Correre.
Non ricordava perché, neanche realizzava di averlo mai saputo, ma era cosciente di dover correre, attaccare il furgone, fare del male, farsi del male.
Correre, ancora ed ancora.
Sentiva una gamba fargli male, ma ne ignorava il motivo. Era consapevole che ci fosse, come sapeva che, nel suo passato, correre era stato un tassello della sua vita. Lo sapeva, ma raggiungere quei perché era troppo difficile, troppo faticoso.Era tutta così la sua vita ormai, sempre che si avesse il coraggio di chiamarla tale.
Sentiva che la ragione, in un certo senso, era ancora radicata in lui, che, in un qualche modo, magari, sarebbe anche riuscito a raggiungerla, ad afferrarla. Ma era sommerso, ricoperto, da pensieri sconnessi, pensieri che sapeva di non dover avere, rivolti allo strano colore del cielo, all'odore della polvere, al suono che i suoi piedi facevano correndo, per strada.
Ed al costante, lineare, desiderio di morte.
L'unica cosa che sapeva di aver sempre avuto, sin dal primo momento nella radura.
Morire. Voleva morire.
Voleva morire, e avrebbe potuto morire.
Ma lo aveva tradito, non aveva rispettato la sua richiesta.
Morire.
Richiesta.
Tradimento.
Rabbia.
La sentì arrivare, la sentì risalire in lui, crescere sempre di più.
E poi scoppiò.
Iniziò a correre, scagliandosi contro il furgone, a più riprese.
Diventando esattamente come uno dei tanti altri.
Ignorando tutti gli altri.
Solo Rabbia, Morte, Tradimento.
Poi lo vide.
Impossibile non vederlo, certo.
Impossibile non riconoscerlo.
Sentì la rabbia, istantaneamente, andarsene, la ragione farsi strada nelle gallerie ormai scavate dalla pazzia, riuscendo ad aggrapparsi, seppur molto precariamente, alla parte della sua mente più vicina alla realtà.
Era in mezzo alla strada, ma non doveva correre più.
Non c'era più bisogno di correre.Non devi correre Newt, non devi.
Magari finalmente non devi neanche più vivere.
Magari puoi morire Newt.
Morire. Andarsene, finalmente.Thomas doveva rispettare quella richiesta, doveva.
Tommy, guardami.
Guardami, non ti faccio pena?
Non ti faccio pena, ridotto come un qualsiasi spaccato?
Uccidimi Tommy.
Voglio morire, devo morire.
Dovevo morire due anni fa Tommy.Sapeva, era consapevole di apparire pazzo agli occhi dell'amico.
Sapeva bene anche di esserlo.
Era, in un certo senso, felice di esserlo.
Non importava neanche più l'orgoglio, a quel punto.
Non importava se facesse pena.
Voleva solo essere ucciso. Ucciso dal suo migliore amico.«Ehi, Newt, sono io, Thomas. Ti ricordi ancora di me, vero?»
Dio, Tommy!
La sua voce era così vera, così reale.
Lo ritirava su, quasi fosse una molla, verso il porto della lucidità.Il porto sicuro... Io ho cercato il porto sicuro, io l'ho cercato, in un modo talmente disperato che...
E' difficile. E' difficile non ricadere giù, nella nube dei suoi pensieri, sconnessi e distanti.
Ma lui ci prova.
Quei pensieri tentano di tirarlo via, verso l'oblio di ricordi, sentimenti divoranti, promettendogli quasi una pace illusoria.
Ma lui quella pace non la vuole.
Perché sa che forse ha un'altra occasione per conquistarsi quella vera, adesso.
Si affretta a rispondere, appena coglie l'ondata della lucidità, prima che se ne vada di nuovo.«Accidenti se mi ricordo di te, Tommy. Sei appena venuto a trovarmi al Palazzo, sbattendomi in faccia il fatto di aver ignorato la mia lettera. Non posso impazzire completamente nel giro di pochi giorni.»