CAPITOLO 1 - Non è reale

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I tiepidi raggi del sole nascente accarezzavano le sagome scure di quello che restava degli imponenti grattacieli della città che, in un tempo lontano, prima della grande guerra, era stata tra le più influenti del mondo. Niente era stato risparmiato dalla follia umana, nemmeno i suoi meravigliosi canali che, nei suoi anni d'oro, la rendevano simile a una moderna Venezia, dove però allo sfarzo di antichi palazzi era stata preferita l'imponenza di moderni grattacieli.
Una sorte simile era toccata anche al lago Michigan, che per chilometri era stato coperto di terra e la palude che si formò era l'unica traccia che ricordava ai nuovi abitanti che un tempo c'era un lago talmente grande da sembrare un mare, ma dubito che essi sappiano che cosa sia il mare.
Gli abitanti dello spettro della Chicago che noi tutti conosciamo e amiamo, hanno vissuto per generazioni rinchiusi all'interno di una enorme recinzione convinti che fosse stata costruita per la loro sicurezza, per tenere fuori dalla loro città gli orrori di un mondo sconvolto dalla guerra. Erano ignari che quelle alte mura di cemento e acciaio in realtà non furono innalzate per non lasciar entrare, bensì per non lasciare uscire.
Da quando furono create le fazioni, in pochi si avventurarono fuori dalla recinzione, spingendosi molto oltre i campi dei Pacifici, ma nessuno pare abbia mai fatto ritorno e i pochi che ci riuscirono sembravano in qualche modo cambiati.
All'interno della recinzione le persone vivevano divise in cinque gruppi chiamati fazioni. Le fazioni furono create per mantenere l'ordine, la pace e l'armonia, ma purtroppo un tale equilibrio non fa parte della natura umana. Il loro motto era "la fazione prima del sangue" affermazione assurda più che utopica: niente è mai stato e, mai sarà, più forte dell'inscindibile legame di sangue.
La fazione degli Eruditi era una grande sostenitrice di questo motto; i suoi membri perseguivano logica e conoscenza, ma ben pochi di loro conoscevano la saggezza. Il più grande difetto degli Eruditi era la totale mancanza di umiltà, difficile averla quando si crede di essere i migliori, i più intelligenti.
La fazione degli Abneganti conosceva l'umiltà, grazie allo stile di vita semplice e altruista dei loro membri, che dedicavano la loro esistenza agli altri, aiutando anche chi non faceva parte di nessuna fazione: gli Esclusi. Essendo al servizio degli altri fu deciso di affidare loro il governo.
Dare il potere a chi non lo bramava era stata, senza ombra di dubbio, un'idea ottima ma il potere è il più grande seduttore, anche il più puro di cuore prima o poi cederà alle sue lusinghe e lascerà che la sua anima venga divorata e corrotta.
Il potere sarebbe in grado di contaminare anche l'onestà dei Candidi e la gentilezza dei Pacifici, sarebbe ancora peggio se finisse nelle mani degli Intrepidi, conosciuti per il loro coraggio che spesso oltrepassa il confine dell'incoscienza. La fazione degli Intrepidi era incaricata di mantenere l'ordine, un piccolo esercito al quale manca però l'intelligenza per elaborare strategie di attacco e di difesa.
Fu così che la pace e l'armonia andarono perdute, lasciando questa Chicago, già ferita a morte, sull'orlo di una rivolta. Gli Eruditi, divorati dalla sete di potere, usarono gli Intrepidi per mettere in atto un colpo di stato. La loro intelligenza e l'addestramento degli Intrepidi contro gli inermi Abneganti.
Eppure, nel silenzio della tiepida mattina d'estate e nella pace delle vie deserte, sembrava ancora di essere al tempo in cui pace e tranquillità regnavano sulle cinque fazioni.
Osservando il mondo esterno, dalla cima della recinzione, non si vedevano altro che prati ingialliti dal sole estivo, che si estendevano a perdita d'occhio.
In uno di essi, poco distante dalla base della recinzione, c'era una giovane donna bionda. Indossava abiti neri da Intrepida che quasi stonavano con la sua corporatura minuta e i lineamenti delicati del suo viso. Era stesa sull'erba e sopra di lei volava minaccioso uno stormo di corvi.
Improvvisamente, come nei peggiori incubi, nuvole scure inghiottirono il pallido sole del mattino e gocce di pioggia accarezzarono il viso della giovane Intrepida facendola destare dal suo sonno.
Si alzò di scatto e osservò i corvi che, in una lenta spirale, si stavano avvicinando a lei. Come richiamato dal suo sguardo, lo stormo piombò sopra di lei con una rapidità innaturale. La giovane iniziò a correre verso una baracca nel centro del prato, cercando di proteggersi il viso dai becchi aguzzi dei corvi, ma erano troppi, sembravano moltiplicarsi ad ogni passo che faceva.
A pochi metri dalla salvezza, apparvero davanti a lei alte ed eteree fiamme di un innaturale blu cobalto che, come attratte dal candore del suo viso, avanzavano lentamente verso di lei in un'insolita danza convulsa.
La giovane osservò il muro di fuoco e per un attimo pensò che se ci fosse saltata dentro tutto sarebbe finito. Fece qualche passo avanti, allungò una mano e sfiorò una fiamma con la punta delle dita. Come era accaduto per i corvi, il suo gesto scatenò l'ira del fuoco che scattò verso di lei inghiottendo e incenerendo i corvi.
La giovane Intrepida riprese a correre nell'unica direzione che il fuoco le concedeva: verso la recinzione. Un vicolo cieco, presto anche lei sarebbe stata incenerita all'istante.
Nella sua mente si fece di nuovo spazio il desiderio di farla finita, di abbandonarsi alle fiamme e porre fine alla sua sofferenza. Si lasciò cadere sulle ginocchia e chiuse gli occhi in attesa della fine.
Le fiamme formarono un cerchio intorno alla giovane donna e il denso acre fumo invase la sua gola.
Sentì la sua testa cominciare a girare e questo fu un sollievo per lei, forse non sarebbe morta bruciata, forse per lei la morte sarebbe arrivata più dolcemente se fosse stata priva di coscienza mentre il fuoco divorava la sua carne.
Sentì il suo corpo diventare leggero, come se la gravità avesse cessato di esistere in quel piccolo cerchio di fuoco. Decise di lasciarsi andare e crollò su un fianco.
Nel buio e nel silenzio della sua mente, esausta e rassegnata, sentì una voce chiamare il suo nome.
«Tris... Tris... Tris, apri gli occhi, svegliati!»
La giovane riaprì gli occhi e davanti a lei non c'era più il muro di fiamme, non c'erano più neanche il prato e il cielo, non c'era più nulla, solo buio.
Lentamente si alzò e cominciò a camminare con le braccia tese davanti a sé, alla ricerca di qualcosa che l'aiutasse a capire dove si trovava. Dopo qualche passo i palmi delle sue mani toccarono una superficie liscia e fredda. Lentamente si spostò di lato seguendo quella strana parete, ma dopo solo un passo la sua spalla andò a sbattere contro un'altra parete.
«No!» disse con un filo di voce mentre iniziò a singhiozzare.
Sapeva bene dove si trovava e quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Sopra di lei un grosso faro si accese e Tris riconobbe quello che aveva tanto sperato di non rivedere mai più.
Era all'interno di una scatola di uno spesso vetro trasparente, sopra la sua testa una pesante lastra, sempre di vetro,  chiudeva la sua unica via di fuga. Ai suoi piedi un grosso tubo iniziò a riversare acqua gelida in quella che stava per trasformarsi in una grande bara di cristallo.
Tris sapeva esattamente cosa doveva fare per avere una possibilità di salvezza.
Si tolse velocemente la giacca e si immerse nell'acqua gelida, che ormai le arrivava sopra le ginocchia e cercò di fermare il flusso dell'acqua usando la giacca per tappare il tubo, ma appena la spinse contro l'apertura si ritrovò a stringere tra le mani del fango.
"Non doveva andare così" pensò, allungandosi verso l'alto, alla ricerca d'aria.
Ormai si stava rassegnando, sapeva che qualsiasi cosa lei facesse non sarebbe servita a salvarla. Sapeva che se avesse continuato a lottare, non sarebbe morta affogata, ma si sarebbe ritrovata in un nuovo orrore. Perché è così che vanno le cose all'inferno: ci si libera da un tormento per passare a quello successivo.
Erano sempre andate così le cose per lei, ma ora Tris era stanca di tutto quel orrore e di quella sofferenza, pensava che se avesse deciso di voler morire forse tutto sarebbe finito. Si lasciò andare, si abbandonò al freddo abbraccio dell'acqua mentre lacrime calde le scivolavano lungo le guance.
Ormai sommersa, guardò la sua immagine riflessa nella lastra di vetro, ma quella che vide non fu la sua immagine. Davanti a lei c'era un'evanescente ed esile donna con lunghi capelli bianchi e occhi così chiari da sembrare di ghiaccio. Indossava un lungo abito bianco e sembrava fluttuare nel nulla.
La donna la guardò e le sorrise dolcemente appoggiando le sue mani contro la lastra di vetro. Tris allungò le braccia e cercò di afferrare le mani della donna. Appena i palmi delle sue mani sfiorarono il vetro si sentì invadere da un calore buono e nella sua mente vide lentamente scorre delle immagini. Erano i ricordi della sua vita passata. La sua infanzia, la cerimonia della scelta, l'iniziazione negli Intrepidi, l'attacco agli Abneganti, la fuga dalla città, la grande casa di legno dei Pacifici e il quartier generale dei Candidi dove gli Intrepidi traditori l'attaccarono di sorpresa.
I ricordi si interruppero bruscamente. Tris capì che in qualche modo la sua mente e quella della diafana donna erano collegate ed era stata lei a far cessare il flusso dei ricordi.
«Perché?» chiese alla donna sperando che davvero potesse sentire i suoi pensieri.
«Perché non c'è altro da vedere» le rispose la donna sorridendole con una dolcezza che la fece sentire per un attimo protetta e al sicuro.
«Non è vero, so che c'è altro!» esclamò, ma quando cercò di pensare ai ricordi successivi non ci riuscì, la sua mente era completamente vuota.
«Tris, sai bene che ci sono cose che non sono reali.»
La donna riattivò il flusso dei ricordi e le fece rivivere attimi del secondo modulo dell'iniziazione degli Intrepidi e, subito dopo, l'attacco al quartier generale dei Candidi.
Nella mente di Tris sembrava tutto reale. Le vetrate che andavano in frantumi, i frammenti di vetro che la ferivano, l'odore del gas, la gente che cadeva a terra, la sensazione di sentirsi mancare e l'oscurità che la avvolgeva lentamente.
Tris guardò incredula la donna.
«Sapevano già chi dovevano prendere, i Divergenti non sono immuni a tutto e...»
La donna interruppe bruscamente il loro contatto mentale e si guardò intorno spaventata.
Picchiettò con un dito sulla lastra di vetro che le separava e le disse: «Tris, non è reale, ricordi?» le sorrise ma prima di svanire aggiunse: «Svegliati!»
«Non è reale» ripeté più volte Tris e si accorse che l'acqua non le feriva i polmoni, era inconsistente, non era reale.
Tris guardò la lastra di vetro, picchiettò tre volte con la punta delle dita e vide formarsi piccole crepe. Sembravano tanti piccoli capillari che si allontanavano velocemente dalle vene principali per poi terminare la loro corsa sui bordi della bara di vetro. Per un attimo non accade nulla, ma poi il vetro si dissolse e con esso anche la stanza e il faro, fu come se tutto avesse cessato di esistere.
L'oscurità e il silenzio l'avvolsero di nuovo.


















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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 12, 2018 ⏰

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