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Alexander



Svegliai Sarah quando ormai la pioggia era cessata. Fuori, l'oscurità aveva cominciato a farsi strada tra gli alberi. Il fuoco, privo di legna, si consumava in un ultimo crepitio. Mi piegai verso di lei, sfiorandole la spalla.

«Dobbiamo andare, Baby Sheridan, se non vogliamo restare bloccati qui tutta la notte.»

Lei borbottò una protesta assonnata, ma si riscosse alla svelta. Le tesi la mano e l'aiutai a rimettersi in piedi. Sistemai gli zaini, mettendomeli entrambi in spalla.

«Posso portare il mio, ce la faccio.» La sua voce era ancora roca, mentre si strofinava gli occhi gonfi di sonno e la stanchezza.

«Lo so. Ma non serve. Porta solo la videocamera.»

L'ultimo tratto del sentiero si rivelò un'impresa. Nel fitto della foresta di cedri, l'oscurità sembrava più densa, quasi impenetrabile. Ogni passo era un tentativo di non scivolare sul terreno ridotto a fango, tra radici che spuntavano come trappole. I tronchi brillavano di pioggia, e il suono ritmico dello sgocciolio si mescolava al canto distante di qualche uccello notturno.

Raggiungemmo finalmente l'auto dopo un'altra ora di cammino. Quando ci infilammo nell'abitacolo, accesi il riscaldamento al massimo. Gettai un'occhiata a Sarah: le labbra, scurite dal freddo, riprendevano lentamente un colore più vivace, e le guance tornavano rosse, come se l'auto stesse restituendole il calore strappato dalla pioggia.

Il viaggio verso il cottage trascorse in un silenzio denso. Solo quando parcheggiai, Sarah emise un lungo sospiro, quasi liberatorio, sciogliendo la tensione accumulata.

«Devo occuparmi della mia Canon. Smontarla e asciugarla.» Era l'unica cosa a cui sembrava pensare.

Mentre io mi rintanavo in bagno per liberarmi di quella giornata sotto un getto bollente, lei si chinò sul tavolo della cucina, la videocamera già in mano, a testa bassa. Sentivo il lieve tintinnio degli attrezzi mentre lavorava alacremente, cercando di salvare il salvabile.

Quando tornai, con addosso un paio di pantaloni della tuta e una felpa, rimasi appoggiato allo stipite della porta. Mi tamponai i capelli con un asciugamano, lo sguardo fisso su di lei.

Aveva una piccola ruga di concentrazione tra le sopracciglia, il viso segnato dalla stanchezza e i capelli ridotti una massa indomabile di nodi.

«Quindi?» ruppi il silenzio facendola sobbalzare appena. «Dichiariamo l'ora del decesso?»

Sarah alzò lo sguardo, lanciandomi una stilettata con quegli occhi verdi e profondi, carichi di sfida.

«La memoria SD è salva, il corpo macchina pure. Quanto al teleobiettivo...» Si interruppe un attimo, scuotendo la testa. «Domani dovrò cercare qualcuno che lo ripari. Un centro assistenza in qualche città vicina.»

Mi avvicinai, incrociando le braccia. «La tua auto ha ancora la batteria scarica.»

Lei scrollò le spalle, rimettendosi al lavoro. «Cercherò anche un meccanico. O... chiederò a Noah di accompagnarmi.»

Alt. Il nome di Noah mi colpì come una scarica elettrica.

Ero stato con lei in quel capanno. L'avevo vista vacillare, sentendo un'ansia che non provavo da anni. E ora, dopo tutto questo, tirava fuori Noah.

«Già» risposi, la voce carica di una tensione che non potevo nascondere, «sono sicuro che rossicapelli sarà prontissimo a farti da autista.»

Lei si fermò, alzando lentamente gli occhi verso di me. Lo sguardo era un misto di sfida e divertimento.

WILD HEARTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora