Capitolo 1- Chris

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Ogni grande città ha ragazzi a cui piace divertirsi. Ci sono i bravi ragazzi che si divertono con gli amici al cinema e, se proprio bisogna esagerare, si prendono una birra. Poi c'era quella fascia di ragazzi a cui piace andare in discoteca e tornare ubrico marcio a casa, con i sintomi del dopo-sbornia che durano due giorni. Infine ci sono quei ragazzi, che alcuni si ostentano a chiamre senza speranza, che, oltre a bere e fumare, si drogano con tutto ciò che gli capita a tiro. Be' Chris faceva parte della prima categoria, ma aveva molto spesso a che fare con i ragazzi della terza. Questo perché era un pusher. Un pusher coi fiocchi. Vendeva la migliore roba sul mercato e nessuno sapeva dove se la procurasse. Su di una cosa erano certi tutti, però: Chris non si drogava affatto e non aveva intrapreso questa carriera per soldi. Di fatto, lui ne possedeva moltissimi, anche troppi secondo il diretto interessato. Per questo ciò che ne ricavava lo dava sempre a chi, per un motivo o un altro, non poteva permettersi di mettere qualcosa sotto i denti. Odiava, infatti, che qualcuno non riuscisse a mangiare, gli si stringeva lo stomaco al solo pensiero che qualcuno dovesse patire la fame. Anche per questo, oltre ad un'innata passione per la cucina, Chris voleva diventare chef, e non quel qualcuno che suo padre avrebbe sempre voluto. Lui non sarebbe stato dietro una scrivania a riempire moduli, rispomdere a telefonate per organizzare incontri con gente che la puzza sotto al naso l'aveva come migliore amica. Ma suo padre, il direttore della più importante catena al mondo di automobili non era dello stesso avviso. Chris sarebbe stato il suo successore e niente l'avrebbe impedito, o almeno così credeva. Ma il destino è quasi sempre avverso alle scelte che abbiamo. Quasi sempre ti porta verso l'inaspettato che si rivela essere anche il giusto, o sbagliato agli occhi degli invidiosi.
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Jonathan Woods era seduto sulla sua comoda sedia di pelle nera a bearsi della frescura che l'aria condizionata a secidi gradi dava, considerando che all'esterno c'erano quaranta gradi buoni dato che era luglio. Quel giorno c'erano davvero poche pratiche da sbrigare, e quindi adesso si stava concedendo una pausa. In realtà pensava. Pensava a chi dovesse essere licenziato quella settimana. Sì, perché almeno una volta a settimana lui doveva licenziare qualcuno, non importava chi, a lui non faceva differenza. Così più che pensare a chi licenziare stava decidendo la freccetta che avrebbe usato per centrare la faccia dello sfortunato dipendente che stava appesa al muro a mo' di bersaglio. Scelse una freccetta che ricordava un'automobile d'epoca, di quelle a vapore. Mosse lo sguardo dalla freccetta ai bersagli che erano disposti in fila sulla parete davanti a lui. Su ognuno di essi capeggiava la foto di uno degli impiegati che dovevano essere licenziati. Ciò che accomunava quella gente, era che fossero tutte brave persone. Delle vere pecore nere in mezzo a tutta quella cattiveria. Dovevano essere eliminate una ad una. Così Jonathan si rigirò per l'ultima volta la freccetta tra le mani, chiuse gli occhi, prese un bel respiro e, sempre con gli occhi chiusi, lanciò la freccetta. Il piccolo oggetto, arma di una grande decisione, si andò a conficcare proprio sul naso di uno degli sfortunati dipendenti. Jonathan aprì gli occhi e ghignò. Guarda caso stava pensando proprio alla persona centrata. Aveva già la cartella con il suo nome aperta sulla scrivania di marmo, e la guardò: Fernandez Porto. Niente ritardi o giorni di malattia presi, ore disumane di lavoro per uno stipendio che valeva poco più della metà di quello che svolgeva ogni giorno, quattro figli da mandare avanti e una moglie bipolare. Insomma, il candidato giusto da licenziare. Adesso bastava inventare una scusa plausibile. Non gli avrebbe certo detto "La licenzio perché non sopporto gli ispanoamericani" oppure "odio il sudore che le scende dalla pancia grassa di cui è provvisto." Gli avrebbe detto più una cosa del genere: " Mi dispiace signor Porto, mi creda mi dispiace così tanto, ma i suoi giorni a lavorare qui sono finiti. Anche io sono sconvolto da quello che ho appena detto, ma arrivano lamentele su lamentele da parte di altro personale e non potevo di certo ignorarle. Questa azienda è come un'automobile: ogni pezzo deve combaciare con un altro e lavorare perfettamente. Se c'è un guasto il pezzo viene aggiustato o sostituito. In questo caso bisogna sostituire per il bene dell'azienda. Lei mi capisce signor Porto?" Sì, avrebbe detto così e poi ne avrebbe riso e si sarebbe fatto portare un caffè dalla sua cameriera per premiarsi delle splendide parole che riusciva a trovare per non mostrarsi per il bastardo che era. Aveva una reputazione da mantenere, lui. Si alzò dalla sedia e si portò di fronte allo specchio che aveva appeso al muro. Si aggiustò i capelli e provò a dimostrarsi più dispiaciuto possibile e nel frattempo sembrare credibile. Quando fu soddisfatto si avvicinò di nuovo alla scrivania e, mentre stava per premere il pulsante per convocare Fernandez, il telefonò squillò. Irritato dall'improvvisa telefonata, abbandonò la sua finta espressione affranta per una di completo disgusto. Alzò la cornetta e rispose al telefono.

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