•*•*•*•*•*•*•*•*•*•*•*•
" Sono caduta, mi sono rialzata,
fatta male e guarita. Sempre sola. Non cerco qualcuno che mi curi. Voglio qualcuno che mi ferisca di più. " - Alda Merini.•*•*•*•*•*•*•*•*•*•*•*•
Non mi interessava molto dell'apparenza.
Avevo vissuto una vita frastornata, uscivo sempre con vestiti sporchi e che , per la maggior parte , non erano i miei, ma non mi era mai fregato nulla di apparire felice.Non ero felice, non lo ero mai stata in vita mia.
Avevo undici anni, ed ero riuscita a capire di dovermi trovare una lavoro alla svelta, altrimenti non ne sarei uscita incolume.
Avevo aspettato di compiere tredici anni e poi avevo pregato il cassiere del mini-market vicino casa mia di assumermi. Gli avevo spiegato tutto, la casa senza le porte in cui vivevo, il bagno privo d'acqua e la situazione con mio padre, un drogato e alcolizzato che viveva solo per bere.
A volte non mangiavo nemmeno, solo quando si ricordava di avere una figlia e la sua pancia iniziava a brontolare, allora andavamo a fare la spesa. Alcune volte invece, compravo il pane dalle monetine che mi regalava Ellen, la mia migliore amica.
Il ragazzo mi aveva assunta e grazie a quei pochi soldi che guadavo, potevo mangiare e a volte comprarmi dei vestiti.La situazione era peggiorata quando mio padre aveva capito dove nascondevo i soldi e di tanto in tanto sparivano.
Ero arrivata a 17 anni nascondendo i soldi nei calzini delle scarpe che indossavo, a volte nel reggiseno. Avevo sperato di averne abbastanza per scappare, ma a causa delle spese e dei vestiti, arrivavano a malapena a quattrocento dollari.
Poi, durante una fredda giornata invernale, ero appena uscita da scuola e mi stavo dirigendo a casa.Il mio quartiere era pieno di ladri, perciò nascosi per bene lo smartphone che avevo comprato qualche giorno prima.
Stavo per attraversare e prendere una scorciatoia, quando una lussuosa limousine si fermò proprio davanti a me, tagliandomi la strada.
« Ma che cazzo fai!?», sbottai.
Ero già nervosa di ritornare a casa, sicura di trovare l'essere inutile di mio padre, steso sul divano e con una bottiglia di birra penzolante.
La portiera però si apri e il mio cuore perse dei battiti.
Mia madre.
Mia madre, colei che mi aveva abbandonata all'età di nove anni e mi aveva lasciata impasto a quell'uomo.Mia madre scese dalla macchina, racchiusa in un lussuoso cappotto beige, lungo fino ai piedi e che
lasciava intravedere le scarpe con il tacco nere.
I miei occhi corsero nei suoi, verdastri e contornati da delle occhiaie poco evidenti.
I capelli color rame, simili ai miei, raccolti in uno chignon basso e le labbra sottili colorate da un rossetto rosso.
Era splendida, come se l'età non l'avesse trasportata con sé e gli anni per lei non fossero passati mai.
Si portò una mano sulle labbra, come stupida e scioccata nel vedermi. Una lacrima le accarezzo la guancia liscia e priva di imperfezioni.
Non l'avevo mai vista così. Aveva un aspetto radioso, gli occhi erano felici, le vibravano di una felicità nascosta in quel momento. Con noi non era così, non aveva gli occhi che le brillavano e non si era mai curata.
Noi vivevamo grazie a lei, al suo lavoro e alla sua tenacia. Senza di lei eravamo crollati.
« Claire...», fece per dire, sommossa dalla collera e dall'emozione.
« No.» , negai con la testa, come se non riuscissi nemmeno a guardarla negli occhi.
Forse era così, non riuscivo a guardare negli occhi una donna che mi aveva abbandonata e non aveva avuto il minimo pensiero di portarmi con sé.
« Vieni con me, ti spiegherò tutto.», allungò una mano e le unghie lunghe e smaltate di rosso provarono ad acciuffare la mia, nascosta nelle tasche della felpa.
« Cosa diavolo c'è da spiegare? Mi hai abbandonata! », alzai la voce e mi procurai qualche occhiata da dei ragazzi che venivano nella mia stessa scuola.
Non mi degnai di fregarmene. Tutti conoscevano la mia storia, tutti nel mio quartiere e a scuola. Non nascondevo niente a nessuno e se qualcuno si degnava di darmi fastidio, allora lo avrei colpito con il mio gancio destro. Avevo rabbia repressa da vendere.
« Lo so, ma per favore vieni con me. Ti donerò la vita che non ti ho lasciato vivere.», singhiozzò e del mascara le colò sulle guance « Potrai anche odiarmi, voglio solo che tu viva la vita che sei degna di avere.»
« Prima non ne ero degna? Avevo solo nove anni!»
« Prima non avevo quello che ho oggi.», mi
confessò, come se adesso avesse i miliardi nascosti dentro un cassetto.
In realtà non avevo idea se realmente fosse così, forse era diventata ricca, cosa molto probabile, e io ero rimasta lì, chiusa in quella dannata gabbia.
Mi fermai.
Cercai di respirare.
Cercai di pensare.
Lei per me non era più una madre, era solo un genitore, colei che mi aveva concepita. Per me era morta e in realtà preferivo pensare che fosse così.
Volevo una vita, l'avevo sempre desiderata.
La volevo con tutta me stessa. Non potevo non fare niente quando mi veniva servita su un piatto d'argento.
« Come vorresti darmela? », non la guardai, fissai le mie Nike comprate qualche mese prima.
« Ti iscriverò all'ultimo anno di una delle scuola più prestigiose del Manchester.», provò ad avvicinarsi, allungando le labbra in un sorriso da abete, ma io mi allontanai, intimandole di fare lo stesso.
« Come mi hai trovata? »
Era una domanda sciocca. Sapeva benissimo anche lei che mio padre non aveva un soldo e che molto probabilmente non sarei mai riuscita ad andare via.
« Ho tentato.», infilò le mani nelle tasche del cappotto, ormai chiaro che non le sarei andata incontro.
« Cosa dovrei fare? », ero così confusa che anche il tono della mia voce sembrava tintinnare, ma di una cosa ero certa, non sarei tornata in quella casa.
« Vieni a casa mia , fidati di me un'altra volta Claire. Ti prego, ti prego...» , la sua voce si inclinò « Vieni con me e ti darò quello che non ti ho potuto dare in tutti questi anni. »
Non l'avrei mai perdonata. Non sarei mai riuscita a guardarla negli occhi e dirle che l'avrei amata di nuovo. Odiavo lei, odiavo la mia vita e odiavo quello che ero diventata, ma se mi stava raccontato la verità, allora volevo iniziare di nuovo, volevo darmi un opportunità.
« Ci sono le mie cose in quella casa.», non era casa mia, non l'avevo mai sentita mia.
« Passerà il mio agente a prenderle più tardi.»
Il suo agente.
Dio, cosa cazzo era diventata?
Chi diamine era?
Un sorriso amaro si formò sulle mie labbra e invece di entrare in macchina dal suo lato, feci il giro e mi aprii la portiera.
Poche ore prima mi trovavo a casa, nascosta sotto le coperte di lino, sperando che la sveglia suonasse e che non facesse svegliare mio padre.
Stavo buttando tutto quello che avevo fatto, ma per dare inizio alla mia nuova vita. Non mi sarei azzardata a parlare di quella passata, era un nuovo cazzo di inizio.
« Parti George, io e mia figlia abbiamo bisogno di tornare a casa.»
Tornare.
Come se io ci avessi mai messo piede in quella dannata casa.
STAI LEGGENDO
The thief of souls
RomanceIn un esistenza sofferente, Claire Lindsay finalmente crede di aver trovato la via di fuga. Reduce di una vita passata con il padre alcolizzato e da lavori in qualsiasi posto della zona in cui abitava, finalmente può dare inizio alla sua vita. Acco...