Prologo

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"Sono tre ore che il sole è calato ed Elizabeth non è ancora tornata" pensava il fabbro all' interno della sua piccola casa. Si guardò intorno: non c'era nessuno... eppure le ombre che il timido focolare gettava sulle pareti della baracca tenevano compagnia al buon fabbro Ruphold. La finestra si spalancò e le gelide braccia del vento autunnale entrarono nella stanza. Quando il fabbro si alzò per chiudere le imposte, la sedia su cui era seduto scricchiolò di sollievo. Ruphold infatti era grasso, molto grasso, e la piccola sedia riusciva a malapena a contenere il suo posteriore... mentre chiudeva la finestra la mente di Ruphold tornò alla figlia, sola, in quella piovosa notte di ottobre. "Ma dove si sarà cacciata?! Ho bisogno di lei, e subito anche! Quando torna le darò una bella lezione"
Quando la pioggia non era ancora arrivata Elizabeth era uscita per raccogliere dei fiori... questo era ciò che credeva Ruphold...
Il grasso fabbro si grattò la barba del mento e all'improvviso un terribile pensiero gli balenò nella mente: "E se fosse scappata?"
Ruphold prese il suo mantello e uscì con ferocia dalla casa, sbattendo la porta fino quasi a scardinarla. Il rumore dei suoi passi sulla strada lastricata veniva coperto dalla pioggia che cadeva sempre più fitta. Era l'unico uomo che correva nel Corso delle Pietre, dritto verso la porta est della città.

Elizabeth era stanca... La pioggia si rovesciava su di lei e i piedi le dolevano... Non sapeva dove andare e non riusciva a vedere il sentiero, poiché la luna si nascondeva dietro le nuvole del temporale e la sua pallida luce non arrivava alla terra. Ma Elizabeth continuava a correre, spinta dalla paura di quell'uomo che stentava a chiamare "padre". Ad un certo punto scivolò e cadde al suolo, e il fango le impregnó i vestiti e i capelli rosso fuoco. Aveva però sbattuto la faccia sulla ghiaia, quindi quando si rialzò e si tastò il viso pensò: "Altri lividi da aggiungere a quelli che avevo già" e la sua mente tornò a suo padre.
Elizabeth non poteva più vivere in quella città di pazzi e violenti come Ruphold, in quella capitale che dovrebbe essere il modello per tutte le altre città del regno e invece è un covo di falsità, cattiveria e corruzione.
E correva, con la milza che sembrava trafitta da una freccia per quanto le faceva male e senza più fiato nei polmoni. Il suo corpo la costrinse a fermarsi. Solo dopo essersi seduta da qualche minuto si accorse di avere sete, quindi si accovacciò di fianco al torrente che scorreva impetuoso a fianco del sentiero e bevve, prendendo l'acqua tra le mani e portandola alle labbra. Mentre beveva una mano le afferrò la spalla. Era una mano forte e sentiva le unghie che le graffiavano la pelle del braccio non coperta dal vestito. Elizabeth aveva il respiro affannoso e il cuore che scandiva un ritmo veloce ma preciso e facilmente riconoscibile: il ritmo del terrore. Chiunque fosse alle spalle della ragazza le annusò i capelli e lei capì con certezza che subito dopo aveva sorriso. Fu quando si voltò che Elizabeth pensò: "Era la notte sbagliata per scappare" e poi gridò, finché non ebbe più voce. La creatura le strappò gli occhi con violenza, infilando le unghie nelle sue orbite, poi la lunga e umida lingua del mostro leccò il sangue che colava sulle guance di Elizabeth. E dopo i gustosi occhi era il turno delle cosce,del ventre, delle braccia e del seno. Quando ebbe finito del corpo rimanevano solamente le ossa, la pelle del cranio e i capelli. Appena la creatura si staccò dal corpo di Elizabeth la carne intorno allo scheletro iniziò a riformarsi, però più magra, più pallida e più rovinata. Il volto stava assumendo una terribile forma: del naso non rimanevano altro che due buchi, la bocca carnosa della ragazza era diventata sottile e i denti erano aguzzi, come quelli di una belva feroce.
Ma le orbite erano completamente ricoperte dalla pelle, come se non ci fossero mai stati gli occhi.
Elizabeth si alzò da terra e si mise di fianco al suo assalitore: ora erano identici, se non fosse per gli inconfondibili capelli rossi di lei, che spiccavano nell'oscurità della notte.

Ruphold avanzava nelle tenebre. Era appena riuscito ad aggirare la guardia notturna della porta est e ora si dirigeva verso la foresta. Aveva portato con sé un martello da fabbro: i boschi sono pieni di banditi e di notte bisogna essere pronti a tutto. Ruphold si fece coraggio e si addentró
tra gli alberi. Passarono i minuti e la pioggia non cessava. Ruphold aveva paura. Sentiva il terrore scorrergli nelle vene e maledisse sua figlia per quello che era costretto a fare. Si promise di violentarla ancora quando l'avrebbe trovata. Sentì un fruscio dietro di sé. Si voltò e puntò il martello nell'ombra ma non vide nulla. Ancora un fruscio. L'enorme corpo di Ruphold sudava e l'uomo decise di fuggire. Non riuscì a fare un passo che qualcosa lo afferrò per la gola e strinse. Ruphold, colto di sorpresa, dimenò il martello ma stava perdendo le forze: le mani che si serravano intorno al grasso collo del fabbro erano forti e stringevano sempre di più. Il viso di Ruphold era viola, gli occhi erano iniettati di sangue. Ancora qualche istante e Ruphold, dopo l'ennesimo spasmo morì. L'ultima cosa che vide fu una folta chioma del color del fuoco.

Un antico orroreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora