Mia

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Che creature strane i ragni... Con quelle sei zampette sottili e il corpo peloso sono tanto disgustosi da far rabbrividire, ma infondo sono animali innoqui... nascono, cercano un luogo tranquillo per costruirsi una casa e lì vivono senza infastidire nessuno. Sono anche utili, uccidono le zanzare, quelli sì che sono insetti fastidiosi. Un po' però le invidio... quanto dev'essere bello saper volare.
-Mia!- Mi urla una voce furiosa davanti a me. Torno alla realtà.
-Hai capito quel che ti ho detto?!-
-Eh? Ehm... si certo.-
La signora Running abbassa lo sguardo e tira un profondo sospiro.
-Vedi Mia... è questo il tuo problema, hai sempre la testa tra le nuvole.-
La guardo in silenzio cercando trattenere una smorfia dalla noia. I suoi occhi hanno un colore a metà tra l'azzurro e il grigio, mi guardano freddi e distaccati.
-Ascolta, io desidero più di te che tu riesca a passare l'anno...-
Ha delle pupille così profonde... non posso fare a meno di fissarle.
-Ma non posso aiutarti se non vedo neanche un po' di impegno da... Mia!-
-Si, la sto ascoltando.-
Ora ha assottigliato lo sguardo, si vede che sta per perdere la pazienza.
"stupida mocciosa svampita, possibile che non riesca a concentrarsi per più di due minuti?! Non vedo l'ora che finisca l'anno, vedremo poi se avrà ancora voglia di prendermi in giro quando verrà bocciata."
-Cosa?!- sobbalzo preoccupata alla notizia. Lei mi guarda interrogativa.
-Io non ho detto niente.- esclama.
E' successo di nuovo. Le voci nella mia testa sono tornate... Ormai era da più di quattro mesi che avevano smesso di presentarsi, per un attimo avevo persino pensato che finalmente se ne fossero andate per sempre. E invece no.
-Mi scusi... stavo pensando ad altro.-
-E quando mai...- mi risponde leggermente scocciata.
Persa ogni speranza mi congeda dalla presidenza, e finalmente posso tornare a casa.
Non ho il coraggio di dire a mia madre di essere stata nuovamente richiamata, non voglio farla stare male.
Non le dirò neanche del ritorno delle voci. I miei genitori hanno fatto fin troppo sacrifici per pagarmi i vari dottori e terapisti che hanno provato ad aiutarmi in tutta una vita, ovviamente senza risultato.
Da piccola pensavo di leggere nella mente, purtroppo non è mai stato un dono, ma una disgrazia. Sono sempre stata la "bimba strana", quella con cui nessuno voleva parlare o fare amicizia.
Ovviamente gli adulti non potevano pensare che le mie voci fossero il risultato di qualche potere sovrannaturale, e ognuno aveva la sua spiegazione.
-E' un segno d'insicurezza da parte del soggetto: Si immagina quel che potrebbe pensare la gente per paura di deluderla- Aveva detto il baffuto Dottor Redi.
-Prevede quello che la gente potrebbe dire in base alla situazione, in pratica la sua testa le suggerisce frasi ovvie e prevedibili.- Ipotizzava la giovane Dottoressa Renzi.
- E' una mocciosa che vuole solo attirare l'attenzione.- Farneticava la grassa signora Hudson, nostra vicina di casa.
Dopo qualche minuto passato camminando travolta da mille pensieri il paesaggio comincia a mutare forma, le case diminuiscono facendo spazio ai prati e le strade vengono sgomberate dai passanti.
Per casa mia la strada non è complicata, basta andare dritto e camminare fino a quando non finisce la città: vivo davvero troppo lontano. Ma io non voglio tornare a casa, imbocco invece una via più piccola e non asfaltata, indicata soltanto dal terreno più compatto e delimitato da pietre.
Non prende mai nessuno quella via. Un po' perché a vivere da questo lato della città ci sono solo anziani stanchi per i quali l'idea di passeggiata è il percorso che fanno dal letto al divano, un po' perché essa porta solamente ad un piccolo gruppetto di alberi, così pochi da non poter essere definito neanche un bosco.
Inoltrarsi in quel luogo, salire sul rami e nascondersi tra le rassicuranti fronde verdi era la cosa che più amavo; ci andavo quando ero triste o giù di morale, quando non mi sentivo capita o venivo presa in giro.
L'aria spirava fresca scuotendo le foglie verdi e creando un dolce fruscio, il sole si insediava tra i rami che lasciavano filtrare solo qualche raggio color giallo acceso e i piccoli animali di bosco correvano agili sui tronchi e tra l'erba tanto frettolosamente da far contrasto con l'ambiente quieto.
Chiudo gli occhi e assaporo il momento. Una lacrima mi riga la guancia, a volte le emozioni sono troppe per esser contenute in un solo corpo... e bisogna farle uscire, per questo esistono le lacrime.
-Bel posticino... non c'è che dire!-
Sobbalzo sconvolta. Una voce? Qui? Non me la sono immaginata.
Apro gli occhi e li punto verso il basso: si, è una persona reale, e mi sta guardando.
Che dire? Che fare? Non l'ho mai visto, non è certo del mio paese. Sembra avere la mia età, è un ragazzo dai capelli biondi e rivolti verso l'alto, ha due occhi talmente verdi da confondersi con il prato che gli fa da sfondo; ma la cosa che risalta maggiormente è il suo sorriso, così sfacciato e naturale da far risaltare l'intero viso.
La sua bellezza mi rende ancora più inquieta, sembra il classico ragazzo inavvicinabile che osservi da dietro un libro di scuola immaginandoti incontri impossibili. Arrossisco pesantemente, in questo momento vorrei diventare invisibile; magari lo sono, non è possibile che un ragazzo del genere mi stia prestando attenzione.
-Ehi, sei muta per caso?- dice ancora inclinando la testa da un lato.
Rimango in silenzio. Vorrei dire qualcosa, ma ogni risposta mi sembra talmente stupida e inadeguata da morirmi in gola.
-Ok... ho capito.-
Si è avvicinato al mio albero. Si sta arrampicando... che fa? cosa vuole da me?
Gli bastano pochi secondi per portare il viso ad un soffio dal mio. Spalanco gli occhi indietreggiando istintivamente con la schiena.
Passa qualche secondo a fissarmi, sto seriamente pensando all'idea di buttarmi giù dall'albero e fuggire via.
Porta una mano a contatto con la guancia. Mi ha toccata, è talmente calda...
Non so esattamente cosa l'abbia spinto a farlo, forse un attacco di follia. Un attimo.
Il piccolo spazio presente tra i nostri volti si annulla e le sue labbra entrano in contatto con le mie.
Sono morbidissime, la cosa più morbida che abbia mai sentito, e calde. Una sensazione mai provata mi attraversa tutto il corpo e comincio a tremare; è sentimento strano, un misto tra piacevole e terribilmente imbarazzante, qualcosa di impossibile da descrivere,
Mi ha baciata.
Il momento non dura molto, il tempo di realizzare quel che stava succedendo e lo spingo subito via.
-Ma che diavolo fai?!- urlo portando le dita alle labbra.
-Allora ce l'hai la lingua!-
Non so cosa rispondere, ho le guance ormai viola dall'imbarazzo e tutto quel che voglio è andarmene.
Mi alzo frettolosamente da dove mi ero seduta e senza neanche pensarci appoggio il piede sul primo ramo che trovo, senza controllare la sua stabilita.
-Attenta!- mi avverte lui, ma io sono troppo presa dalla situazione per pensare alle sue parole; così, grazie alla mia grande indole di svampita, il ramo si rompe e io cado rovinosamente a terra.
Sento un forte dolore alla caviglia, emetto un gemito.
-Stai bene?- Mi chiede lo sconosciuto avvicinatosi. Come ha fatto a scendere in così poco tempo? Mi guarda la caviglia.
-E' gonfia, potrebbe essere rotta.- Avvicina una mano ma io ritraggo subito la gamba, provocandomi altro dolore.
-Va via!-
-Voglio solo darle un'occhiata, non ti mangio mica.-
-Chi sei tu? E cosa vuoi da me?- finalmente trovo il coraggio di chiederglielo.
-Fammi vedere quella caviglia e te lo dirò.-
-Io non ti conosco!-
-Se è per questo neanch'io conosco te.- le sue parole così semplici sono disarmanti.
-Ma mi hai...- continuare la frase è troppo imbarazzante.
-Cosa?-
Ricado in silenzio.
-Ascolta... potresti essere ferita, fammi solo controllare, giuro che non ti farò male.-
Continua a guardarmi, non penso che accetterà un no come risposta. Gli lascio distendere la mia gamba, poi molto delicatamente mi toglie la paperina nera facendo entrare a contatto il piede con la terra umida.
Appoggia le mani l'una sull'altra sulla mia caviglia, poi chiude gli occhi e tira un grosso sospiro.
La pelle si colora di un luminoso bagliore azzurro, poi tutto svanisce e lui mi libera dalla sua presa. Sembra stanco.
Muovo avanti e indietro il piede senza sentire alcun dolore, il gonfiore è svanito.
-Come hai fatto?-
-Sono uno stregone!- scherza alzando le mani e agitando le dita.
Lo guardo infastidita. Ha un carattere davvero troppo strano, non riesco a capirlo. Per la prima volta nella mia vita vorrei potergli leggere nella mente.
Il suo viso ora è serio. Lo vedo girare furtivo la testa a destra e a sinistra quasi come un fuggitivo. Si avvicina lentamente a me, cercando di provocare il minimo rumore, poi poggia l'orecchio sul terreno.
-Che stai f...- la mano mi tappa la bocca impedendomi di terminare la frase.
-Mi hanno seguito...- quelle parole mi riempiono di terrore, che sia davvero un criminale?
Non faccio in tempo a reagire alla nuova informazione che mi ritrovo in piedi afferrata per un braccio. Parte a correre e io dietro di lui trascinata dalla sua stretta.
-Che fai lasciami!- urlo, ma lui sembra non ascoltarmi. -Ti prego... fermati.-
Rallenta una volta arrivati davanti ad un grande albero verso la fine del boschetto.
Finalmente mi lascia, ma dura giusto il tempo di scostare una piccola botola da sotto un gruppo di legnetti, poi mi riafferra e mi porta giù con lui.
Il luogo è buio e sa di muffa, ho paura.
-Aiuto!- faccio in tempo a dire, ma lui mi immobilizza agilmente contro il muro tappandomi nuovamente la bocca.
-Stai zitta, vuoi farci scoprire?- dice con un tono che sembra per la prima volta serio. Il suo corpo è contro il mio in modi da impedirmi la fuga. Non vedo niente.
-Ascolta... le persone che mi stanno cercando non sono poliziotti o carabinieri, e non avranno certo scrupoli neanche con te.- Le sue parole sono fredde e non ammettono contraddizioni.
Sentiamo dei passi sopra di noi, voci grottesche e ovattate che urlavano parole a noi incomprensibili, poi più nulla. Una lacrima di terrore mi riga il viso, bagnandogli le dita.
Mi libera la bocca e mi asciuga la guancia, poi non appena sicuro che non avrei provato ad uscire, libera anche il resto del mio corpo. Cado a terra.
-C-chi sei...?- chiedo nuovamente, ma questa volta con un tono ben diverso.
-Io sono come te.-

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