Windman E Il Tesoro Perduto

1: Dicerie.

Mi sveglio e sbadiglio vistosamente. Per fortuna sono in camera e quindi nessuno mi vede. Mi alzo e vado fino in cucina, dove preparo un tramezzino con carne di ratto del Sewerhole. Che bontà.

Mi dirigo verso la porta per controllare se il lattaio di Furtolosolom ha lasciato la solita bottiglia di latte davanti all'uscio, e constato con sorpresa che non c'è. Alzo lo sguardo e mi accorgo che la piazza davanti alla quale abito è gremita di gente: un'affluenza logica, visto che oggi è il giorno del mercatino e il sole splende alto nel cielo, scaldando il suolo sabbioso prima della Foresta di Ass. Faccio correre gli occhi fino al pozzo al centro della piazza e riesco appena a scorgerlo in mezza a quella folla caotica che va avanti e indietro. Recupero il fidato secchio arrugginito adagiato sulla parete esterna di casa mia e, sebbene sia ancora nel mio pseudopigiama - dei pantaloni sportivi e una maglietta rossa a maniche corte, - m'incammino nella sua direzione barcollando come solevo fare qualche settimana fa.

E' da un po' che Longsword non si fa vedere, e io sto riacquistando il tenore di vita che mi contraddistingueva prima di fare la sua conoscenza. Niente più alcool, donne di facili costumi, scorribande serali e quant'altro. Veramente, ora che ho perso anche il lavoro, non so più con cosa tenermi occupato durante la giornata, ed è preoccupante, dal momento che in cinque, sei mesi potrei perdere la baracca nella quale abito per colpa dei debiti. Solo una cosa potrebbe tirarmi fuori da ogni guaio: il tesoro dei miei antenati - gli Hovel, - nascosto da Martine circa mille anni addietro. Certo, non si hanno più notizie della sua mappa da ottocento anni, ma continuo a sperare che un giorno mi possa capitare fra le mani cascando dal cielo.

Dopo aver raccolto un po' d'acqua, mi soffermo col secchio in mano davanti alle bancarelle, che sfoggiano svariati oggetti: ad esempio, mi ha sempre colpito la semplicità dei chiodi di Pongol, anche se non credo che mi affiderei a qualcosa di un materiale come il loro quando ciò che mi serve è solidità.

Osservo un po' di tutto e poi m'indirizzo verso casa mia. Prima di arrivarci, però, noto la figura snella e longilinea di Ann, che sembra rimanere estasiata dalla mia camminata; ma in seguito mi avvedo che è stata solamente abbagliata da un raggio di sole. I capelli biondissimi e lunghi le ricadono sulle spalle ondeggiando, mentre gli occhi verde scuro spiccano sul vestito e la gonna bianchi, tanto da abbacinarmi.

— Buongiorno, mio caro Andrew — esordisce lei avvicinandosi.

— Buongiorno — dico a mia volta, come l'uomo compìto quale sono. — Il tempo oggi pare propizio — aggiungo, e come se fossi stato io a evocarla, una copiosa pioggia sommerge il paesaggio. In poco molti dei presenti se ne vanno via, e io e Ann restiamo in compagnia di un gruppetto di dieci coraggiosi. — Sembra che il tempo non mi abbia ascoltato.

Ann abbozza una risata elegante che si confonde con l'infrangersi della pioggia sulla sabbia battuta della piazza. Trascorrono pochi secondi, e c'infradiciamo da cima a fondo; così le propongo di rifugiarci sotto la parte sporgente del tetto a spiovente di casa mia, e lei accetta.

— Pensandoci bene, potrebbe essere un problema — considera lei. — Sapete, dovrei andare a raccogliere le bacche dei terreni di Bululund, ma ho paura che il fango mi potrebbe far precipitare nel burrone. Va be', al massimo morirò.

— Giusto, cosa vuole che sia? Comunque le auguro buona fortuna.

— Nulla di che, in fin dei conti.

— Sono per quello screanzato di Laurence, non è vero? — chiedo, esibendo uno dei miei sorrisi più smaglianti.

— Sì, la maggior parte, ma credo che gli arriveranno piene di saliva — risponde, e mi fa l'occhiolino. — Le altre avrei dovuto portarle alla gente qua vicino, però penso che le terrò per me e Richard.