Gwen aveva appena finito di cenare. Buttò distrattamente il piatto di plastica svuotato nella spazzatura, sbadigliando. Sua madre la congedò: ci avrebbe pensato lei a rigovernare, la figlia era sempre molto stanca quando tornava dagli allenamenti di Judo. Gwen entrò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle. Era una camera spaziosa, le mura erano tappezzate di poster di band rock, metal e punk. Gwen era una ragazzina che aveva già scelto il proprio stile, nonostante i suoi dodici anni. Si infilò le cuffiette nelle orecchie, selezionò la sua playlist preferita del cellulare e si gettò sul letto, guardando il soffitto. Quella sera nella sua testa c'era più che la solita stanchezza. Gli si era impiantata in testa un'immagine, come una foto: Simon Curtis dopo averla atterrata, la faccia del ragazzo a pochi centimetri dalla sua. Quando la ragazza aveva realizzato di essere stata battuta, e c'erano voluti almeno un paio di secondi, si era sentita imbarazzata. Ma non dalla sconfitta, tanto più dall'avere un primo piano così ravvicinato del nuovo arrivato. I suoi occhi trasmettevano qualcosa. Nessun'altro se n'era accorto se non lei, ma quegli occhi saettavano di rabbia. Una rabbia repressa, ma non controllata. Era stata investita da quella rabbia, che però Simon era riuscito subito a scacciare in pochi secondi quando l'aveva aiutata a rialzarsi. Simon le era parso un tipo tranquillo, ma ci doveva essere un motivo ad averlo spinto ad entrare in palestra. Gwen sospettava che il fuoco nei suoi occhi c'entrasse qualcosa. E, in qualche modo, quel fuoco le piaceva. Ma era un pensiero stupido, lo scacciò e cercò di addormentarsi. E alla fine, la fatica vinse sulla mente della ragazzina. Si svegliò il giorno dopo, ancora vestita come il giorno prima. Penultimo giorno di vacanze estive. Gwen sbadigliò e si diresse in bagno, aveva bisogno di una doccia per svegliarsi. Solo una volta sciacquata, asciugata e rivestita, la ragazza prestò attenzione all'orario: 12:56. Quasi l'una del pomeriggio. I suoi genitori sarebbero tornati dal lavoro in un'oretta, e avrebbero pranzato. Valutò per circa un minuto se fare colazione fosse una buona idea, poi decise che non aveva intenzione di aspettare un'altra ora per mangiare e andò a recuperare un pacco di biscotti. Voleva parlare con qualcuno, qualcuno che però potesse capirla. Scorse la rubrica del suo cellulare, e si imbatté nel numero di Chelsea.
Probabilmente, Chelsea aveva dato il numero del suo cellulare solo a Gwen, perchè la ragazzina gliel'aveva chiesto. Per quanto riguardava gli altri, Chelsea si era limitata ad evitarli. Non ci voleva avere a che fare. Non voleva avere a che fare con il Judo, in generale. Chelsea O'Shaun, quindici anni, nella propria visione di sé stessa aveva un unico vero talento, cioè lo studio. Si chiudeva in camera sua, o in biblioteca, e si immergeva nei libri per ore. Non le dispiaceva per nulla, Chelsea era un amante della cultura, della scienza, della conoscenza. Avrebbe preferito morire che rimanere nell'ignoranza. Questo suo modo di vivere non le aveva portato molti amici nella sua classe del liceo, ma non ci prestava attenzione. A lei importava poter avere qualcosa di interessante da leggere, ed era apposto. Per questo non era stata contenta quando i suoi genitori le avevano imposto di praticare uno sport. E si erano curati pure di sceglierlo per lei. Chelsea accarezzava l'idea del nuoto, non le sembrava male. Invece no, Judo. Un'arte marziale. Mai l'avrebbero potuta far sentire fuori luogo di così. Chelsea non alzava le mani, mai. Non era mai stata coinvolta in qualche tipo di rissa. Ora, invece, avrebbe dovuto combattere per sport. I primi giorni erano stati una specie di inferno, in mezzo a quei ragazzi dall'aria tranquilla, ma prontissimi a far sudare sette camicie alla nuova arrivata. Il Judo non era uno sport per lei. Chelsea detestava la violenza. Con il passare del tempo le cose però avevano iniziato a migliorare: quasi non sentiva più il dolore delle cadute, era brava ad eseguire quel che le veniva richiesto, e a Giugno era passata alla cintura gialla. Ed era arrivato quell'esserino chiamato Gwen. Nonostante Gwen rappresentasse quasi l'opposto di Chelsea, chiassosa e sempre in movimento, quest'ultima non poteva che provare un certo rispetto per la giovane compagna. In un certo senso, ne ammirava la foga e la passione che tirava fuori ad ogni allenamento. Peccato che Chelsea non ne venisse coinvolta. In ogni caso, non se l'era sentita di rifiutare di darle il suo numero, quando Gwen gliel'aveva chiesto. Fin'ora, comunque, non l'aveva mai chiamata. Fino a quel martedì, mentre era in piena immersione su Solaris di Stanislav Lem, sdraiata sul letto.
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Hajime!
Teen FictionNel 2010 Simon Curtis, ragazzo timido ed introverso residente a Milton Keynes, entra nella palestra di Judo "Saigo Tsunejiro", innescando una serie di eventi che lo porteranno a conoscere nuovi compagni e ad affrontare nuove difficoltà. Insieme a lu...