Capitolo 1

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Esiste un giorno della nostra vita 

in cui siamo costretti a cambiare per sempre.


Eleonor

Fumo, cenere, urla e ancora fumo.
Nella mia mente, ormai da diverse settimane, continuavano a susseguirsi le immagini del giorno più traumatico della mia esistenza.
Come era potuto accadere?
E soprattutto, perché proprio a me?
Fino a poco tempo fa pianificavo la mia imminente entrata al liceo, il viaggio dalla nonna, le letture al mare con Daphne, e ora tutto questo non aveva più importanza.
Abbandonai l'idea di provare a dormire e mi alzai di scatto dal letto, avevo la fronte madida di sudore e dei forti brividi scorrevano lungo il mio corpo.
Indossai velocemente il mio cardigan sgualcito, percorsi la rampa di scale facendo il più silenzio possibile e corsi fuori a respirare un po' d'aria.
Poco dopo mi imbattei in un enorme albero, mi ci sdraiai sotto e iniziai a tranquillizzarmi.
L'erba era morbida e la rugiada mi bagnò la pelle soffice delle gambe, procurandomi un briciolo di sollievo.

Calma, Eleonor, calma, mi ripetevo, mentre nascondevo la testa tra le mani tremolanti.
Il piacevole vento primaverile iniziò a soffiare più forte e si udiva solamente il leggero frinire delle cicale.
Pochi istanti dopo sentii il fruscio dell'erba e dei passi avvicinarsi sempre di più. Avendo gli occhi offuscati dalle lacrime mi fu difficile capire chi fosse, fino a quando la figura si fece più vicina.
Con i dorsi delle mani mi pulii dalle lacrime e vidi un ragazzino dirigersi verso di me, ma ero troppo agitata per curarmene.
Volevo solo stare nel mio piccolo rifugio lontano da tutti quanti, in quel momento.
"Hai bisogno di aiuto?" disse titubante, avvicinandosi ancora di più.
Notai un pizzico di compassione nei suoi occhi, nonostante ci fossero solo le deboli luci di qualche lampione a permettermi di vedere.
Per un momento decisi di osservarlo meglio: era un ragazzino alto, a giudicare dall'aspetto sembrava avesse più o meno la mia età, i lineamenti del viso erano morbidi e riuscii a scorgere due lievi fossette che spuntarono ai lati delle labbra, mentre mi sorrideva attendendo una mia risposta.
"No, grazie." ribattei decisa, ma con un velo di angoscia.
Lui sospirò debolmente, sapendo benissimo che quello che avevo appena detto non era vero, e si sedette di fianco a me.
Alcuni ciuffi color caffè gli caddero sul lato della fronte.
Si sistemò a gambe incrociate e si chinò per allacciarsi la scarpa, quando si girò verso di me e tornò a guadarmi notai i suoi occhi: erano di un verde intenso, ricordavano una fitta foresta durante la pioggia.
Abbassai gli occhi e guardai il bracciale che mi aveva regalato la mamma il giorno del mio tredicesimo compleanno, soffermandomi sul piccolo smeraldo al centro.
"Stai crescendo sempre di più, bambina mia. Oggi è il tuo giorno, e ti meriti un regalo speciale" , mi aveva detto.
Quando pensai di poter avere un briciolo di respiro, la realtà si abbatté contro di me come un tornado.
"Scusami, potresti allontanarti? Non so nemmeno chi tu sia." esclamai brusca, guardandolo storto.
"Perché dovrei? Infondo questo è il mio albero, mi ci nascondo ogni volta che ne ho bisogno."
Dal nervoso, iniziai a mordicchiarmi le unghie smaltate di blu.
"E perché tu avresti bisogno di nasconderti?" ribattei senza pensarci, mentre un'altra lacrima mi rigava il volto.
Notai il suo sguardo spostarsi in un punto indefinito del prato sotto di lui, perso, poi respirò profondamente e tornò a guardarmi.
"Te lo dirò solo se tu mi dici perché piangi."
Esitai un'istante, poi ripensai un'ultima volta a quella che fino a una settimana prima era la mia casa e mi voltai verso di lui.
Decisi di confessarglielo senza troppi giri di parole, così finalmente se ne sarebbe andato e mi avrebbe lasciata in pace.
"Un mese fa la mia casa è andata in fiamme e i miei genitori sono entrambi morti. Bene, ora che lo sai, puoi anche andartene."
Pronunciare queste parole mi provocò un'enorme vuoto nel petto.
Mi girai d'istinto dall'altra parte, tirando su col naso.
Il ragazzino si fermò e improvvisamente diventò pallido come un fantasma, come biasimarlo, non si aspettava una confessione del genere.
Presi di nuovo a torturarmi le unghie delle mani, muovendo in modo nervoso le gambe, e dopo istanti che mi parvero anni, si decise a rispondermi.
"Oh, certo... Ho sentito la notizia, mi dispiace tanto. Quindi tu devi essere Eleonor, giusto?"
Non risposi, così lui iniziò a giocherellare con un elastico nero rovinato che poco prima teneva sull'avambraccio destro, continuando ad alternare lo sguardo da me al prato sotto di lui, a disagio.
Il dolore di quella dannata verità si innescò come una furia dentro di me.
I singhiozzi continuarono ad aumentare e il ragazzino si avvicinò ancora di più, irritandomi.
"Non vedi che voglio restare da sola? Per favore, lasciami in pace."
Mi spostai e alzai gli occhi al cielo.
Ad essere sincera mi pentii subito di averlo aggredito in quel modo, ma avevo un enorme bisogno di stare per conto mio, in quel momento, e lui non stava migliorando le cose, tralasciando il fatto che nemmeno lo conoscevo.
"Okay, scusa. Io volevo solo..."
"Eleonor Sullivan! Accidenti, mi hai fatto prendere un colpo! Quante volte ti devo dire di non uscire a quest'ora di sera?"
Poco lontano vidi mia zia Stacy urlare come una forsennata.
Quando ci raggiunse notai che indossava solo la vestaglia da notte e delle pantofole a forma di coniglio e i capelli erano raccolti in un turbante, che usava per tenere a bada suoi ricci.
Il ragazzino, di cui ancora ignoravo il nome, spostò lo sguardo verso mia zia e la fissò in un misto fra il confuso e l'imbarazzato.
"Penso che tu debba andare..." mi sussurrò.
"Penso proprio di si, ci vediamo..." continuai a fissarlo in attesa che mi rivelasse il suo nome.
"Oh, Aiden." un sorriso gli curvò gli angoli della bocca, mentre mi tendeva la mano.
Ricambiai il gesto, sorridendo lievemente.
Nonostante lo avessi trattato male e avessi voglia di starmene per conto mio, in fin dei conti lui voleva solo aiutarmi e mi aveva fatto quasi bene stare in sua compagnia.
Aveva un modo molto discreto di parlare che mi incuteva una certa calma e non era per niente invadente, poteva andare decisamente peggio.
Ultimamente chiunque non faceva che riempirmi di discorsi futili o domande riguardo ai miei genitori e io non ne potevo veramente più, mi sentivo schiacciata da tutta questa pressione.
"Forza Eleonor, è ora di tornare a casa. È già grave che tu sia uscita ancora nel bel mezzo della notte, figuriamoci se adesso devo aspettare i tuoi comodi."
Poi si girò verso Aiden, lo guardò con sospetto e aggiunse: "Abiti anche tu qui vicino?"
Lui rimase per un attimo a pensare alla domanda e poi rispose: "Si, signora, proprio nella casa lì davanti."
Indicò un punto infondo alla nostra via, dove vi era una casa quasi completamente oscurata dagli alberi, non risaltava moltissimo dato che il colore bianco delle mura era molto sporco e rovinato.
Nonostante questo, era una casa abbastanza grande e appena fuori, nel prato, potei scorgere due altalene un po' arrugginite e un cavallo a dondolo.
Ero talmente persa nei miei pensieri che quasi mi ero dimenticata che zia Stacy mi stesse aspettando, ed era anche arrabbiata oltretutto.
In questo periodo non era molto di buon umore, anche lei ne aveva risentito dopo la morte dei miei genitori e, nonostante tutto, si stava impegnando al massimo per prendersi cura di me.
Mi alzai dal prato guardando Aiden rassegnata e mi avvicinai a zia Stacy.
"Zia, lo sai che domani dobbiamo partire, fammi restare ancora cinque minuti, lo saluto." le sussurrai.
"Non se ne parla, non so nemmeno chi sia questo ragazzino, né chi siano i suoi genitori, e come ti ho già detto non ti lascio fuori da sola nel cuore della notte."
Sicuramente Aiden aveva sentito tutto, lo intuivo dal sorrisetto compiaciuto che gli era appena spuntato sulle labbra, sapendo che volevo rimanere ancora un po' con lui.
"Okay. Ora torno dentro, dammi solo un attimo per poterlo salutare."
Zia Stacy mi fissava con gli occhi ridotte a due fessure, in modo minaccioso, pensando a cosa fare.
Mi aspettavo che a questo punto mi trascinasse di peso dentro casa, invece acconsentì, ma a patto che ci mettessi meno di cinque minuti e lei sarebbe rimasta fuori dalla porta di casa ad attendermi.
Mi sedetti nello stesso posto di prima e vidi Aiden fissarmi con sguardo divertito.
"Che c'è? Voglio solo rimanere il poco tempo che serve per salutarci, mi sembrava giusto farlo."
"Quindi non ti sto così tanto antipatico alla fine, eh." disse sorridendo.
Sbuffai e un sorriso involontario fuoriuscì dalle mie labbra.
"Non sei male, devo ammetterlo."
Lui fece finta di pulirsi la spalla, sorridendo.
"Allora... È stato un piacere conoscerti, Aiden. E grazie per... avermi tenuto compagnia." mi sforzai di sorridere e guardai verso il basso per l'imbarazzo.
Di solito ero una ragazza molto orgogliosa e non davo tutta questa confidenza all'inizio, ma questo ragazzo aveva qualcosa che mi aveva quasi come dato la sensazione di potermi fidare.
"Piacere mio, El."
Lo fissai stranita, non sapendo se sorridere o arrabbiarmi per questo nomignolo.
"El?"
"Beh, il tuo nome è troppo lungo, dovevo trovare un modo per renderlo più corto, e in questo caso è anche più carino, non trovi?" mi guardò con aria vanitosa in attesa che lo rispondessi, come se avesse fatto la scoperta più geniale del mondo.
"Beh, sai...Io trovo che il mio nome sia bello così com'è, non ho mai sopportato i nomignoli."
Con questa risposta pensai di aver sgonfiato il suo ego, ma al contrario, Aiden mi guardò fiero e mi disse: "Non importa, da oggi in poi tu sei El." e sorrise.
"D'accordo, hai vinto tu." sorrisi e sbuffai, facendo volare una ciocca di capelli sugli occhi.
Aiden si accorse di questo mio gesto e percorse il movimento della ciocca, fino a quando il suo sguardo si spostò sui miei occhi e iniziò a fissarmi intensamente.
Mi chiesi se avessi qualcosa in faccia, magari qualche insetto o residui di terriccio.
Ma niente, lui continuava a fissarmi, così iniziai a sentirmi a disagio e anche un po' nervosa.
"Ehm...Io ora dovrei andare, mia zia mi sta aspettando."
In quel momento sembrò che Aiden si fosse ricordato della situazione e scosse la testa.
"Oh, si, certo. Allora...Insomma, spero di rivederti, chi lo sa, magari un giorno ci rincontreremo." disse sorridendo.
"Posso chiederti dove partirai domani?" chiese poi.
In quel momento notai un lieve rossore sulle sue guance, probabilmente, anche se conoscendomi da poco meno di mezz'ora, si era accorto che ero una ragazza molto riservata e che troppe domande mi irritavano.
"Dobbiamo partire per l'Arizona, a Glendale. Lì ci sono i miei nonni materni, andrò a vivere da loro."
Lui restò spiazzato, immagino che non si aspettasse che gliel'avessi detto.
"Oh...Capisco. Senti, stavo pensando... Se ti va possiamo rimanere in contatto, ce l'hai un cellulare?"
Mia zia era severamente in disaccordo sull'argomento cellulari, nonostante tutti i miei coetanei ne avessero già uno, riteneva che io fossi ancora troppo piccola, in effetti avevo solo tredici anni e a me andava bene così, non era mai stato un problema.
Ora però devo ammettere che un cellulare mi sarebbe stato utile.
"Non ancora, mia zia pensa che sia troppo piccola per averne uno."
"Non preoccuparti, troveremo un modo. Se ti va, potrai mandarmi delle cartoline dall'Arizona e quando avrai il telefono, potrai scrivermi il tuo numero, così ci sentiremo per messaggio."
L'idea non mi dispiaceva, ultimamente le uniche persone con cui parlavo erano mia zia Stacy e la mia amica Daphne.
"Per me va bene." allargai le labbra in un lieve sorriso.
Così, Aiden prese dalla tasca uno scontrino stropicciato, dall'altra invece prese una matita e iniziò a scriverci qualcosa.
"Tieni, questo è il mio indirizzo, allora aspetto con ansia le cartoline." sorrise e mi guardò con un bagliore di felicità negli occhi.
Presi il foglietto e una scossa elettrica percorse la mia nuca e il mio stomaco, quando le nostre mani si sfiorarono.
Non credevo che potesse esistere una sensazione del genere, rimasi ferma immobile con le guance in fiamme e infilai velocemente il biglietto nella tasca del cardigan.
"Grazie Aiden...Allora ci sentiamo."
Lui mi guardò ancora con quello sguardo intenso e pieno di significato, e mi sorrise nuovamente.
"Ci sentiamo, El."
Lo guardai un'ultima volta, per poi girarmi e sorridere come una sciocca, mentre tornavo da zia Stacy, che mi stava aspettando fuori dalla porta come aveva detto.
Mi guardava con aria di rimprovero, ma ero talmente felice che poco m'importava.
Lei mi guardò con un mezzo sorriso d'intesa, come se avesse capito tutto.
"Forza, signorina, a dormire. Domani dobbiamo alzarci presto."
"Certo, zia."
La superai a passo veloce, salii su per le scale e mi buttai a peso morto nel letto.
Era la prima volta dopo tanti giorni passati a piangere e a stare male per i miei genitori, che mi sentivo felice... O qualcosa del genere.
Sapevo solo che conoscere quel ragazzo mi aveva risvegliato qualcosa dentro, qualcosa che era seppellito da tempo sotto al forte dolore accumulato.
Ero una ragazza completamente diversa dalla morte dei miei genitori, loro erano tutto, erano ogni cosa per me.
Nel momento del bisogno, loro c'erano, quando qualcosa andava storto sapevano sempre come tirarmi su di morale.
É come se il sole che mi aveva sempre accompagnata fosse stato oscurato da un temporale perenne.
Speravo che prima o poi, l'avrei ritrovato quel sole.
Così, chiusi gli occhi, e mi ritrovai a pensare ad Aiden, a come mi ero sentita quell'istante in cui le nostre mani si sfiorarono, o a quando il suo sguardo incontrava i miei occhi.
Sentivo come se un calore potente si irradiasse senza freni lungo il corpo e un tonfo assordante nel cuore.
Probabilmente si sarebbe dimenticato di me, se avessi deciso di non mandargli quelle cartoline...
Aprii gli occhi, confusa e imbarazzata dai miei stessi pensieri, probabilmente avevo solo bisogno di schiarirmi le idee.
La mattina seguente mi attendeva un volo di cinque ore e avevo proprio bisogno di riposare.
Quando la zia mi annunciò del nostro trasferimento, all'inizio ci rimasi malissimo, ero arrabbiata con lei, pensando che non le importasse nulla di quello che era appena accaduto, pensavo volesse solamente scaricarmi dai miei nonni e tornare alla sua vita.
Invece poi mi accorsi che non poteva esserci decisione più giusta, questa città mi ricordava ogni volta quello che era accaduto e la cosa peggiore è che la casa in questione era a pochi passi da dove abitavo ora, a casa di zia Stacy, e ovviamente per me non era poi così piacevole vederla.
Ogni volta che volevo distaccarmi da quei brutti pensieri, quella realtà era lì davanti a me, pronta a far risalire a galla tutto il dolore che cercavo di reprimere.
Perciò, per ora, non vedevo altra soluzione.
Una nuova vita mi stava aspettando e in fin dei conti, non vedevo l'ora di vedere i miei nonni, anche loro erano sempre stati una parte speciale della mia vita.
Così, con questa consapevolezza, chiusi gli occhi e mi addormentai, sognando sorrisi luminosi e occhi color foresta.

La mattina dopo arrivò prima del previsto, anche se mi sembrava di non avere dormito per niente, probabilmente per il fatto che da un mese continuavo ad avere gli stessi incubi.
Mi stropicciai gli occhi emettendo un lieve sbadiglio e mi girai pigramente verso la sveglia, notando che da lì a poco avrei dovuto alzarmi.
Mancavano circa due ore al volo e noi, come mi aveva ricordato la zia, avremmo dovuto essere lì almeno un'ora prima, per questo, anche se controvoglia, mi alzai e infilai le mie pantofole.
Durante questo periodo dell'anno non faceva poi così freddo, anzi, era la temperatura perfetta per me, che ero sempre stata una ragazza abbastanza freddolosa.
Da quando ne ho memoria, ricordo che in queste mattinate d'autunno mi piaceva tantissimo cucinare i cookies per merenda insieme ai miei genitori e gustarli con una cioccolata calda davanti al camino.
Questa è solo una delle tante cose che mi mancherà tantissimo fare, e anche se potessi farle comunque, non sarebbe mai lo stesso senza di loro.
Ogni volta che questi pensieri prendevano il possesso della mia mente, cercavo di ricordarmi che una delle cose più importanti che mi avevano insegnato, cioè di non farmi abbattere se qualcosa andava storto, ma di pensare sempre che laddove ci fosse stato un problema, io sarei stata abbastanza forte per poterlo affrontare e avrei trovato una soluzione, che niente era impossibile.
Grazie a queste loro parole mi sono sempre sentita invincibile, e forse è anche per questo che non davo a vedere troppo il mio dolore, o comunque cercavo di affrontarlo nel miglior modo possibile, per loro.
Appena scesi le scale e varcai la soglia della cucina, vidi mia zia impegnata a cercare qualcosa nella sua borsa mentre con una mano reggeva una tazza di caffè fumante.
Pochi istanti dopo sbuffò nervosamente e imprecò qualcosa sottovoce, era visibilmente tesa.
Appena si accorse che ero lì, si bloccò da quello che stava facendo e mi rivolse un sorriso tirato, cercando di dimostrarsi più calma.
"Oh, buongiorno Eleonor, dormito bene?"
"Buongiorno zia, diciamo di sì. Tu come stai? Ti vedo preoccupata."
"No, non preoccuparti. Stavo solo cercando i biglietti dell'aereo, pensavo di averli messi nella mia borsa, ma non ci sono più."
Iniziai a cercare con lo sguardo in tutta la cucina, ma non vidi nulla che ricordasse un biglietto aereo.
"Ehm...Non saprei zia, non li ho visti da nessuna parte."
"Non fa niente, tranquilla, vado a cercare in camera mia, probabilmente li avrò appoggiati in qualche strano posto, talmente sono sbadata."
Mi fece un sorriso e si diresse verso le scale, poi, poco prima di salire, si girò ancora verso di me.
"Il tuo caffèlatte è pronto comunque, è vicino al microonde e se vuoi nel forno ci sono due ciambelle, non sapevo quale ti potesse piacere, quindi ne ho preso una alla crema e una al pistacchio."
Sinceramente era molto strano che la zia si comportasse così, di solito non era molto affettuosa, o comunque lo era ma a modo suo, ma non lo dava quasi mai a vedere, per questo rimasi sorpresa e sorrisi.
Probabilmente, anche se non voleva dirlo, le sarei mancata dopo la mia partenza.
"Oh, grazie zia."
"Di niente Eleonor. Fai in modo di essere pronta fra mezz'ora, io nel frattempo cerco i biglietti e carico i bagagli in auto."
Le feci cenno di sì con la testa e mi diressi verso la tazza fumante di caffèlatte, afferrai la ciambella al pistacchio e mi sedetti al solito posto.
Mi piaceva sedermi con la sedia rivolta verso la finestra, così, ogni mattina facevo colazione guardando il paesaggio, che in questo periodo era ricoperto dagli accesi colori autunnali.
Gli alberi stavano perdendo le loro foglie, e io ogni volta mi incantavo a guardarle volare via col vento, era così rilassante, mi trasmetteva una sorta di pace interiore.
Bandon era una città molto piccola, ma i paesaggi che regalava erano sempre stati magici.
Dopo aver finito di fare colazione, aprii il frigo in cera di acqua fresca e rimasi sbigottita quando davanti a me, proprio sopra al contenitore di latte, trovai i biglietti aerei.
Mi misi a ridere e salii subito al piano di sopra per darli a zia Stacy, che dopo aver saputo dov'erano si mise una mano sul viso e alzò gli occhi al cielo.
"Te l'ho detto, sono proprio una sbadata." mi sorrise e tornò a occuparsi degli scatoloni per il trasloco.
Dovevo affrettarmi, quindi andai di corsa in camera a scegliere i vestiti da indossare per la partenza e finii di riempire la valigia con le ultime cose rimaste.
Mi feci una doccia veloce e, dato che non rimanevo tempo per lavare e asciugare i capelli, li legai in una coda alta.
Misi il mio solito mascara e un po' di burrocacao, avevo le labbra davvero tanto screpolate, oltre al fatto che avevo il vizio di morderle continuamente, soprattutto quando ero stressata.
Infine, indossai i vestiti che avevo preparato e misi le mie scarpe preferite: le All Stars rosa pastello.
Ero follemente innamorata di quelle scarpe, me le regalarono i miei nonni quando vennero a trovarci il giorno del mio undicesimo compleanno.
Chiusi la valigia e guardai per l'ultima volta la mia stanza.
Da una parte volevo lasciarmi alle spalle tutto questo, dall'altra, sapevo che molto presto mi sarebbe mancata casa mia, la mia città.
Mi sarebbe sempre mancata.
Spensi la luce e chiusi la porta alle mie spalle, esalando un respiro di sollievo.
Sono sempre stata una ragazza in cerca di nuove avventure e sapevo che questa sarebbe stata una delle più grandi: iniziare una nuova vita senza i miei genitori.
Nonostante la paura, sapevo benissimo che loro avrebbero voluto che io andassi avanti.
Scesi le scale e consegnai la valigia a zia Stacy, che mi stava aspettando fuori dalla porta di casa.
La sorpassai e con mia sorpresa, vidi la mia amica Daphne in piedi vicino all'auto di zia Stacy, che non appena si accorse della mia presenza, mi sorrise malinconica.
"Daph!" le corsi in contro e la abbracciai forte.
"Oh, Eleonor...Mi mancherai tantissimo."
"Non dirlo a me, ma non preoccuparti, ti manderò tante lettere dall'Arizona, ti racconterò tutto."
"Quello è  certo! Ma non sarà mai come averti qui." diventò improvvisamente triste e notai i suoi occhi inumidirsi di lacrime.
Così, la presi per le spalle e la costrinsi a guardarmi negli occhi.
"Daph, ricordi la promessa che ci siamo fatte quando avevamo cinque anni?"
"Certo. Qualunque cosa succederà, anche se qualcosa dovesse dividerci, ci saremo sempre l'una per l'altra." sorrisi.
"Esatto. Quindi stai tranquilla, io ci sarò sempre per te, anche a mille chilometri di distanza."
"Mi prometti che ci vedremo per le vacanze estive?"
"Ovviamente! Nessuno potrà negarci i nostri pomeriggi di lettura in spiaggia!"
"Bene, ora sono più tranquilla." mi sorrise, Daphne ha sempre avuto un sorriso contagioso, e ammetto che mi sarebbe mancato tanto.
"Ragazze, non vorrei interrompere il vostro momento, ma è ora di andare."
Ci guardammo negli occhi rassegnate e abbracciai ancora una volta la mia migliore amica.
"Ci vediamo presto, Eleonor."
"Puoi contarci, Daph. Aspetterò con ansia quel giorno."
Mi staccai dall'abbraccio e mi diressi verso la portiera dell'auto.
Presi posto nel sedile davanti e mi strinsi nel mio maglioncino color cachi, strofinando le mani per il freddo mattutino.
Dopo pochi istanti mi raggiunse anche zia Stacy e dopo essersi assicurata che avessimo preso tutto, partimmo in direzione dell'aeroporto.
Guardai un'ultima volta la mia casa, il posto in cui avevo costruito tutti i miei ricordi d'infanzia, quelli più belli, in cui avevo mosso i miei primi passi, ma soprattutto, in cui ero felice, quello però era dovuto solamente ai miei genitori, senza di loro, sarebbe stata solamente una casa qualunque.
É il loro amore che l'ha resa così speciale.
Asciugai una lacrima che scorreva veloce sul mio viso e mi voltai, sapendo che avrei lasciato alle spalle tutto questo, ma con la speranza che prima o poi avrei ritrovato la felicità e la serenità che mi ha sempre contraddistinta.
Ce l'avrei fatta, avrei realizzato i miei sogni e avrei contribuito a fare la differenza, come ho sempre desiderato.
Questa era la promessa silenziosa ai miei genitori, ce l'avrei fatta, per loro.
Quando zia Stacy mise in modo l'auto, mi girai verso Daphne, che nel frattempo era lì in piedi e mi guardava come se sapesse benissimo a cosa stavo pensando.
Le sorrisi ringraziandola silenziosamente per tutti i momenti in cui mi era stata accanto e la salutai un'ultima volta con un gesto della mano.
Continuai a guardare nella sua direzione finché svoltammo l'angolo e la nostra casa scomparve dalla mia visuale.

Quando arrivammo all'aeroporto, rimasi sbalordita per la quantità di gente che correva avanti e indietro: tante persone si dirigevano ai controlli per poter prendere il loro aereo e altre, invece, erano appena arrivate.
Era davvero un viavai di persone senza sosta, ed essendo che era la prima volta che vedevo un aeroporto dal vivo, con mia sorpresa, scoprì che tutta questa frenesia mi piaceva.
Mi piaceva vedere le persone che correvano ad abbracciare i propri cari e vedere tutta quella felicità nei loro occhi, mi trasmetteva un senso di gioia e allo stesso tempo, un po' di malinconia.
"Vieni Eleonor, il nostro gate è proprio qui."
La seguii e alzando lo sguardo, lessi sullo schermo 'Volo 125 per Glendale, Arizona - Partenza ore 8:00.'
Non avevo ancora realizzato che tutto questo stesse succedendo davvero.
Procedemmo a fare i vari controlli e dopo circa mezz'ora eravamo sedute sull'aereo, attendendo la partenza.
Mi girai verso il finestrino e sospirai, era come se avessi già superato un enorme ostacolo, venendo fin qui: mi sentivo come se fossi a metà del viaggio verso la mia nuova vita.
"Eleonor, mi raccomando, allaccia bene la cintura."
"Certo, zia." sorrisi per questo suo modo di fare, questo suo lato mi ricordava molto mia madre.
Dopo pochi istanti una voce robotica annunciò la partenza imminente dell'aereo e cinque minuti dopo, stavamo decollando verso l'Arizona.
Era una sensazione bellissima, avevo un po' di paura all'idea di prendere l'aereo, invece fu esattamente l'opposto.
Mi sentivo leggera e il paesaggio a diecimila metri di altezza era spettacolare.
Iniziai a pensare che non sapessi minimamente cosa mi riserverà il futuro, quello di cui ero certa e che mi faceva sentire in pace, era che sapevo che questa sarebbe stata la scelta migliore.
O almeno, così credevo.

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Ciao a tutti🤍
Dopo un tempo che sembrava infinito, ecco a voi il primo capitolo di Burning Souls🔥
Sono troppo emozionata, progettavo questa storia da un anno ormai e spero che tutto questo tempo ne sia valso la pena.
Spero davvero che vi sia piaciuto e che vi abbia tenuti incollati allo schermo.
Se volete, scrivetemi nei commenti le vostre opinioni, sarei davvero felice di sapere la vostra e parlare un po' con voi!

Ci vediamo al prossimo capitolo🤍

-Ella🍂

Mi trovate anche su TikTok: @ ellawoodleystories


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