Capitolo uno.

66 12 5
                                    

Pov: Petra

Le porte del bar si aprono con un cigolio sottile, quasi impercettibile, mentre entro e un'ondata di odori familiari mi avvolge. Il caffè forte, il fumo delle sigarette che aleggia come una nebbia leggera e quel misto indefinibile di alcool e umidità, tipico di certi locali di Napoli. Un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato, dove il giorno e la notte si fondono senza distinzione, e le voci si mischiano in un unico brusio costante, come il mare che lambisce la riva incessantemente.

Mi stringo nel mio top chiaro, cercando un po' di calore. Nonostante il tessuto sottile, è come se sentissi sempre un freddo leggero, una mancanza di calore che non riesco mai a scacciare. I miei jeans larghi ondeggiano leggermente mentre mi avvicino al bancone, cercando di non attirare troppa attenzione. Le persone attorno a me, quasi tutte uomini, non sembrano nemmeno accorgersi della mia presenza. Parlano tra loro in dialetto stretto, ridendo e gesticolando con una familiarità che non mi appartiene.

Il barista, un uomo robusto con un grembiule sporco e una barba incolta, mi guarda distrattamente mentre mi avvicino. I suoi occhi scuri si soffermano sui miei per un istante, poi torna a pulire distrattamente un bicchiere già pulito.

«Salve...» La mia voce è appena un sussurro, ma abbastanza forte da fargli alzare lo sguardo. «State cercando qualcuno... qualcuno da assumere?»

La domanda sembra coglierlo di sorpresa. Mi osserva, forse notando per la prima volta i miei capelli biondo-castani che ricadono sulle spalle e gli occhiali che mi scivolano leggermente sul naso. Dietro di lui, intravedo i riflessi dei miei occhi marroni nello specchio sporco appeso alla parete, un'immagine vaga, sfocata, come mi sento spesso io.

Prima che il barista possa rispondere, percepisco un movimento alla mia destra. Qualcuno si avvicina. Lo sento prima di vederlo, un'energia densa, quasi insopportabile, che sembra assorbire tutto il resto. Mi volto lentamente e lo vedo.

Un ragazzo si avvicina a me con un'aria sicura e spavalda, i suoi occhi scuri sono fissi sui miei. È bello in un modo inquietante, con un'energia pericolosa che lo circonda. I suoi amici lo seguono da vicino, ragazzi con sguardi duri e sorrisi appena accennati, ma non c'è dubbio su chi sia al comando.

Non so chi sia, ma la sua presenza riempie la stanza come un'ombra pesante. C'è qualcosa in lui che mi fa tremare le mani, anche se cerco di non mostrarlo.

Quando mi parla, la sua voce è bassa, avvolta in un dialetto che mi suona familiare ma che lui usa con una confidenza che non ho mai sentito prima.

«E pecché vuò lavorà proprio 'cca? Nun è 'o posto adatto a te, sai?»

Le sue parole mi bloccano. È diretto, quasi sprezzante, e non posso fare a meno di sentire un brivido corrermi lungo la schiena. Ma so che devo rispondere. Non posso permettermi di sembrare debole o spaventata, anche se lo sono.

Gli sorrido leggermente, un gesto che è più per educazione che per altro. È un sorriso timido, appena accennato. «Mi serve il lavoro,» dico, la mia voce è bassa e un po' tremante, ma sincera.

Per un attimo, i suoi occhi mi scrutano, valutando ogni dettaglio di me. Non so cosa stia cercando di capire, ma l'intensità del suo sguardo mi fa sentire vulnerabile. Come se avesse già capito tutto di me con un solo sguardo.

Il barista dietro il bancone distoglie lo sguardo, forse per evitare di essere coinvolto in quello che sta accadendo. Io invece, non posso fare a meno di sentirmi intrappolata, ma so che devo resistere. Non posso andarmene adesso, non dopo questo incontro.

E così resto lì, in piedi, sotto il peso di quegli occhi che sembrano vedere troppo.

Mi sento quasi paralizzata dalla pressione della situazione. Il moro continua a fissarmi con uno sguardo penetrante, il suo volto inchiodato in una smorfia di disprezzo divertito. I suoi amici intorno a lui, un gruppo di ragazzi che sembrano fatti di muscoli e tendenze aggressive, seguono la scena con interesse malcelato. Sento i loro occhi che si posano su di me, e il loro mormorio sommesso di approvazione e ridacchiamenti che accompagna ogni parola del loro amico.

L'angelo. || Ciro Ricci., MARE FUORI. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora