Capitolo 10 - Addestramento

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La Sala degli Allenamenti non era di certo il primo posto in cui la gente avrebbe trascorso ore ed ore di fila per il puro piacere di stare lì, ma per Jason era diverso.
Lui ci era cresciuto in quella stanza, era lì che aveva imparato ad essere quello che era. Anche se a fatica e a forza di distorsioni muscolari e di notti in bianco, aveva ottenuto ció che voleva: la forza corporale, la supremazia sugli altri studenti della sua età durante le lotte libere nelle lezioni del professor Horton, direttore della dei cacciatori.
Jason sapeva di essere un caso raro, o almeno era quello che pensava prima di trovare Aaron, che gli aveva preso il primato di "cacciatore marchiato in tarda età".
L'età normale per essere marchiati andava dai primi giorni ai primi mesi di vita, ma Jason era nato da Astarte, angelo caduto dalle sembianze femmilili, che lo aveva abbandonato subito dopo il parto davanti alla casa di suo padre.
Astarte, per liberarsi di quel fardello in più, lo avrebbe di certo ucciso, se non fosse stato per il fatto che i cacciatori neonati hanno una protezione angelica che li protegge come se fosse un secondo strato di pelle. Esso impedisce a qualsiasi mezzo demoniaco di porre fine alla loro vita almeno fin quando non si compie un anno.
Jason fu cresciuto da suo padre biologico, che lo trovò per l'appunto davanti alla porta di casa.
L'uomo viveva in una zona isolata dell'Australia, quindi non fu semplice per Onoùphrios captare la presenza di questo nuovo cacciatore.
Quando però il preside della più rinomata scuola di Melantha lo trovò, il bambino aveva già cinque anni.
Jason fu il primo ad essere marchiato a quell'età tardiva rispetto ai suoi compagni, ma rientrava comunque entro i canoni della normalità.
Aaron, invece, era stato marchiato a ben diciassette anni.
Questo preoccupava un po' tutti gli insegnanti, che temevano un effetto disastroso sulla sua media scolastica e un'incapacità di esercizio tale da renderlo un fallimento anche nelle battaglie contro i demoni che un domani avrebbe dovuto affrontare.
Ma Jason era forse uno dei pochi, se non l'unico insieme ad Onoùphrios, che credeva in quel ragazzino esile e così terribilmente normale da far venire il nervoso.
Perso in questi pensieri, Jason, che intanto stava lucidando delle biglie ponendole poi di seguito su una scatola rettangolare, sorrise.
Aaron lo aveva colpito da subito.
Con quei suoi occhi scuri e le ciglia lunghe, quei riccioli mal pettinati e castani, quegli occhiali buffi che ormai non portava più e quelle felpe larghe e trasandate che stavano a delineare il suo carattere scontroso, semplice e impacciato.
Già, Jason aveva una teoria tutta sua sugli abiti delle persone.
Lui, ad esempio, a parte la divisa scolastica, portava abiti dai colori più svariati, come il vede smeraldo, il viola, il magenta... Andava addirittura matto per gli smalti colorati.
Lui voleva che la gente sapesse che tipo di ragazzo era ancor prima di parlargli. Lui voleva che la gente alla quale non andava a genio il suo modo di essere non gli si avvicinasse nemmeno.
Perché, se le persone si avvicinano a te e ti illudono di voler diventare tuoi amici per poi abbandonarti appena vengono a conoscenza dei tuoi difetti o delle tue stranezze, si rimane delusi.
E Jason non sopportava le delusioni. Si mostrava esteriormente come era interiormente, così che la gente che non era disposta ad accettarlo per quello che era, non si avvicinasse neppure.
E Lydia e Rosy erano le uniche vere amiche che aveva, perchè erano le uniche ad accettare la sua altezzosità e il suo sarcasmo, che lo avevano salvato ben piú di una volta durante scontri e battaglie vere e proprie.
Tuttavia, c'era anche un'altra persona che, non solo lo aveva accettato, ma che lo aveva anche amato, o almeno così diceva.
-Ancora con quella storia?-
La gelida voce di Lydia irruppe nella mente di Jason come il rumore del vetro che si spezza, così il cacciatore smise di allineare meticolosamente le biglie e si voltò di scatto verso di lei.
Vedendola con le braccia incrociate seduta su uno sgabello in un angolo della sala, sorrise e abbassó lo sguardo mesto.
-Mi ha mandato in missione già dieci volte in questi giorni.- disse con tono improvvisamente serio. -Non abbiamo passato del tempo insieme ultimamente. E questa notte, quando siamo ritornati con Aaron e Rosy, nemmeno mi ha chiesto di andare in camera sua.-
-Be', potevi provare a chiederglielo tu.- disse la bionda alzando le spalle e accavallando le gambe.
Jason la fulminò con lo sguardo.
-Sono sempre io quello che si fa avanti!- quasi le urlò di rimando afferrando lo schienale della sedia con le mani. Lydia non sussultò, ma si limitò a guardarlo. -Comincio a pensare che magari mi ha mandato in missione solo per distrarmi. Magari ha bisogno di una pausa e non vuole dirmelo.-
-Ma perché non gli parli e la fai finita piuttosto che continuare a fare ipotesi campate in aria e a piangeti addosso?- fece Lydia sospirando e aggiustandosi una ciocca di lunghi capelli lisci dietro l'orecchio. -Jason, ascoltami. Dovresti parlargli.-
-Lui non ha mai tempo per parlare con me di cose che non riguardino attacchi demoniaci o roba da prefetti.- ribattè il ragazzo passandosi le dita attente di una mano tra i capelli neri tirati in su e mantenendo lo sguardo pensieroso. -E quando ha tempo per me, non ho intenzione di discutere. É sempre molto stressato e non voglio che anche quei piccoli ritagli di tempo che occupa per me diventino un peso.-
-E allora cosa vuoi?- chiese Lydia in modo più che altro retorico.
Jason restò in silenzio e guardò fuori da una delle alte finestre che illuminavano la stanza spaziosa e perfettamente esagonale.
-Io voglio solo quello che merito.- rispose dopo un po'. -E credo di meritare più di qualche bacio rubato e di qualche notte focosa una volta tanto.- concluse con un'asprezza non sua.
Lydia inclinò il capo mantenendo la solita espressione glaciale, ma la verità era che avrebbe voluto aiutare Jason, solo che non aveva esperienza in quel campo, quello dell'amore.
Lui lo sapeva e apprezzava il fatto che almeno si sforzasse di interessarsi a lui, anche se non poteva consigliarlo.
Ad un tratto, il grande portone in legno si spalancò e un ragazzo esile dai riccioli castani e dagli occhi color nutella entrò di corsa nella sala.
-S-Scusa il ritardo.- disse il riccio col respiro affannoso raggiungendo a fatica la prima sedia che vide in mezzo a tutti quegli attrezzi dall'aspetto pericoloso. -Ma, vedi, stavo studiando e mi sono diment... oh, c'è anche lei.- sbottò poi accorgendosi della presenza della ragazza bionda seduta in un angolino a rimirare il suo ventaglio di metallo.
Lydia si limitò a non rispodere e a guardarlo un istante con sufficenza per poi tornare al suo ventaglio.
Gli occhi verdi di Jason, invece, si illuminarono alla vista del ragazzino che guardava ancora la ragazza con occhi a fessura quasi comici.
-Evidentemente, c'è anche lei.- ripetè Jason distraendosi dai suoi pensieri precedenti e tornando con la sua solita aria civettuola.
Aaron era un perfetto diversivo per evadere e lo aveva attratto da subito con la sua estrema semplicità e innocenza. Ma la cosa che più gli piaceva di lui, era il suo modo di rispondergli quando lo importunava con nomignoli fastidiosi o con sguardi eccessivi.
-Quando iniziamo? Cioè, io ho tipo portato i coltelli, ma non so se, insomma, devo usarli ora?- chiese a raffica Aaron aggrottando la fronte leggermente confuso e uscendo un set di coltelli dallo zaino che si era portato dietro.
-No, no, no e no.- fece Jason ridendo tra sé e sé e avvicinandoglisi a passi controllati per poi strappargli la valigetta con i coltelli dalle mani.
-Ehi!- esclamò Aaron sgranando gli occhi e rimanendo con le mani in aria. -Che diamine fai?! Sono miei!-
-Suvvia, fai il bravo! -fece Jason chiudendo gli occhi e portando la testa indietro. -Mica voglio rubarteli. E poi i coltelli non fanno per me.-
-Vuoi dire che in caso contrario me li ruberesti?- chiese ironicamente Aaron sfidandolo con lo sguardo.
-Ci farei una pensatina.- ammise Jason alzando le spalle e posando il set su un attrezzo strano.
Aaron sbarrò la bocca, affittì lo sguardo e indicò Jason con l'indice di una mano.
-Tu stai scherzando, ne sono sicuro.-
Jason trattene un possibile sarcasmo a sentire quelle parole, ma Lydia non fece lo stesso ed emise una risata strozzata ma abbastanza rumorosa.
-E tu che ci fai ancora qui?- le chiese Jason voltandosi a guardarla con le sopracciglia aggrottate.
-Ma esatto!- esclamò Aaron allargando le braccia e guardandoli scettico. -Non ho intenzione di allenarmi davanti ad un pubblico.-
-Non ti guarderei mica.- fece Lydia alzandisi dallo sgabello e camminando lungo la sala con andatura ponderata dai tacchi. -E comunque vi lascio soli. Devo scendere con Rosy in città.-
Jason vide l'amica allontanarsi e uscire dalla sala, lasciandoli finalmente al duro lavoro che li aspettava.

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