Capitolo 1

3 1 0
                                    

RICORDO CHE QUESTO LIBRO PARLA DI TEMATICHE MOLTO PESANTI QUALI DISTURBI ALIMENTARI E AUTOLESIONISMO.
SE QUALCUNO SI TROVA IN QUESTE SITUAZIONI CHIEDO DI RIVOLGERSI AD UN AIUTO COMPETENTE. SE AVETE BISOGNO SCRIVETEMI. SE SIETE IN QUALCHE MODO MOLTO SENSIBILI NON LEGGETE.

Volevo diventare leggera,

come una nuvola.

Però quella nuvola stava diventando grigia

e pesante

Piena di pioggia.

Ed è proprio quello che volevo evitare.

Diventare.

Di nuovo.

Pesante.

 

La reputo la mia migliore amica. Ogni volta che mi guarda con i suoi grandi occhi mi sento osservata nel mio interiore. Messa a nudo. Scoperta. Non posso nasconderle nulla.

E’ il mio gatto che mi scruta: Vivi. L’ho trovata tempo fa in un campeggio sporca e malandata. Fin da subito tra noi due è scattato un feeling pazzesco: mi dava i bacini, mi dormiva sulla spalla e giocavamo sempre con il suo giochino preferito (un cordino) per ore ed ore. Avevo l’età di 13 anni. Essendo figlia unica non mi sentivo più sola con lei al mio fianco perché finalmente avevo una compagna di vita con cui passare il mio tempo e di cui pendermi cura. Vivi è una delle gatte più belle al mondo (almeno per me): ha un pelo arancione lunghissimo molto morbido e lucente,  con le zampette e la codina bianche e con due occhi color miele.

Sprofondo la mano sul suo pelo e inizio a coccolarla. “Cosa mi guardi?” le chiedo sorridendo. Con tutta sincerità non ci vuole un genio a capire che sono veramente messa male. Ho da mesi un mal di testa che mi toglie tutte le energie e mi fa dormire male la notte con la bruttissima conseguenza di avere due occhiaie violacee e profonde sotto gli occhi. Inoltre ho passato tutto il pomeriggio a letto a fissare il soffitto e sui social. Dovrebbero togliermeli. Mi soffoca l’idea che le persone si godono la vita andando in giro, uscendo con le amiche, visitando luoghi straordinari e io qui. Su un letto da tutto il pomeriggio. Mi mette ansia tutto ciò. E’ come se io avessi l’impressione perenne di non starmi vivendo la vita, come se cercassi di prendere l’acqua come le mani: mi scivola via. E’ questo quello che mi sta succedendo all’ età di 18 anni. Mi sta scivolando la vita addosso.

Mi alzo dal letto e vado in bagno. Mi sciacquo la faccia e mi guardo allo specchio. I capelli rossi scompigliati sono tutti attaccati alla faccia e la pelle è arrossata. “Che disastro “ penso.  Continuo a fissare ogni singola e inutile imperfezione del mio viso: quel minuscolo neo, quel brufoletto rosso, quel buchino sulla pelle e quella cicatrice. Mi fisso per così tanto tempo che non riconosco più la mia faccia.

“ Iris è pronto”. Mamma mi chiama da di sotto. Do un’occhiata al mio esile corpo davanti allo specchio, vizio che ho da mesi, e scendo le scale. Vivi mi segue subito dopo.

“Sei sicura che non vuoi un po’ di pasta?” mi chiede mamma.  “No no, tranquilla” mi siedo mentre mia mamma, Sabrina, e mio papà , Leonardo, hanno dei piatti colmi di pasta. Li fisso con gli occhi innamorati. Ogni piccolo spaghetto dentro di me racchiude una botte di ansia ma anche di tristezza e di infinita nostalgia. Nostalgia perché erano anche il mio cibo preferito. Al sugo, al pesto, in bianco, con l’olio. Non faceva la differenza. Metterli in bocca e assaporarli finchè il gusto non si protrae in tutto il corpo, ti riscalda e ti dà energia non aveva nessun paragone.

Sposto lo sguardo sul mio piatto. Un vuoto e triste petto di pollo. Terza volta che lo mangio in una settimana. Ma è uno dei cibi che mi fa stare tranquilla e che, soprattutto, non mi fa sentire in colpa. Perché è il senso di colpa che mi divora. E’ il senso di colpa che mi vieta di guardarmi in faccia negli occhi quando mi guarda allo specchio.  Ma è quello che mi merito. Devo farlo per essere voluta dalla società. Devo farlo per volermi bene. Devo farlo perché non sono come tutte le altre ragazze. Io sono diversa e mi merito questo trattamento, se si può chiamare così.

Mangio il pollo a denti stretti. Cerco di cogliere l’essenza di quello che sto mangiando, di assaporarlo, di vedere in lui qualcosa di diverso e che mi possa piacere. Ma è inutile. Rimane un viscido e vuoto petto di pollo. Avanzo l’ultima fetta e inizio a salire le scale per tornare nel mio buco solitario, detto anche camera, con Vivi.

“Rimani un po’ con noi, sembri un’estranea a volte” mi ferma mio padre. “Va bene” affermo. Mi risiedo e aspetto che qualcuno dica qualcosa. “Hai fatto i compiti per domani? Sei pronta per l’interrogazione?”  mi bombarda mia madre.

“Sì mamma”. E’ ovvio, non posso mica deludere i miei genitori. Devo essere perfetta in tutto e per tutto. Soprattutto a scuola. Devo eccellere. Non importa come io stia. Non importa il buco nel mio stomaco. L’importante è che io vada bene a scuola. Ogni volta che parliamo il tema centrale è la scuola.  I miei mi hanno sempre supportato ma in maniera un po’ tossica. Non mi hanno mai permesso di sbagliare, cadere, ma mi sono sempre rimasti vicini ed aiutata.

“Bene, brava, vedrai che domani farai una bella figura” ribatte mio padre.

“Speriamo…” mi alzo e cerco di dileguarmi. Questa volta ci riesco.

Prendo il telefono e chiamo Beatrice. La mia migliore amica da ormai tre anni, nonché compagna di banco. E’ una ragazza molto educata, gentile e sensibile ed è soprattutto bellissima. Ha gli occhi azzurri e i capelli di un biondo quasi angelico. Da fare invidia.

“Ciao Iris, pronta per la nuova settimana?” mi saluta. “No, assolutamente no” rispondo con tutta la sincerità di questo mondo.
“Dai che ce la facciamo. Poi sabato prossimo c’è la festa di Lucia. Sono troppo gasata per questo!  So già come  vestirmi”
“ Si? Come?”
“Con il vestito lungo blu che ho usato per il matrimonio di mia zia, con la schiena scoperta, ricordi?” “ Si che ricordo, sarai uno schianto” ed è la verità. Sarà bellissima.  “Non so poi se farà caldo. In caso mi metto il vestito nero sbracciato”. Ecco un altro punto dolente. Un altro scheletro nascosto dentro il mio armadio.  Le magliette e vestiti a maniche corti non li posso più indossare, per ora. Sono stata tanto dura con me stessa in questi ultimi mesi, anni di vita. Ho preso la mia pelle e l’ho trattata male, l’ho dipinta di segni che non andranno più via. Ma non me ne faccio una colpa. Sono vittima di emozioni che non so gestire e che, nei momenti di caos, scaglio su me stessa.  Sento spesso un grande rumore intorno a me e una grande confusione nella mia testa, come se mille voci mi urlassero contro mille cose cattive diverse. Non me ne vergogno nemmeno.  Ribadisco, non è colpa mia. Ed è un segreto che nessuno sa, tranne Vivi e la mia psicologa.

“Bellissimo anche quello, ma siccome siamo a gennaio penso che farà freddo” “Hai ragione ma ti ricordo che saremo al chiuso” ribadisce.  Non ha tutti i torti. “Chiederemo direttamente a Lucia domani mattina”

Restiamo a parlare del più e del meno per un’altra mezz’ora, dopodiché ci salutiamo.

Mi giro verso Vivi. “Bene Vivi, è arrivato il momento preferito della giornata, la sera”. Mi guarda con i suoi occhioni e si mette vicino a me. Io prendo le cuffie e mi faccio trasportare dalla musica.

________
Scusate per eventuali errori grammaticali. La correzione verrà fatta a fine libro (sempre se ci sarà una fine).
Chiedo se gentilmente potete fare una recensione o una critica costrttiva.

Dentro la testa di IrisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora