Capitolo 10: Squarci nel velo (secondo raggio di luce)

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You used to captivate me

by your resonating light,

but now I'm bound by the life you left behind.

Your face it haunts my once pleasant dreams,

your voice it chased away all the sanity in me.

These wounds won't seem to heal,

this pain is just too real,

there's just too much that time cannot erase.

(Evanescence)



Nell'anno del Signore 1325, la Repubblica di Siena era ricca e prospera.

Stefano Brogi era una delle persone più conosciute in città: un vecchio, ricchissimo banchiere di quarant'anni senza famiglia né eredi. Aveva riempito il vuoto lasciato dall'assenza di affetti con una serie di abitudini che per lui erano divenute quasi sacre: per esempio, ogni giorno montava a cavallo e faceva un giro solitario nelle campagne fuori dalla città prima di andare al lavoro.

Reso burbero dalla sventura di non aver mai trovato la donna della propria vita, il banchiere non si era preoccupato di coltivare amicizie o altri legami: le uniche persone su cui poteva contare in caso di necessità erano i propri servitori. Così quando quel mattino, di ritorno dal solito giro nelle campagne, il suo cavallo s'imbizzarrì e lo disarcionò vicino alle porte della città, non si aspettò l'arrivo di nessun tipo di aiuto.

Rimase steso a terra tenendosi la testa mentre Parpagliola galoppava via. Oltre al capo gli doleva anche una gamba, sicuramente a causa della caduta. Fece un blando tentativo di muoversi, ma fu pressoché inutile. Non gli restava che aspettare che qualcuno lo soccorresse – o magari che uno dei suoi servitori, non vedendolo tornare, andasse a cercarlo.

«Aiuto» disse a bassa voce, serrando gli occhi di fronte alla luce del sole. Non si aspettava che la sua invocazione servisse a qualcosa, ma inaspettatamente una manina piccola e fredda gli toccò esitante la fronte.

Stefano sollevò le palpebre e si trovò davanti due brillanti occhi color carbone incastonati in un visetto pallido e smunto. A occhio e croce, la bambina che lo fissava con sincera curiosità doveva avere sette anni; gli abiti consunti e delle evidenti tracce di fango sul volto e nei capelli – segno che la bambina giocava dove capitava, forse senza alcun controllo – ne indicavano la provenienza da una famiglia povera.

La bambina gli batté sul naso con un dito, come a richiamare la sua attenzione.

«Ho bisogno di aiuto» le disse Stefano, incerto sul tipo di collaborazione che avrebbe potuto ottenere da una bambina. «Credi di poterlo fare?»

La bimba annuì con aria solenne.

«Va bene. Allora... ehm... corri a chiamare qualcuno che possa aiutarmi ad alzarmi. Un uomo adulto, come tuo padre, hai capito?» la istruì. La bambina annuì per l'ennesima volta.

«Ma sai parlare?» domandò il banchiere, un po' spazientito. Sarebbe stato proprio un bell'affare, se la sua salute fosse dipesa da una bambinetta ignorante e muta, per di più!

Un altro cenno d'assenso. Stavolta a Stefano venne da ridere.

«Ce l'hai un nome?»

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