ATTACCO 001

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Ricordo ancora il primo attacco (di fatto non è stato tanto tempo fa),quella sensazione orribile di non totale controllo che ebbi su me stessa. Mi odiavo per quello.


Conoscete quel modo di dire "la goccia che fa traboccare il vaso"? Non so quale di fatto fu la "goccia che fece traboccare il vaso quell'orribile sera, so solo che il mio sistema nervoso mandò a 'fanculo me e il mio finto coraggio, e cominciò a lavorare per me. Dio quella sensazione, la odio ancora, il tuo cervello ti fa credere che ti manca il respiro, quando invece non  è così, ti fa credere che tu non hai controllo per niente su te stessa. In due parole ti blocchi, e la paura, che si mette sopra come maggior peso non ti aiuta, per niente.

                                                                                                       _

Ricordo ancora il mio primo attacco di panico, il coraggio e la forza di mia madre di non crollare come me, piccolo essere troppo debole ed ingenuo. Lo sguardo freddo e lontano di mio padre, che nonostante tutto ci tenne segregate in camera mia per tutta la notte, cercando di ristabilire un nucleo familiare perfetto e candido, che a dire il vero non esisteva più da molto, molto tempo. Il seno di mia madre, il sui respiro lento e regolare, le sue parole rassicuranti. La luce flebile del mio comodino.

Non so' cosa fece scattare quella reazione tanto violenta come disperata in mio padre, all'inizio del mio percorso mi faceva solo rabbia ripensarci, ripudiavo solo l'idea. Delle volte è difficile affrontare se stessi, è difficile ammettere con se stessi la verità.Ci crogioliamo in quel limbo di bugie che non servono a molto se non a buttarci ancora più a fondo.

A volte è utile farsi amici i propri demoni.

E io lo feci, misi da parte piano piano, l'egoismo da "fragile vittima", e cominciai a cercare di ragionare sempre di più da giovane adulta, quale ero diventata da un po' di mesi. Cominciai a ragionare su tutta la "faccenda", ma non in modo brusco ed imparziale, semplicemente ragionavo, punto.

In meno di un mese avevo fatto scoperte sulla mia famiglia (mamma e papà, non ho nessun'altro qui) che mai avrei immaginato di poter fare in tutta la mia vita. Una freccia dopo l'altra, quel bravo arciere chiamato "ironia (del cazzo, aggiungerei, scusate la finezza) della vita" era riuscito a buttarmi giù. Ero depressa, ma continuavo a mostrarmi felice e forte, come dice sempre mia madre alla gente non gli frega niente dei tuoi problemi; finché sei felice loro gioiscono con te poi sono fatti tuoi. Di fatto fu così la gente si fece largamente i fatti suoi, i grandi amiconi di famiglia sparirono tutto d'un botto con banali scuse qua e la, e mia madre cominciò ad allontanare tutti, io dal mio canto non avevo queste grandi amicizie, e quei pochi buoni amici che avevo mi stettero accanto il più che potevano. 

Avevo continui attacchi di panico, una volta a scuola ne ebbi due di seguito. Li odiavo. Mi odiavo.

Mi odiavo perché non riuscivo ad essere forte abbastanza, mi odiavo perché non avevo più il controllo su me stessa, ero troppo fragile, troppo menefreghista. 

                                                                                       Troppo.




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