Prova finale - Epilogo.

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"Io l'ammazzo. L'ammazzo."

"Levale ora quelle luride manacce di dosso o giuro su Dio che ti faccio saltare la carotide."

Quattro figure indistinte si stagliavano nella foschia, immobili e pallide come statue, al centro di una vasta distesa erbosa.

Quella prateria, la Brughiera di Sveppir, era il posto in cui tutto era iniziato.
E in cui tutto si apprestava a giungere al termine.

L'aria era densa e pestilenziale.
La nebbia, così fitta da poter essere tagliata con un coltello, ristagnava rasente al terreno, inferma e pesante.

Loro erano li. Di nuovo.
Ma questa volta, non erano sole.

Un uomo, in preda alla pazzia, teneva Eliverta per il collo, minacciandola con un pugnale.
Di fronte a loro, Aurora tendeva l'arco, pronta a scoccare il suo dardo mortale dritto nella gola del folle.

La voce dell'uomo era impastata, i suoi occhi iniettati di sangue.
La mano con cui impugnava il coltello tremava nervosamente, segno che aveva ormai raggiunto il limite.

"Ora l'ammazzo. Le taglio la gola.
E poi ammazzo pure te.
Vi ammazzo entrambe, dannatissime streg..."

Onnekas ringhiò a denti stretti, ammutolendo l'uomo prima che potesse completare la frase.

Abbandonato dalla madre nel deserto di Nnu per via della sua zampa malformata, il cucciolo di sciacallo non aveva dimenticato quanto fosse fredda la notte del deserto.
E sopratutto, non aveva dimenticato il calore che aveva percepito quando le due giovani donne, impietosite, lo raccolsero.
Aurora ed Eliverta gli avevano salvato la vita.
Ed ora, Onnekas avrebbe salvato la loro. 
Ad ogni costo.

Eliverta, chiusa nella possente stretta dell'uomo, tratteneva il respiro.
Fissava Aurora impietrita, con gli occhi sbarrati.
Come se avesse capito che la fine non era lontana.

"...Prova solo a sfiorarla con quella lama e ti faccio pentire di essere uscito fuori dall'utero."
Aurora allertò l'uomo ancora una volta, tendendo la corda dell'arco d'ulivo fino al punto di massimo allungo.
"Mollala. Ora."
Il suo sguardo era glaciale, e al contempo ardente.
Non avrebbe permesso ad anima viva di ferire sua sorella.

L'uomo serrò le labbra, gli occhi carichi di astio e terrore.

"Voi due, voi due disgraziate... "
Disse incurante degli avvertimenti.

"Chiudi quella fogna."
Ribatté Aurora, impietosa.

Lui, tremante, chinò il capo.

"...Alma, la mia Alma... Era solo una delle innumerevoli vittime della vostra disumana brutalità.
Solo una delle tante persone che intralciavano la vostra strada.
Ecco cos'era, per voi. Carne da macello. Nientemeno che carne da macello."

"Non siamo state noi ad uccidere tua moglie."
Fece lei, ma lui non le diede ascolto.

"Voi... non guardate in faccia nessuno.
Le strade di Amenavra sono coperte da montagne di cadaveri, cataste di corpi irriconoscibili. Sventrati, smembrati, dilaniati più e più volte dalla vostra barbara furia.
L'odore della morte ha impregnato il legno, le vesti, le nostre stesse anime.
La città di Amenavra è morta.
E' morta... Nell'esatto istante in cui voi bastarde siete apparse al confine."

A quella frase, le pupille di Aurora si restrinsero.
Aveva ascoltato abbastanza.

Tese l'arco, per l'ultima volta.
L'uomo rialzò il capo. Nei suoi occhi, la scintilla di follia era sparita, lasciando spazio ad uno sguardo ben più lucido, aspro e colmo di sdegno.
Fissava Aurora nelle iridi ambrate, disprezzando la morte.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 31, 2015 ⏰

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