E non capisci perchè

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E non capisci perché ma lo senti, lo senti che stai male, che così proprio non riesci a vivere, che la vita è razzista e che non puoi farci nulla. 

La vita ti controlla, ti tira per i capelli. È letale.

Nessuno la ammansisce mai del tutto. Puoi anche sentirti Dio e averla sempre vinta. Ma alla fine è lei che ride per ultima. Ride forte. È assordante.
Fuori dalla finestra un'allodola spicca il volo. È mattina e lei vola in alto.

Oggi penso troppo, ho il cervello che scoppia e il cuore che urla. 

Mi tocco il viso e sento le cicatrici delle lacrime ancora vivide sotto i polpastrelli. Sono distrutta. E da cosa? Da me stessa. No anzi, dalla vita. Ci si sente sempre in bisogno di incolpare qualcun'altro al nostro posto. Anche se la colpa è solo nostra. 

 L'allodola ora sembra toccare il sole. Raggi ramati nel rosa dell'alba. Lei è la macchia nera che stona, che vuole volare libera. Che stona.

Lasciatemi scappare, lasciatemi vivere. Libera da questa società che vuole solo stampi da manipolare. Libera di essere e libera di esistere. Non ho chiesto io questa vita, questo corpo, maledetto rivestimento che ci avvolge e che viene continuamente valutato e messo in mostra. Non lo voglio, mi fa paura. 

Premo un dito sul vetro freddo della finestra. Lo faccio scorrere, seguo lentamente il volo dell'uccello che lentamente svanisce, diventa un puntino indistinto. Poi si tuffa dentro le nuvole. Viene inghiottito. Rimango con il dito fermo nel punto dove l'allodola è svanita, poi lentamente lo faccio scorrere sempre più in basso. Un movimento leggero che trafigge l'immagine del paesaggio oltre la finestra. Che lo trapassa. 

Non la vedo più, ora, l'allodola. Persa oltre quelle nuvole rosa. Il sole brilla ancora là nel cielo e risplende come sempre, pigro, incurante di quell'allodola che voleva raggiungerlo.

Sospiro e prendo una mela dalla fruttiera. È verde, la mordo.
Osservo il castagno dal quale l'allodola aveva spicato il volo. Il sapore aspro del frutto mi invade la bocca. Faccio una smorfia.
La vita è acida.
E io faccio una smorfia.

Salgo le scale e mi butto sul letto, lo sguardo al soffitto. Butto il mio corpo su quell'ammasso mollo pieno di molle. Quel corpo che non voglio e che mi tocca tenere.
Sono il frutto marcio nato da un seme bellissimo. Sono marcia, sono difettosa.
Oggi va così, non ne esco.
Rimango sul letto per minuti, ore, non lo so. Guardo quelle gambe che mi ritrovo, troppo grosse, troppo corte, troppo tutto. La porta dell'armadio è aperta, una scheggia di me riflessa sullo specchio.
Una mano, un ciuffo di capelli...un occhio. Tutti difetti, tutti errori di stampa.
La mia pancia fa rumore. Brontola, mi insulta. Stai zitta, penso. Mi metto seduta e premo una mano sul ventre, per zittirla. Mi piego fino a farmi mancare il fiato. Sento la carne molla e le ossa sotto il palmo. Mi sale la nausea. Vomito nel water del bagno. Vomito aria e mela. Non ho più nulla dentro. Mi immagino una sacca gonfia, bianca che pompa. L'acqua del lavandino scorre sotto le mie mani, gelida. Me la getto in faccia e chiudo gli occhi. Mi cancello. Per un attimo affogo, sono felice.

-Parole mai pubblicate (2015)

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