Prologo - ricordi

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Quel giorno camminavo nell'ombra dei numerosi corridoi della fortezza, chiamata anche castello per la sua forma

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Quel giorno camminavo nell'ombra dei numerosi corridoi della fortezza, chiamata anche castello per la sua forma.

Il castello detto così potrebbe sembrare uno di quelli delle favole, ma non aveva niente a che fare con le strutture fiabesche. L'imponente castello dominava su tutto il territorio circostante con la sua altezza e il suo colore, nero lucente, che a differenza del luogo che era cupo e non dava particolari segni di vita, risplendeva in tutta la sua immensa bellezza. L'architettura della fortezza dava l'idea di allungarsi fino a toccare il cielo perennemente nuvoloso, la parte centrale era la più ampia e alta, nonché la più regale e importante, la punta della quale sembrava essere il centro esatto, se non la causa, delle nubi sovrastanti.

Ad ogni singolo passo cresceva in me una particolare ansia e agitazione, mi passai una mano tra i capelli, neri corvino e costantemente spettinati, per cercare di calmarmi ma inutilmente. Nell'oscurità del corridoio brillavano solo i miei occhi di colore blu chiaro molto acceso, come degli zaffiri. Il respiro era calmo ma dentro di me c'era solo tanta confusione e timore.

Durante il tragitto non si sentiva nessun rumore a parte qualche inserviente che si inchinava al mio passaggio e l'eco dei miei passi, un po' tetri ma ai quali, ormai, mi ero abituato. Durante il percorso, passai vicino alle cucine e nell'aria sentivo un invitante odore, mi sarei fermato se non fosse che stavo pensando alla sorte che mi sarebbe toccata di lì a pochi minuti.

Dopo appunto pochi minuti, arrivai davanti all'enorme portone in legno nero intagliato così che da rappresentare delle scene, apparentemente di guerra tra angeli e demoni che da secoli continuava a devastare entrambi.

Una guardia, poco più alta di me, e con un fisico meno allenato del mio, spalancò il portone e mi fece entrare.

La sala del trono era tra le sale più maestose e imponenti di tutto il castello, era illuminata solo da alcune lanterne all'interno anche se c'erano ben sei finestre oscurate da tende di colore scuro. Dall'altra parte della sala si ergeva solitario il trono dove in quel momento era accomodato il Re dei demoni. Aveva uno sguardo misto tra furioso e deluso. Con cautela e attenzione ai miei movimenti e mantenendo sempre una postura da principe, mi avvicinai al trono, lui mi studiava in ogni piccolo dettaglio come era solito fare. Quando gli fui praticamente davanti a pochi metri di distanza mio padre parlò.

«Figlio sono deluso e sconcertato, non mi aspettavo questo da te.» la sua voce era bassa e roca.

«Non capisco a cosa vi riferiate, padre.» dissi io allora cercando di tenere un tono sicuro e chiaro.

Mi guardò con quei suoi occhi così simili ai miei quanto diversi di colore blu chiaro ma più cupi e minacciosi che riuscivano a penetrante l'anima di qualsiasi persona o demone al suo cospetto. Il suo viso era contornato da capelli neri e ribelli proprio come i miei e i lineamenti erano dolci ma allo stesso tempo gli davano un'aria più dura e superiore, aspetto molto insolito e curioso per un demone, il fisco, invece, era degno di un vero Re, alto e ben allenato a combattere.

«Sai bene a cosa mi riferisco, non fare finta di non capire» non risposi per timore, avevo paura ma non accennavo ad ammetterlo, mi era sempre stato insegnato così. Non vedendo alcuna mia risposta continuò

«Sono costretto a punirti per questo tuo affronto, mi aspettavo molto da parte tua ma evidentemente ti ho sopravalutato, non sei degno di succedermi al trono.» quest'ultima frase mi rimbombò nella testa come dei tamburi fastidiosi, perché mi dava fastidio sentire mio padre dire che non ero degno. Anche se non mi aveva mai dimostrato un particolare segno di affetto avevo sempre cercato di renderlo orgoglioso di me, fino a quel maledetto giorno dove la mia più grande debolezza aveva avuto il sopravvento.

Riuscivo finalmente a guardarlo dritto negli occhi come nessuno tranne me e mia madre, ovviamente, era riuscito a fare. In quell'istante mi sentivo orgoglioso di me stesso come se avessi appena superato chissà quale prova, anche se tenere testa a Lucifero, il Re di tutti i demoni, in persona non era da tutti. La mia felicità si spense poco dopo, quando riuscii a capire di quale punizione stava parlando, una tra le peggiori sorti che può capitare a un demone, cercai inutilmente di oppormi.

«Ma padre, non potete...» mi aveva già interrotto senza lasciarmi finire la frase

«Posso eccome, non protestare avrai la punizione che ti meriti anche se sei il mio unico figlio, nonché erede.» nella sua voce non c'era segno di instabilità, era freddo e tremendamente sicuro di sé, in un primo momento provai ammirazione nei suoi confronti perché in qualche modo anch'io miravo a diventare come lui, ma poi cambiò in terrore perché lui allungo una mano verso di me, io istintivamente feci alcuni passi indietro ma inutilmente, perché l'ultima cosa che vidi prima di sprofondare nell'oblio fu una luce rossa accecante. Non credevo arrivasse a tanto, ma evidentemente l'avevo sottovalutato, io invece mi ero sopravalutato credendo di essere invincibile e intoccabile, proprio come mio padre, ma evidentemente mi sbagliavo non bastava essere figlio del più potente di tutti i demoni e nemmeno avere ricevuto uno speciale allenamento serviva, ci voleva qualcos'altro...

Il demone del paradisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora