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LUX'S POV

15 mesi dopo...

Quando vivevo in California amavo New York.
Amavo l'idea di una grande citta, che sgorgava di vita e di persone.
Fin da quando ero bambina sognavo di trasferirmici, pensavo che in una città così grande, sentirsi soli fosse impossibile.

Eppure, avevo scoperto che lo era, lo era eccome. E oltre allo sentirsi soli, ci si sentiva anche piccoli.
Avevo imparato ad odiare New York. Avevo imparato ad odiare ogni, singolo, minuto del mio soggiorno nella città che non dorme mai.

Eppure, i giorni passavano ed io ero costretta a rimanere nel mio appartamento a Park Slope.
Vivevo nella monotonia.

Ogni giorno mi alzavo alle cinque del mattino, mi sedevo davanti al computer e analizzavo i file di spacciatori colombiani.

Ogni giorno era una copia di quello precedente.
Ero dentro ad un loop senza fine.

Non mi era permesso praticare ciò per cui avevo studiato per grand parte della mia vita.
Potevo solo fornire ipotesi e suggerire a Rowan e Adak, due agenti, di prestare più attenzione a qualcosa presente nel file. Prima davo ordini a quei due, ora posso a malapena invitarli a dare un occhiata alle mie mail.

Non mi era consentito lasciare la casa senza prima avvertire il mio capo, Murray.
Mi era stato vietato l'accesso a parchi, musei e altri luoghi in cui si potevano radunare grandi folle.

Il mio ginocchio era migliorato notevolmente, ma Murray pensava che fosse ancora "poco opportuno" mandarmi in missione.

Così passavo il mio tempo libero a guardare soap opere scadenti e a cucire a maglia. La situazione era quasi ironica. Sono passata dall'essere uno dei migliori agenti segreti di tutta l'America all'essere una nonnetta con reumatismi alle ginocchia.

Anche quella mattina, come tutte le altre mattine d'altronde, stavo leggendo uno dei rapporti consegnati da Adak.

Tuttavia, arrivata a metà file, mi resi conto che c'era qualcosa che non andava.
E quel qualcosa non si trovava all'interno del file world del ragazzo, che per miracolo sembrava anche privo di errrori grammaticali.

La sensazione di non essere sola all'interno del piccolo abitacolo mi travolse come un onda in pieno mare.

In ogni modo, però, era impossibile che avessi qualunque tipo di compagnia perchè nessuno, escluso Murray, sapeva dove si trovasse il mio appartamento.

Quindi tornai con gli occhi di nuovo sul computer, per finire di leggere il rapporto.
Non più di cinque minuti dopo, un rumore sordo proveniente dal corridoio, mi arrivò forte e chiaro alle orecchie.

Mi bloccai immediatamente, sentendo un brivido freddo salirmi per la schiena.

Non era possibile.

Tesi la mano al di sotto della scrivania alla quale ero seduta per afferrare la pistola che tenevo legata sotto di essa con delle cinte di cuoio, ma quando invece che toccare il metallo freddo dell'arma i miei polpastrelli percepirono il lego della mia scrivania, la realtà mi cadde addosso come un secchio d'acqua gelida.

Un rivolo di sudore mi ricoprì le mani che, frenetiche, afferrarono il taglia carte presente nel cassettino della scrivania.

Mi alzai e mi tolsi le scarpe, cercando di pensare lucidamente.
Camminai piano, proprio come mi avevano insegnato, calcolando i miei passi e moderando la forza con cui posavo i miei piedi sul parquet scricchiolante.

Attraversai il corridoio e intercettai un rumore di passi provenire dalla mia camera.

Arrivata a quel punto non potevo permettere all'ansia di controllarmi. Dovevo riflettere.
Sapevo che il mio visitatore avesse con se la mia pistola, che aveva inseriti si e no cinque colpi.
Tuttavia, non sapevo se avesse con se qualche altra arma o magari delle ricariche.

DANCING DEVILSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora