bisogno si prendeva uno dei pezzi di questa stoffa e si cuciva a mano in base alle necessità.

Non aveva un solo attimo di tregua, c'era sempre qualcosa da fare, velocemente e bene, giorno di giorno fino a notte fonda e anche di notte, quando necessitava.

Il figlioletto arrivò dopo un anno di matrimonio e crescendo dimostrò di essere d'aiuto alla madre, con quello che riusciva, era un bravo bambino e lo chiamarono Sergio.

Per quanto ininterrottamente lavorassero, facendo sacrifici indicibili, Kathelene e Grego, erano sempre al margine della sopravvivenza, vivendo in un epoca difficile, come difficile, se non impossibile veniva loro ad accettare la nascita di un altro figlio.

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