TWO

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Mi sveglio al rumore del frullatore.

Mi stropiccio gli occhi e cerco di individuare la sveglia senza lasciare la posizione perfetta in cui mi trovavo nel dormire. Lascio scivolare una mano fuori dalle coperte e allungo le dita per raggiungerla sul comodino a fianco del letto. Mi sembra di sentire tutte le giunture separarsi in modo da potermi permettere di afferrare la sveglia, prima che riesca a sfiorarla con i polpastrelli e, a fatica, farla rotolare giù sul mio letto. Me la porto in grembo e la lascio lì per un attimo, mentre recupero le forze, abbassando le palpebre alla ricerca degli ultimi brandelli di sonno.

Quando capisco che tentare di riaddormentarsi è uno sforzo inutile, sospiro pesantemente e controllo l'ora. Mi prende quasi un colpo. Mi tiro su di scatto e guardo un'altra volta, sperando di aver letto male i numeri digitali. Inorridito, constato che no, sono effettivamente le 08.32.

L'urgenza di uccidere Jason minaccia di sovrastarmi. Ma poi mi calmo e mi dico che sta preparando la colazione, che è un buon modo per fare ammenda. Basta che svegliarsi così presto non diventi un'abitudine e posso perdonarlo.

Alzarsi dal letto, abbandonare la morbidezza del materasso e il calore delle coperte è uno strazio. Barcollo fino al bagno, dove posso svuotare la vescica e fare mente locale mentre mi sciacquo la faccia. Non mi disturba fare la mia comparsa mattutina in pigiama – anche vestito decentemente conserverei la stessa, identica faccia sbattuta che ho adesso.

Jason fischietta mentre frigge due uova in una padella e alcune strisce di bacon in un'altra. Faccio del mio meglio per ignorare la tutina che indossa, uno dei classici completi sportivi attillati dai colori fosforescenti.

I miei piedi nudi producono un odioso risucchio sulle piastrelle della cucina.

Jason si volta e mi sorride. «Buongiorno» dice, rigirando il bacon con un colpo secco del polso.

«'Giorno» biascico.

Non capirò mai la gente che è felice di prima mattina. Per me, rimarrà uno dei grandi misteri dell'universo.

«Ho fatto un po' di spesa» mi informa Jason. Controlla con un occhio il cibo e con l'altro guarda me. «È giusto il necessario per un paio di giorni, quindi poi dovremo andare al supermercato per fare scorte. Le uova stanno cuocendo, ma ho già preparato un frullato ai frutti di bosco, se ti va. È...»

«C'è caffè?» lo interrompo.

A Jason sfugge un mezzo sorriso. «Seconda mensola sulla destra.»

Apro l'anta e, prima di prendere il sacchetto di caffè, mi soffermo a esaminare i pacchi di biscotti che ha comprato il mio terapista. È piuttosto efficiente, quel ragazzo. Al momento, farebbe concorrenza a una colf filippina con due lettere di raccomandazione.

Mi volto verso di lui e agito la confezione. «Tu?»

Jason scuote la testa. «No, grazie.»

Trovare una tazza in quella cucina aliena richiede più impegno, ma alla fine ne trovo un set da sei, ognuna delle quali decorata con fiori, piante e frutti diversi. Scelgo quella che rispecchia meglio il mio umore adesso, con arance e limoni dipinti sullo sfondo bianco, agrumi acidi come me.

Mi affianco a Jason e accendo il fornello più piccolo, preparo la moca e la metto sul fuoco. Fisso la caffettiera e le ordino di spicciarsi con la forza del pensiero.

Non mi piace stare così vicino alle persone, non mi piace il contatto fisico, non mi piace nemmeno l'idea. Il mio braccio sfiora il bicipite di Jason, un millimetro di aria e pelle, e già sento i palmi delle mani inumidirsi.

Apro la bocca per dire qualcosa, ma non mi viene niente di intelligente, così la richiudo. Esito, però poi mi affaccendo attorno al tavolo, sistemando i tovaglioli, le posate, i bicchieri. Prego che Jason non noti il mio nervosismo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 09, 2015 ⏰

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