Capitolo 2: La connessione iniziale

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Ashley e io ci siamo ritrovate per caso, o forse no, qualche giorno dopo quel primo incontro.

Ero di nuovo allo Starbucks. Un’abitudine che avevo preso da quando vivevo qui: un caffè americano, un libro, e quel briciolo di anonimato che mi faceva sentire quasi normale. Stavo rileggendo distrattamente una pagina – chissà quante volte avevo già letto quelle righe – quando una voce familiare mi ha strappata dai miei pensieri.

«Letizia, giusto?»

Alzo lo sguardo e la vedo. È come se il locale, improvvisamente, si fosse illuminato un po’ di più. Ashley mi sorride, un po’ sorpresa, un po’ divertita. Indossa una tuta sportiva grigia, il suo zaino è appoggiato su una spalla e tiene in mano una bottiglietta d’acqua.

«Ashley,» rispondo, cercando di mantenere un tono neutro. Ma sono sicura che il mio sorriso mi abbia tradita.

«Non pensavo di trovarti qui. È il tuo posto fisso?»

«Forse sì,» scherzo, indicando il libro. «Mi aiuta a schiarirmi le idee.»

«Il coraggio di essere vulnerabili?» ripete, sedendosi senza aspettare un invito. «Allora siamo in due.»

«Anche tu? Non sembri il tipo che ha bisogno di libri d’autoaiuto.»

Ride, ed è un suono genuino, contagioso. «E invece sì. Voglio dire, siamo tutti un po’ un casino, no? Io compresa.»

Rimango in silenzio per un attimo, osservandola. C’è qualcosa in lei che mi incuriosisce. Non solo il modo in cui parla, ma anche come mi guarda, come se fossi più di una nuotatrice famosa.

«Dimmi di te,» dice Ashley, appoggiando il mento sulla mano. «Cosa fai qui a Los Angeles? E non dirmi solo che lavori. Voglio sapere la vera Letizia.»

Esito. Nessuno mi fa mai questa domanda. Di solito è: come ti alleni? Com’è vincere? Come ti senti a essere una campionessa? Ma Ashley no. Lei sembra voler sapere chi sono davvero, non solo cosa faccio.

«Beh, sono qui da giugno,» inizio lentamente. «Dopo le Olimpiadi, ho deciso di fermarmi per un po’. Catania… è casa mia, ma qui ho più opportunità per allenarmi, per crescere. O almeno così mi hanno detto.»

Ashley annuisce, come se capisse perfettamente. «E ti manca?»

«Catania? Ogni giorno. Mi mancano il mare, i colori, il cibo… ma soprattutto la mia famiglia.»

«Hai fratelli o sorelle?»

«Una sorella maggiore. Si chiama Chiara, vive ancora a Catania. Siamo molto diverse, ma mi manca comunque.»

Ashley sorride, ma c’è una punta di malinconia nei suoi occhi. «Io sono figlia unica. Cresciuta con mia madre. Ha fatto tanti sacrifici per me, sai? Per il calcio, intendo.»

Annuisco. Conosco bene quella storia. Lo sforzo costante di chi ti sostiene, la pressione di non deludere mai nessuno.

«Immagino che sia orgogliosa di te.»

Ashley esita, giocherellando con la bottiglia d’acqua. «Sì, lo è. Ma sai una cosa? A volte sento che non è mai abbastanza. Che potrei fare di più, essere di più.»

Le sue parole mi colpiscono. Non è solo il fatto che le capisco; è il modo in cui le dice, come se stesse condividendo qualcosa di prezioso, qualcosa che non dice a tutti.

«Anch’io mi sento così,» confesso, quasi senza pensarci.

Ashley mi guarda, sorpresa. «Davvero? Hai vinto cinque ori olimpici. Hai battuto record mondiali. Come puoi sentirti ‘non abbastanza’?»

«Non lo so.» Mi stringo nelle spalle. «Forse perché, una volta che hai raggiunto il massimo, tutto il resto sembra vuoto. Non c’è niente oltre quel traguardo. Solo silenzio.»

Lei rimane in silenzio per un attimo, poi sorride. Non è un sorriso di scherno, ma di comprensione. «Forse non stai cercando nel posto giusto. A volte, le cose che contano di più non sono quelle che raggiungiamo, ma quelle che scopriamo.»

Le sue parole mi lasciano senza fiato. C’è una saggezza in lei che non mi aspettavo.

Passiamo il resto del pomeriggio a parlare. Mi racconta di Miami, della sua passione per il calcio, di come sia arrivata a giocare nell’Angel City. Io le racconto della Sicilia, delle estati calde e dei sapori intensi, della mia vita nella piscina e delle volte in cui avrei voluto mollare tutto.

Quando ci salutiamo, fuori il sole sta tramontando. Le strade di Los Angeles sono immerse in una luce dorata, e per la prima volta da mesi, non mi sento sola.

«Ci vediamo presto?» chiede Ashley, prima di andare.

«Sì,» rispondo senza esitazione.

E mentre la guardo allontanarsi, mi rendo conto di una cosa: c’è qualcosa in lei che mi attrae, qualcosa che non posso ignorare. Non so ancora cosa significhi, ma per la prima volta, voglio scoprirlo.

Un tuffo, un gol e un bacioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora