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Sarah

Non avevo idea di quale gioco stessi giocando, né con lui né con me stessa. Noah era carino, gentile, attraente, eppure lo avevo lasciato lì sulla spiaggia, usandolo solo per costringere Alex a confessare. E lui lo aveva fatto. Aveva ammesso la gelosia. Ma questo non aveva portato la chiarezza che speravo. Anzi, aveva alzato un muro ancora più spesso tra di noi.

Quando rientrai al cottage, la sera successiva alla festa, dopo un breve giro in città per schiarirmi le idee, Alex era già chiuso nella sua stanza.

La luce sotto la porta illuminava appena il corridoio, segnando un confine invalicabile che non osai attraversare. Lo sentii parlare a bassa voce. Un mormorio sommesso, il tono di chi non vuole essere ascoltato. Era un colpo di coltello: starà parlando con lei.

Non avevo bisogno di sapere altro per sentire il sangue bruciarmi sotto la pelle. La mia immaginazione corse selvaggia, riportandomi a due anni prima, alla mostra di video installazioni. Alex con una donna. Aisha, la perfetta e sofisticata ragazza dai tratti indiani che si stringeva al suo braccio, avvinghiata al suo bicipite. Era lei? Lo era sempre stata?

Deglutii a vuoto, tentando di soffocare il nodo che mi chiudeva la gola, mentre lo sentivo bisbigliare: «dai, raccontami la tua giornata, spero sia sta migliore della mia.»

Mi richiusi la porta alle spalle, tuffandomi sul letto pieno di cuscini e soffocandoci dentro un urlo carico di frustrazione.

Prima mi confessava quelle cose, che mi avevano fatta bruciare da testa a piedi e desiderare per un attimo che lo facesse davvero – baciarmi, toccarmi, ribaltare i miei standard – e ora diceva a un'altra, alla sua donna, che ero solo quello: la causa delle sue brutte giornate.

Nel corso della settimana, il gelo tra di noi si consolidò in una routine di fughe calcolate ad arte per evitarci. Se entravo in cucina, lui usciva. Quando mi sedevo sul portico con un libro, lui trovava sempre un motivo per chiudersi nella rimessa o alzarsi e sparire. La tensione era palpabile, una corda tesa pronta a spezzarsi.

Poi c'erano i suoi silenzi. O, peggio ancora, i messaggi. A volte lo vedevo chinarsi sul cellulare, gli occhi fissi sullo schermo, le dita che si muovevano rapide. Altre volte, spariva nella sua stanza e chiudeva la porta, la voce ovattata che trapelava tra le assi.

Ogni gesto era un promemoria di qualcosa che non potevo vedere, ma neanche ignorare

Ogni volta mi ritrovavo a pensare: sarà lei.

E io? Io ero gelosa. Gelosa come non avrei mai voluto ammettere. Non importava quante volte mi ripetessi che Alex Donovan mi aveva spezzato il cuore. Il suo sguardo, le sue labbra che si piegavano in un broncio irritante, le sue mani che remavano con una forza quasi ipnotica... erano tutto ciò che non potevo avere. Era una malattia incurabile che mi scorreva nelle vene, e io non potevo fare altro che reprimere ogni pulsione e andare avanti.

Avevo Parigi all'orizzonte. Avevo un contratto con la EarthEcho che non potevo permettermi di infrangere. E soprattutto, non avrei mai rifatto gli stessi errori.

Anni prima mi ero umiliata pur di sapere se lui ricambiasse i miei sentimenti, solo per ritrovarmi in lacrime, a fissare fuori dall'oblò di un aereo, con il mio cazzo di cuore in frantumi.

Adesso, non avrei ripetuto l'errore. Alex poteva fare ciò che voleva, scriverle tutti i messaggi che voleva e parlarle finché voleva.

Io non mi sarei spezzata per lui. Non di nuovo.

*

«Dobbiamo fare in fretta.» La voce di Alex ruppe il silenzio con una fermezza che non ammetteva repliche, ma io non mi mossi. Un tuono esplose sopra di noi, vibrando nell'aria umida, e i pini intorno sembrarono inchinarsi alla sua potenza.

WILD HEARTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora