Mio padre è un uomo malvagio, un uomo malato. Sta morendo affogato nell'alcol e nei piaceri del gioco e della carne; non è rimasto quasi niente degli antichi fasti di quella che era la nostra nobile famiglia. Mentre guardavo quei ritratti e osservavo tutti quegli uomini così assetati di potere, danaro e sesso, il nostro peccato, la nostra maledizione: la fame. Eravamo tutti affamati, le donne vendute al migliore offerente, esattamente lo stesso destino che mio padre aveva riserbato a me.
Tuttavia, nei meandri della mia mente, anche in me si celava un'ombra, un'oscurità piccola, un malevolo dito grinzoso che, ogni volta che vedevo passare lo stalliere nascosta dietro la colonna di legno della stalla, puntava l'orrendo braccio raggrinzito di desiderio verso di lui. Il gentile lettore penserà che l'oggetto di questa mia brama di giovane fanciulla potesse essere un amore mai dichiarato, un certo gusto del proibito. Ma no, caro lettore, ciò che questa sciagurata fanciulla bramava erano le carni del giovane: quel corpo possente e quella statura dirompente, l'avrei morsa e gliela avrei quasi strappata via. La verità è che anche io sono una creatura amara, come mio padre; adoro contorcermi nei reami del male e nelle sue tentazioni, quanto avrei desiderato che quel giovane mi prendesse.
L'ultima notte trascorsa nella casa di mio padre gli misi nel bicchiere qualche goccia di un certo sonnifero che avevo preso dalla vecchia strega che viveva al limitare del bosco, poco lontano dalla nostra tenuta. Sapevo che il tempo sarebbe stato disastroso e che il giovane avrebbe dovuto fermarsi per la notte nella piccola stanzetta al fianco della stalla dove tenevamo i cavalli. Così mi infilai la mia più bella vestaglia e, preso il candelabro, uscii da un passaggio dietro il mio guardaroba che soltanto io conoscevo, arrivai alla stanza del ragazzo e bussai tre volte.
-Chi è?-
-Sono la vostra signora, apritemi e fatemi entrare.-
Quando entrai lui mi guardò con sguardo perso. Lasciai cadere la mia vestaglia dal corpo.
-Mia signora, ho una moglie incinta-
-Se non mi prenderai qui ti denuncerò, dirò che mi hai attirata qui con l'inganno e che hai cercato di violentarmi-
Il suo sguardo triste e riluttante lo ricordo ancora. Mi prese con amarezza senza mai guardarmi in viso.
Il giorno dopo partii e non rividi mai più lo stalliere, me ne pentiti, mi aveva disgustata, credevo di amarlo e invece la sua carne mi aveva disgustata. "Madre, sono davvero figlia di mio padre? Ho anche io quel germe maledetto che scorre nelle vene di quegli uomini di cui ho sempre guardato i ritratti? Quel sangue, discendente di satana, che ti ha portata alla morte?", pensai guardando un suo ritratto.
"Forse questo è ciò che mi merito", pensavo guardando l'enorme castello del vecchio e ricco conte a cui ero destinata.
Venduta per un pò d'oro e gioielli.
Venduta per i debiti di mio padre.
Venduta da quell'uomo che amavo comunque, nonostante i mille schiaffi, il dente rotto, le botte alla testa e i tentativi di strozzarmi, tutto perché gli ricordavo mia madre.
Ma infondo, ero sua figlia, anche io ero un mostro.
E i mostri non possono che generare soltanto copie di loro stessi.
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le tre arance
RomanceIl libro è raccontato come i pensieri personali e i diari della protagonista: venduta ad un vecchio Conte dal padre per i debiti di gioco, dovrà confrontarsi con i dubbi e le paure a cui l'essere umano fa fronte durante il corso della sua vita. Con...