Ti prego fammi una sega

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Ti prego, fammi una sega

Stefano era fermo da nove mesi. Fermo, immobile, come una statua di gesso. A dire il vero Stefano era una statua di gesso. Dopo quello stupido incidente non poteva più muoversi, non poteva più parlare, l'urina gli veniva succhiata periodicamente dalla vescica attraverso un tubo di plastica. Si cagava sotto regolarmente e, regolarmente veniva qualcuno a pulirgli il culo. Il cibo gli veniva frullato e spinto su per il naso da una cannuccia gialla, una cannuccia trasparente invece gli passava l'ossigeno. Il suo campo visivo era limitato al semplice soffitto e non poteva nemmeno osservarlo tutto per giunta, era costretto a guardare sempre lo stesso e noioso angolo, sempre le stesse noiose macchie di sudiciume, sempre le stesse noiose crepe, sempre lo stesso e noioso pezzo d'intonaco appeso che stava sempre lì lì per cadere ma che non cadeva mai. Stupido pezzo di intonaco, dello stupido pezzo di soffitto, di quello stupido ospedale che cadeva a pezzi. Erano già due mesi, ormai, che sperava in una scossa sismica; di crepare non se ne parlava, aveva gettato la spugna, ma almeno sperava in qualche nuova crepa o un buco sul soffitto che gli permettesse di vedere cosa ci fosse oltre. Magari qualche infermiera, passandoci sopra, gli avrebbe permesso di sbirciarle le mutandine. Purtroppo però, esattamente come tutto l'ospedale, anche la terra era noiosa. Magari sia l'ospedale che il pianeta si erano messi d'accordo per farlo morire di noia, magari per punirlo per quello che aveva fatto o che aveva cercato di fare.

Così le sue giornate scorrevano lente e inesorabili. Appena sveglio una infermiera veniva e gli puliva il culo. Dopo di lei un'altra portava latte e biscotti, ovviamente frullati e somministrati attraverso il naso. Qualche tempo dopo la colazione, l'infermiera della cacca mattutina veniva a controlla se il pannolone era pulito o meno e già che c'era cambiava la sacca della pipì. Poi aspettava il pranzo, anche quello frullato. Immaginava che dovesse far schifo, con tutti i sapori mischiati e indistinti, ma per fortuna la cannuccia del cibo non passava per la bocca e lui non ne sentiva il sapore. Dopo pranzo altra controllatina al pannolone. Poi veniva Sara. Sara, l'unico raggio di sole in quel mare di merda, piscio e noia, letteralmente un mare di merda, piscio e noia. Lei era una infermiera volontaria che, a quanto pareva, si era affezionata a lui, visto che lo andava a trovare tutti i giorni o quasi. Aveva appena 28 anni ed era una donna sola; i sui genitori erano ormai morti, era figlia unica e di un marito nemmeno l'ombra. Gli faceva compagnia per tutto il pomeriggio, raccontandogli storie, piccole esperienze quotidiane, gli leggeva qualche libro o guardava con lui un film. O meglio, glielo raccontava, visto che Stefano non poteva guardare in altre direzioni se non in quella del soffitto. Davvero, Sara era l'unico raggio di sole nella sua, ormai inutile, esistenza. Lei rappresentava per lui l'unico contatto umano da mesi, e l'unico contatto con il mondo esterno. Il mondo esterno, dal canto suo, stava andando allo scatafascio, la situazione in medio oriente era critica e le nazioni sembravano sull'orlo di una terza guerra mondiale o almeno sull'orlo di una seconda guerra fredda. Ma tanto a Stefano queste cose non importavano più, se avessero chiesto a lui avrebbe risposto che avrebbe premuto egli stesso il pulsante per lanciare il primo missile. Beh sì, sarebbe stato difficile così ingessato, ma con un po' di aiuto l'avrebbe fatto.

Sara era molto carina, aveva i capelli scuri e leggermente mossi, un naso che avrebbe fatto invidia al becco di un'aquila reale e delle labbra sottilissime. Il seno era prosperoso e l'incavo tra le tette sembrava tra i più accoglienti che avesse mai visto. Non sapeva come fosse il suo sedere però, ma se lo immaginava molto bello, uno di quelli che vedi sulle copertine di Playboy. Sì, quelle che da piccoli si trovavano nei cassetti dei propri padri e che di tanto in tanto cambiavano posto per restare nascosti agli occhi delle mogli. Era molto carina Sara. Sì, proprio molto. Se non fosse stato completamente ingessato dalla vita in su si sarebbe toccato tutte le notti. Oddio, quanto gli mancava fare l'amore. Lo sapeva perché ogni tanto sentiva il pene sbattere e premere dolorosamente contro il gesso. Ora, in quella condizione, il suicidio non gli sembrava più una opzione tanto allettante, con il senno di poi si sarebbe spaccato il cranio con le proprie mani, piuttosto che buttarsi da quel balcone. Stupida Mercedes, non ci parcheggiavano mai là sotto, perché proprio quel giorno? Stupido lui, poteva controllare e invece non lo aveva fatto e quello era stato il risultato.

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