Real Life

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Esiste una piccola città a circa due ore da New York.
Una di quelle con giusto due Starbucks, un BurgerKing e un minuscolo campo di put-put.
Stanhope.
Fu lì che nacqui il 7 Luglio del '97.
Mi chiamarono Amelia, come la madre di mio padre.
Nonna Amelia fu fiera della scelta dei miei genitori, e mi considerò da sempre la nipote prediletta.
La mia vita era una vita normale.
Ebbene si, lo era.

A Stanhope esistono due tipi di persone.
C'è gente che vive la sua vita nella noia che essa gli porta giornalmente; e quella che vende morte con l'hobby di giudicare tutti.
Ero giudicata una bimba nella scala sociale di chi, per presunzione, di società se ne intendeva più di tutti.
Ero scettica verso coloro che della propria vita ne facevano un cortometraggio pieno di suspense e malattie mentali.
Odiavo vedere quelle sagome perfette sfilare per il cortile della scuola, con una sigaretta in mano.
Erba o tabacco che fosse.
Sembravano modelle uscite da qualche rivista di Broadway, erano alte, abbastanza in forma da potersi permettere qualunque vestito piacesse loro.
Erano in sei.
Attraversavano, ogni giorno, le strisce pedonali di fronte scuola, e puntualmente l'auto di mia madre che passava di lì per lasciarmi in quel carcere, frenava dietro due auto, ferme per lasciare passare le regine della vita vera.

Io, io ero una bimba, che criticava perché non aveva ancora provato il gusto della loro vita.
Una bimba che non sapeva niente della vita selvaggia.
Una bimba che disprezzava solo perché sapeva che non avrebbe mai avuto nulla di tutto quello.

Io, io non ero una nullità.
Ero l'unica figlia dei miei genitori, significava pur qualcosa.

Ma io, io non ero abbastanza.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 05, 2016 ⏰

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