Capitolo 4

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Non credo di aver mai conosciuto un fantasma più logorroico di questo.

Be', in realtà non ho mai conversato con uno spettro prima d'ora, quindi non posso fare paragoni. Ma sono comunque sicura che, se mai incontrerò altri morti (spero per me di no), nessuno sarà in grado di eguagliare un tale livello di loquacità.

Mi ha seguita sul bus senza timbrare il biglietto (i vantaggi dell'essere invisibili agli occhi umani), si è accomodato al mio fianco ed è da circa quindici minuti che parla ininterrottamente. Non una pausa, non un attimo di silenzio – sì, lo so che i fantasmi non hanno bisogno di riprendere fiato, ma un po' di respiro mentale lo concedi?

Del suo impetuoso fiume di parole, sono riuscita a recepire solo alcune informazioni: il suo nome è George (non ricorda il suo cognome), aveva un dolce border collie di nome Bentley morto dopo aver ingoiato un sasso (tragico), è stato bocciato alle scuole elementari (meno tragico), al ballo del liceo ha vomitato addosso alla sua cotta (decisamente tragico), ed era un senzatetto, prima di... be', avete capito. Prima di morire.

A un certo punto, ormai esasperata, sbotto ad alta voce con: «Smettila!»

Gli unici due passeggeri presenti, seduti davanti, si voltano per lanciarmi delle occhiate, allarmati. Mi schiarisco la gola e sorrido, imbarazzata.

«Smettila», ripeto, questa volta a bassa voce.

George, che fluttua accanto a me con un'espressione offesa, incrocia le braccia e inarca un sopracciglio.

«Smetterla, io? Ma hai idea di quanto sia raro che qualcuno mi veda? O mi senta? Voglio dire, sono un fantasma!»

Poi si gira verso i due passeggeri, urla a pieni polmoni (metaforicamente parlando): «E voi non avete nulla da dire? Mi sentite?»

Non ricevendo risposta, George si concentra di nuovo su di me. «Visto, signorina? Loro mi ignorano. Per anni ho cercato di farmi notare. Ho fatto di tutto, dai classici "buh!" fino a far levitare un sacchetto di patatine! Niente di niente... tu, invece, riesci a vedermi!»

«È questo il problema», sussurro, cercando di non farmi notare troppo. «Non smetti di parlare neanche un secondo! Sei peggio di una radio fuori frequenza.»

«Radio? Be', almeno io non ho la pubblicità!»

Mi porto una mano alla fronte. «Oh mio Dio, risparmiati queste battute da boomer

Uno dei passeggeri si gira nuovamente, alza un sopracciglio e sussurra qualcosa all'amico seduto accanto a lui. Mi abbasso, cercando di nascondermi dietro i sedili per sfuggire a ulteriori occhiate preoccupate.

«Voglio sparire», mormoro, rossa fino alle orecchie per l'imbarazzo.

«Ah, ti capisco. Anch'io volevo sparire. Ed ecco, desiderio esaudito!» si indica, tutto tronfio, con entrambi i pollici.

Se non altro, ha il dono dell'autoironia.

«Non letteralmente» rispondo a denti stretti. «Fammi un favore. Possiamo ridurre il chiacchiericcio a... non lo so, cinque parole al minuto?»

George sembra rifletterci seriamente, accarezzandosi la barba spettrale. «Hmm, vediamo. Cinque parole al minuto. Credo... di... poterlo... fare!»

«Non è questo che intendevo!»

I due passeggeri davanti si voltano di nuovo, questa volta fissandomi apertamente. Uno di loro bisbiglia: «Sta bene, quella ragazza? Continua a parlare da sola.»

Cercando di sembrare tranquilla, sorrido come se fosse tutto perfettamente normale. «Scusate. È una cosa creativa, sapete... brainstorming!»

George ridacchia. «Ottima scusa. Chissà quante ne hai pronte per le prossime volte.»

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