16. C'è tempo per morire

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Billie Eilish –  you should see me in a crown

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Ho sempre pensato di essere il pezzo difettoso della famiglia

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Ho sempre pensato di essere il pezzo difettoso della famiglia. La figlia problematica, quella che cerca il pericolo come se fosse l'unico modo per sentirsi viva, la piantagrane, quella che non china mai la testa e che non conosce l'imbarazzo.

Quella che fa vergognare tutti.

Sono talmente fatta male che, ai miei occhi, tutti i difetti diventano pregi.

Ma in questo momento c'è una vocina vellutata e controllata nella mia mente che cerca di dissuadermi. Mi suggerisce di non andare nella foresta questa sera. Mi incita a comportarmi da ragazza modello, di agire come se meritassi di essere qui. Non era forse questo il mio sogno? Questa scuola dovrebbe essere il mio nuovo mondo, eppure continuo a sentirmi come se non riuscissi ad incastrarmi in questo puzzle. Guardo i miei fratelli e sembrano a loro agio. 

È come costruire una giostra per gli altri per farli divertire, ma tu non ci sali mai. E se ci sali, la corsa non è come te l'avevi immaginata.

Non sono mai stata una brava ragazza e non voglio in alcun modo diventarlo adesso. Sopprimo quella stupida vocina, e penso al fatto che forse in fondo neanche Elias è bravo come sembra.

Lui sarà presente.

Non ho idea del perché, né di cosa andranno a fare, ma lo scoprirò.

Osservo l'esplosione di colori autunnali che mi circondano, le foglie rosse degli aceri e quelle arancioni delle querce.

Mi stringo nel mio cardigan mentre osservo la maestosità della scuola e il modo in cui si erge davanti a me insieme ai suoi segreti più inquietanti.

Mi appoggio con il fianco alla scalinata e osservo la vegetazione che si insinua tra le antiche pietre. Percepisco una presenza dietro di me; mi affianca silenziosamente. L'aria frizzante intorno a me è permeata da un profumo costoso da uomo.

Abbasso la testa e con la coda dell'occhio noto un paio di scarpe nere tirate a lucido e un pantalone elegante color blu navy stirato alla perfezione.

«Raven Parker, dico bene?», dice una voce bassa e misteriosa.

Mi giro lentamente, riconoscendo subito chi ho davanti.

«Sindaco», lo saluto con un cenno del capo.

Accenna un sorriso sottile. «Finalmente ho l'occasione di incontrarti.»

«Finalmente?», sollevo un sopracciglio. «Di solito le persone girano alla larga da me.»

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