Capitolo 1

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Questa notte ho sognato di fare bunjee jumping dal London Bridge, era una sensazione meravigliosa, potevo sentire l'adrenalina che mi attraversava il corpo, il vento che mi scompigliava i capelli, lo stomaco che mi si chiudeva per la caduta libera.
Libera: ecco cos'ero in quel momento, libera di tutte le preoccupazioni che la vita mi aveva portato. È anche colpa mia se adesso sono in questa situazione, il mio carattere debole non mi ha permesso di reagire, e se adesso lo facessi sarebbe troppo tardi.
Quando ero una bambina ero felice, avevo una famiglia meravigliosa che mi sosteneva in tutte le mie idee, e se erano sbagliate me lo facevano capire spiegandomi anche il perché. Nonostante non fossimo ricchi potevo sentirmi come se lo fossi, mi piaceva la nostra casa e non avrei cambiato la mia vita nemmeno per quella delle figlie di Obama. I miei genitori non mi hanno mai imposto nulla, sono sempre stata molto libera, loro sapevano che ero una ragazza con la testa sulle spalle. Insomma, le mie cazzate le ho fatte anche io, ma non ho mai avuto vizi come il fumo, e non ho mai fatto cose illegali, tranne rubare le forchette di plastica dalle confezioni dei supermercati. Non so perché lo facessi, mi faceva sentire ribelle rompere l'involucro che le conteneva e metterle di nascosto nello zaino.
All'età di diciassette anni ho iniziato ad appassionarmi all'arte, adoravo i musei, i monumenti e le grandi città. Mi piaceva la poesia e leggere libri che mi facevano riflettere. In quel periodo ho viaggiato molto, solo nei week end, perché in settimana andavo a scuola, risparmiavo molto e cercavo sempre offerte low cost; lasciavo la piccola città in cui ero nata per visitare posti come Parigi, Londra, Berlino o Roma. Non sono mai stata in America, ma mi piacerebbe molto poterla visitare.
A diciotto anni ho iniziato a definire arte ogni cosa , dalla pioggia al sole, dalle emozioni alle persone, ho cominciato a scrivere poesie sugli sconosciuti che incontravo per strada. Quell'anno mi sono trasferita a Londra, è stata la cosa più bella che avessi potuto mai fare: l'indipendenza in una casa solo mia, un lavoro che mi permetteva di pagarmi quello di cui avevo bisogno e metà università, l'altra metà la pagavano i miei genitori spedendomi i soldi per posta. Ero felice.
Un giorno ero in un bar a fare colazione ed ho incontrato Richard, mi ha quasi rovesciato addosso tutto il caffè bollente che aveva nella tazzina nella sua mano. Richard è il mio fidanzato, era molto dolce quando ci siamo conosciuti, mi regalava sempre i fiori, mi portava a fare passeggiate al parco, era un ragazzo per bene di cui ci si poteva fidare. E mi sono innamorata di lui: o meglio, mi sono innamorata di quello che credevo fosse lui. Dopo due anni che stavamo insieme abbiamo deciso di andare a convivere, lui aveva la casa grande quindi mi sono trasferita nella sua villa. A questo punto le cose hanno iniziato a degenerare, tutto quello che conoscevo di lui è scomparso in un secondo. Ha iniziato a chiamarmi "puttana", a trattarmi male e ad insultarmi, ho perso tutto quello che avevo costruito nei due anni in cui ero a Londra. Ho dovuto lasciare il lavoro, perché lui mi chiudeva in casa, quindi mi avrebbero comunque licenziato per le assenze. Ho lasciato l'università perché non avevo più i soldi per pagarmela e non sarei potuta presentarmi agli esami, nè alle lezioni. E ora sono qui, sono passati sei mesi da quando mi sono trasferita a casa di Richard e non riesco più a sopportarlo. Mi ha detto che se provo a scappare o a denunciarlo mi ammazza, e ha minacciato anche la mia famiglia. I miei genitori pensano ancora che io vada all'università e al lavoro, infatti continuano a mandarmi i soldi per la tassa, ma Richard se li prende tutti e non mi lascia nemmeno un centesimo.

-Lauren, cazzo! Sbrigati a portarmi quel maledettissimo caffè!-. É sempre così: lui seduto sul divano a guardare la TV e io ad eseguire i suoi ordini. Mi dice di sbrigarmi quando non si decide a comprare una macchinetta del caffè che ci metterebbe la metà del tempo della moka. Quando l'aroma del caffè mi penetra nelle narici verso il liquido scuro bollente nella tazzina senza aggiungerci nulla, amaro, proprio come lo vuole lui, proprio come è lui. Dal salotto arrivano fastidiosi borbottii che ormai non ascolto più, dice sempre cose come "questa stupida" oppure "vedrai 'sta sera".
Mi dirigo con la tazzina in bilico sul piattino nella mia mano, scocciata dal suo continuo parlare e blaterare.
-Finalmente, ce ne hai messo di tempo- è seduto scompostamente sul divano con le gambe aperte e non scosta nemmeno lo sguardo dalla televisione per guardare se davvero sto arrivando. Mi sale improvvisamente una voglia di fargli del male, se non posso andarmene da qui, voglio che sia un inferno per lui come lo è per me; so che poi ne subirò le conseguenze. Mi fermo a qualche passo da lui, e dopo aver preso coraggio gli parlo per la prima volta quella sera: -Amore, ho qui il tuo caffè-. Non lo chiamo mai "amore" e uso il tono più dolce che ho. Voglio stupirlo, voglio che si giri a guardarmi. Come ho immaginato lui mi guarda con le sopracciglia leggermente alzate.
-Senti, zitta e dammi quel cazzo di caffè-.
Gli rispondo sorridendo: -Subito, amore-.
Diminuisco la distanza che c'è tra noi, lui continua a guardarmi, l'espressione sul suo viso è un misto di confusione e rabbia, e poi lo faccio. Gli lancio in faccia e negli occhi il caffè bollente mascherando il mio gesto facendo finta di inciampare. Un urlo animalesco di dolore esce dalle sue labbra. So che me ne sarei pentita presto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 09, 2015 ⏰

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