Primi sguardi

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Non avevo la minima voglia di andare a scuola. Questo fu il primo pensiero che mi investì appena aprii gli occhi.
Era certo una bella giornata di metà settembre e tutto quanto, ma proprio non ne avevo voglia. Le lezioni erano ricominciate da solo due settimane, ma non mi ero ancora abituata all'idea di svegliarmi così presto, soprattutto dopo tre mesi passati a dormire di giorno e uscire la notte, quasi fossi un vampiro.
Ero ancora a letto nonostante fossero già le 7.10 e iniziai a temere il momento in cui mia madre sarebbe venuta in camera mia a pronunciare il mio nome più volte con il tentativo di farmi alzare. Era una cosa che trovavo terribilmente irritante e che non sopportavo.
Iniziai a pensare a qualche scusa per convincerla a farmi rimanere a casa. Ero abbastanza brava a inventarmi balle, forse lo ero un po' meno nel raccontarle, ma poco importava.

"Jane! Alzati è tardissimo! Non hai visto che ore sono?"
Ecco lo sapevo.
"Jane! Lo so che mi senti!"
Fantastico! Era anche una sensitiva.
"Si mamma! Ora mi alzo!"

Molto lentamente e controvoglia scesi dal letto, e, dato che non mi ero fatta venire in mente nessuna scusa originale per continuare a dormire, mi diressi in bagno.
Decisi di farmi una doccia veloce, tanto per svegliarmi un pò e migliorare l'aspetto che le poche ore di sonno mi avevano regalato. Cercai di asciugarmi come meglio potei la lunga massa di capelli castano chiaro che sovrastavano la mia testa. Sinceramente sembravo una specie di leone, ma poco importava, dovevo muovermi.
Persi qualche secondo davanti allo specchio e notai che sotto i miei grandi occhi azzurro-grigi c'erano delle lievi occhiaie, e che la pelle era troppo bianca, come sempre. Insomma ero proprio una meraviglia. Corsi a vestirmi,e considerando che la temperatura era abbastanza elevata, decisi di mettere un paio di jeans,una semplice maglietta a maniche corte bianca. Ignorai le proteste di mia madre, che dalla cucina mi urlava di fare colazione.
Io amavo mangiare, ma il mio appetito poco dopo essermi svegliata era pressoché inesistente e sostituito da un fastidioso senso di nausea. Quindi, presi la borsa a tracolla con i libri, e mi diressi alla fermata dell'autobus, dove fortunatamente,arrivai giusto in tempo per salire sul mezzo.
Era sempre pieno di ragazzi ed essendo la mia, prima della penultima fermata, mi ritrovavo sempre a dover stare in piedi.
Durante il tragitto mi infilai le cuffiette e feci partire la riproduzione casuale. Incominciò "Breezeblocks" degli Alt-j, non avrei potuto scegliere di meglio.
Mi piaceva osservare la gente, soprattutto quando non sapeva di esserlo. Infatti incominciai a guardarmi intorno, e notai le solite persone, sedute all'incirca nei loro posti abituali.
Guardai un attimo fuori, attraverso il vetro segnato da qualche riga, e poi il mio sguardo si soffermó su un posto piuttosto in fondo che non avevo notato e sul quale era seduto un ragazzo.
Era strano, perché mi sembrava di non averlo mai visto.
Aveva i capelli lunghi fino all'orecchio, formati da morbidi riccioli scuri, dello stesso colore della barbetta ai lati del viso. Sfortunatamente indossava gli occhiali da sole,perciò mi risultó impossibile vederne lo sguardo. Questa cosa mi infastidì ed incuriosì al tempo stesso. Notai che il colore dominante sui suoi vestiti era il grigio scuro, e considerando l'aspetto e la postura che emanava sicurezza, giunsi alla conclusione che doveva essere dell'ultimo anno.
Le sopracciglia erano folte,ben definite, e a quello destro portava un piercing, le labbra erano carnose e rosee, la mascella delineata e spostando poco più in basso lo sguardo non potei non vedere le spalle larghe e il fisico tonico,evidenziato dalla maglietta aderente e sulla quale indossava una camicia completamente sbottonata. Probabilmente era uno di quegli stupidi scimmioni che giocavano a football, e non pensavano ad altro se non che a loro stessi e alle ragazze "popolari" o più che altro famose per la loro DISPONIBILITÀ. Proprio mentre lo stavo così accuratamente analizzando (e si può dire anche "etichettando") mi accorsi che aveva spostato lievemente la testa nella mia direzione e che mi stava guardando.
Si fece sfuggire un piccolo sorriso malizioso (arrogante).
Fantastico, si era accorto che lo stavo fissando.
Calma, fai finta di niente Jane.
Giusto in tempo, il bus si bloccó all'ultima fermata e spostai completamente lo sguardo con la scusa di guardare quelli che dovevano salire. La presenza dei nuovi ragazzi peggioró la situazione perché eravamo tutti ancora più appiccicati ed era difficile ignorare la puzza di sudore che si stava diffondendo mano a mano che i secondi passavano.
Appena il mezzo ripartì,ricadetti in tentazione e spostai nuovamente lo sguardo sul misterioso ragazzo, che,non solo si era tolto gli occhiali e aveva dei meravigliosi e luminosi occhi chiari, ma mi stava anche fissando.
Mi sentivo stranamente in imbarazzo, anche se non ne conoscevo propriamente il motivo, e dico "Stranamente" perché raramente mi capitava di provare quell'emozione. Non sapendo cosa fare e facendomi influenzare dalla parte timida che c'era in me, mi spostai vicino alla porta dell'uscita del bus, con le spalle rivolte al misterioso ragazzo, così da impedire a me stessa di guardarlo ancora (ero certa che non avrei potuto farne a meno).
Dopo pochi minuti,che a me parvero un'eternità,arrivammo a scuola, la famosa (e aggiungerei l'unica della città) "Melton High School". Frequentavo quell'istituto da un paio d'anni, ed esattamente due anni prima, dopo aver compiuto quindici anni, mi ero trasferita con i miei genitori nel Delaware, nella contea di Kent, che ormai chiamavo casa. Abitavamo a Dover, capoluogo della contea, ma dove non c'erano chissà quante cose da fare. Ma era un luogo tranquillo e non succedeva mai niente di brutto o particolarmente sconvolgente. Cioè, diciamo che non succedeva proprio niente in generale.
Approssimando per eccesso, gli abitanti erano 36100. Bene o male le persone che si vedevano erano sempre quelle e si conoscevano quasi tutte tra loro.
Questa poteva anche essere una cosa bella, se non si considerava il fatto che così, tutti si sentissero in dovere di sapere tutto a proposito di ognuno e di intromettersi, risultando, anche senza volerlo, fastidiosi e invadenti. Scesi dal mezzo accompagnata dagli spintoni di quelli dietro, che sembrava non vedessero  l'ora di entrare in classe. Cercai con lo sguardo le mie migliori amiche e come sempre le vidi sotto uno degli alberi poco distanti dall'entrata del liceo, mentre discutevano animatamente. Non potei fare a meno di sorridere e mi incamminai nella loro direzione. Emily e Sophie erano due matte, ma del resto lo ero anche io, anche per questo motivo eravamo un trio inseparabile. Le avevo conosciute quando mi ero appena trasferita, e da allora stavamo sempre insieme. Mi avevano aiutata molto e non ce l'avrei fatto senza di loro.
Lasciare la mia vecchia casa a Los Angeles non era stato facile, ma era meglio così. Avevo detto addio a quei pochi, ma buoni amici che avevo e ai miei nonni, Harold e May. Quanto mi mancavano. Ogni estate avevo l'opportunità di andare a trovarli, ma nonostante mi facesse piacere, non potevo liberarmi di quel senso d'angoscia che mi attanagliava ogni volta che tornavo lì.
Mi tornarono alla mente brutti ricordi, ma riuscii a scacciarli.
Mi sedetti vicino alle mie amiche e tolsi le cuffiette, ma quasi non si accorsero della mia presenza,fino a quando non le salutai.
"Ehi J! Ti stavamo aspettando! Andiamo a fare colazione?"
Chiese Sophie. E appena pronunció la parola "colazione" mi accorsi che la nausea era sparita e che il mio stomaco stava brontolando.
"Certo Soph! I nuovi muffin al cioccolato e vaniglia sono favolosi e non vedo l'ora di riordinarli."
Affermai occhi sognanti.
"Quanto hai ragione! Sono favolosi, stanotte me li sono sognata ahaha" aggiunse Emily, strappandoci una piccola risata.
"Dai andiamo allora. Ma di cosa stavate parlando prima con così tanto trasporto da impedirvi di accorgervi della mia presenza?"
Chiesi fingendomi offesa.
"Ah si. Devi assolutamente sentirla questa! Emily mi ha detto che quando è uscita di casa questa mattina...che ore hai detto che erano Em?"
" Erano le 7.00,ma fallo raccontare a me!"
Sophie sbuffó ed Emily la ignoró continuando a parlare.
"Sai che mia madre è fissata con le malattie e cose varie no? Ecco,questa mattina, sono andata a farmi fare un prelievo del sangue. Quando sono uscita dall'ospedale, mi sono incamminata verso casa per prendere lo zaino ecc...
Ero nella strada del locale che hanno aperto da poco il "Monkeys café" , quando ho notato un ragazzo che non avevo mai visto che ne usciva con due caffè da asporto in mano. Era bello da morire vi giuro. Spero che non sia stata una specie di allucinazione dovuta al sangue in meno ahaha. In ogni caso ve lo descrivo:capelli scuri e folti,  di quelli che ti fanno venire voglia di passarci dentro le mani.. Una leggera barba e una bocca meravigliosa che sono riuscita a notare anche se non ero proprio vicinissima. Nonostante il sole non ci fosse ancora portava degli occhiali da sole e..."
"Fammi indovinare... Alto, muscoloso e completamente vestito di grigio?"
"Si, proprio così, come lo sai?" Nel frattempo eravamo entrate nel nostro bar di fiducia di fianco alla scuola, e ci eravamo sedute al nostro solito tavolo.
Appena ci vide, ci raggiunse Margareth per prendere le ordinazioni: tre caffè più i muffin.
"Era sull'autobus, penso che da oggi frequenterà la nostra scuola, comunque si, non era male, ma non esageriamo." Mentii cercando di fare l'indifferente.
"Non era male?! Non era male?! Jane Fields, scherzi vero? Capisco che sei una ragazza fedele, ma quando dici cose del genere si capisce che menti"

"A proposito di ragazza fedele.. Come va con quel cretino di Ethan? Si è scusato e avete fatto pace?" Mi domandó prontamente Sophie.
Oh merda,com'era possibile che mi fossi completamente scordata di lui?!

" Si, il cretino ha provato a scusarsi, ma non voglio perdonarlo subito.. Lo terrò un po' sulle spine"
Loro appoggiarono la mia decisione e subito dopo arrivó la nostra colazione. Mentre mangiavo sentivo Emily e Sophie parlare di qualcosa, ma ero immersa nei miei pensieri. Avevo litigato con Ethan perché diceva che non poteva più aspettarmi, che ero una bambina e che se veramente lo amavo sarei andata a letto con lui ecc... Avevo diciassette anni, ma non mi sentivo pronta a compiere un passo del genere, soprattutto quando dopo quattro mesi iniziavo ad avere dei ripensamenti su di lui. A distogliermi dai miei pensieri fu la voce di Emily "Ehi ci conviene andare, non abbiamo molto tempo prima che suoni la campanella e non mi va di essere obbligata dalla "signorina" Rottermayer a fare una giustifica per due minuti di ritardo!"
A quelle parole io e Sophie non potemmo trattenere una risata. La "signorina" Rottermayer era la nostra professoressa di matematica,un donnone sulla cinquantina, e non avendo mai avuto nessuno il coraggio di sposarla, ci teneva a farsi chiamare con quel l'appellativo poco azzeccato e piuttosto ridicolo. Ci alzammo tutte e dopo aver pagato il conto andammo di corsa a scuola.

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