Di echi e torte lasciate a metà

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Una casa vuota lascia sempre un eco. Se si sposta il vento, per quella finestra che lasciamo sempre socchiusa, lo senti, e sono le nostre voci sommesse a chiamarci dolcemente, quando facciamo l'amore.
Una casa vuota resta piena di tutto ciò che ci nascondiamo dentro. Ci siamo noi, i nostri fantasmi travestiti da ricordi, quando siamo lontani. Una casa vuota è come la pellicola di un film che parla dei nostri segreti: un nastro consumato, con tutte le nostre parole taciute l'uno all'altro. Un film probabilmente fuori dalla portata di tutti, perché dentro questa casa siamo noi stessi e a noi è sempre piaciuto fare l'amore.
Nella nostra casa c'è un frigorifero quasi sempre vuoto, ma ora c'è quel pezzo di torta che ho portato dalla festa di un mio amico, un po' di birra e qualche schifezza che tanto detesti. Tu la riempirai di roba bio e sana, ma giuro che stavolta non ti prenderò in giro. Ho solo tanta voglia di averti di nuovo qui, dove ci basta essere noi e dove non dobbiamo essere nessun altro. Soprattutto io. Ho messo anche la felpa che ti piace tanto. A me piace perché mi ricorda i tuoi occhi: oh, cosa sarei disposto a fare, a causa dei tuoi occhi.
Sentire i nostri odori per questa casa, percepire quel che sono i nostri ricordi, in ogni angolo di queste pareti mi fa solo venire una gran voglia di averti. Nostalgia, anche se stai per arrivare. Ma quando arrivi? Ti aspetto sul divano, la malinconia è un brutto affare. La torta è in frigo: ho già un'idea su come fartela assaggiare. Se mi addormento non significa che non ti sto aspettando, ma semplicemente che preferisco sognarti nell'attesa.

La porta si chiude e con i tuoi passi lunghi sei già in cucina a riempire il frigo, inserendo tutti i tuoi alimenti sani, tra cui la macedonia di frutta che detesto. Ti detesto quando cerchi di ingozzarmi di roba buona, perché io, con te e col cibo, amo soltanto una cosa: le schifezze. Come quella torta che noti e che con un mezzo sorriso smaliziato prendi, lasciandola fuori dal frigo. Forse mi leggi nel pensiero e sai cosa voglio farci, o forse anche a te stuzzica l'idea delle mie stesse porcate. Arrivi sul divano e mi trovi mezzo assopito, lasci il piatto e ti prendi qualche secondo per ammirarmi, così silenzioso e calmo. Mi lasceresti dormire pensandomi stanco se non sapessi che non te la perdonerei mai un'altra notte senza averti. Acciuffi la punta del mio piede, carezzando la pianta con un pollice e le tue dita gelide mi svegliano. Quando ti metto a fuoco "ciao" biascico e ti sorrido con gli occhi socchiusi; già non sono più quel me stesso che tutti conoscono e che conosco anche io, ma non tu, e sono al tuo collo per come mi conosci, pronto a stringerti e a portarti in questa isola di beatitudine assieme a me. Mi sei mancato. Ti sono mancato. La tua pelle ha cercato la mia tra le lenzuola di seta di chissà quanti alberghi. E io ho cercato il tuo profumo in chissà quante città, ma ora siamo di nuovo qui. Lontano da tutti, vicini a noi. Tra pelle e odore. Noi. E gli echi tornano a non distinguersi più attorno a questo divano.

Con i nostri corpi così diversi, trovare una forma non è stato facile. "Sei dimagrito troppo" mi hai detto quando avevo perduto tutti quei chili. Mi hai messo all'ingrasso solo per tornare a sentirti comodo, schiacciato contro il mio petto. Tu sei sempre stato scomodo per me, con le tue gambe lunghe e il tuo addome immenso, difficile da stringere tutto. Tu, che vuoi sempre essere un little spoon. Ma la scomodità tra le tue braccia mi è sempre sembrata un lusso a cui difficilmente avrei potuto rinunciare. E le tue labbra, sono farinose come una mela e risucchiano le mie, così sottili. Siamo così complementari, come le tue affusolate mani nelle mie, che sono piccole e consumate dal nervosismo e l'abitudine di mangiarle tutte; ma tu le baci sempre, dopo aver fatto l'amore. Come fossero il piccolo e prezioso diamante di un inestimabile tesoro. "Sei il mio tutto" mi sussurri. "Per questo non ho niente quando non sono con te" e io non posso far altro che sentirmi coccolato e amato come non merito. Perché io tutte queste stucchevolezze, Harry, non so dirtele. Te le ho scritte e cantate, ma lì mi nascondo dietro una voce, che infatti trema quando si tratta di te, e dirti perché ti amo, guardandoti negli occhi, oh no, non sarei capace. Per i tuoi occhi, però, proverei.
Le nostre pance brontolano. Non abbiamo fame solo di noi, e ridiamo per questo. Ti allunghi verso il piccolo tavolino e solo in quel momento mi rendo conto della torta. Ho voglia di far l'amore, non di mangiare. Anche se è la torta millefoglie per cui vado ghiotto. Quindi mugugno e mi lanci un'occhiataccia. Sei minaccioso quanto un orsacchiotto di peluche, lì, accoccolato tra le mie gambe e poggiato sul mio addome. Ma sono in trappola, quindi non posso fare nulla di ciò che voglio, e facciamo ciò che vuoi tu. Ti vedo prendere un po' di panna con l'indice e assaggiarla. È così erotico vedere semplicemente un tuo dito avviluppato in quelle labbra che indurisco i glutei e trattengo un fremito di eccitazione. Mi distraggo con quell'idea che vedo balenarti in testa e passare per quegli occhi che ti si illuminano. Voglia maliziosa. La vedo. Mi piace. E quel dito carezza un labbro e vorrei essere io, a toccarti.
Ti alzi mettendo la torta dov'era. Accendi i riscaldamenti e inizi a spogliarti lanciandomi uno sguardo che, senza parole, dovrebbe incitarmi a fare lo stesso. E così salto sul posto come una molla, perché denudarsi significa fare ciò che non faccio altro che desiderare da mesi. Ti avvicini e i pantaloni non li hai più e stai sfilando quella tua ridicola camicia, lasciandomi modo di ammirare quel morbido corpo tatuato, che è più mio di quanto possa essere tuo.
Io, per conto mio, sono già in mutande. Come mi riduci, Harry?

Ti insinui famelico come un gatto tra le mie cosce, guardandomi sghembo, pregustando un antipasto di me con i tuoi occhi vispi.

Ti guardo mordendomi un labbro e poi, capriccioso come un bimbo che non sa aspettare, ti afferro per la nuca e ti spingo verso di me. Voglio farti perdere in me, come mi capita quando ti guardo. Perché solo con tutto me stesso posso riuscirci, io invece solo con uno sguardo.
Ti mordo la bocca come un bastardo e mi stringi come se volessi ringraziarmi. Le tue labbra sanno di latte.
Rotoliamo su questo divano, ridiamo quando come due masochisti non facciamo altro che far lievitare le nostre eccitazioni, sfregando i nostri corpi nel peggior petting della nostra vita. Perché ci riduciamo così male, quando possiamo averci, finalmente? Passo mesi a toccarmi pensandoti, come se per settimane non facessi altro che preliminari. Perché devo subirli anche quando sei nella mia bocca? Ah, già, perché amiamo farlo. Quanto detesto questi atroci paradossi.
Mugugno quando l'insofferenza è troppa e te ne rendi conto perché fermi le mie mani, intrecciando le nostre dita, sopra le nostre teste. E ti muovi in quel modo in cui le nostre gambe non possono fare a meno di allacciarsi per sentirsi di più.
Mi farei prendere all'instante perché ci sono giorni in cui più che volerti mio, voglio che io sia tuo ma poi ti qualifichi come il vero bastardo tra noi due e ti fermi. Io sto già pensando alla tua bocca sul mio sesso, alle mie labbra nei tuoi glutei. A te, dentro di me. E tu ti arresti.
Mi lamento con voce sommessa mentre strusciandoti su di me ti allunghi verso il pezzo di torta... e giuro che la sto odiando così tanto da pentirmi quasi di averla portata. Assisto di nuovo alla visione della panna sul tuo dito e poi nella tua bocca e non resisto più. Faccio la medesima cosa. La panna è buona. Ripeto, sotto il tuo sguardo ammaliato e al tuo corpo arreso all'evidenza di quanto ti piaccia quando io tento a mali estremi di attirare la tua attenzione. Lascio un po' di panna su due dita e mi avvicino al tuo viso, le insinuo e mi lasci fare, inerme. Sei sotto il mio comando ma io voglio solo toccarti e così finisco per spalmarti la panna sulle labbra e concludo col farmi avviluppare le dita dalla tua bocca. Succhi ed entrambi ci pensiamo, ma non agiamo. Percepisco la tua lingua, ghiotta, ed entrambi impazziamo.
Faremmo di tutto, in quel momento, anche finire quella torta o continueremmo come masochisti con quei fottuti preliminari... se solo non ne avessimo abbastanza. La torta e il piatto cadono a terra quando di slancio ti alzi mettendoti in ginocchio. Mi fai girare a pancia in giù, aiutandomi con famelica irruenza.

"Ti voglio" Mi farei baciare il culo e accoglierei il tuo sesso nella mia bocca se solo avessi la pazienza. Abbiamo tempo, ma abbiamo atteso e giocato fin troppo.

"Prendimi, cazzo!" diciamo le solite porcate che fuoriescono in questi momenti senza condizione di causa (perché con un minimo di razionalità, risparmieremmo fiato per andare dritto al sodo). E parliamo scoprendo come anche le parole hanno la forza erotica di farti eccitare più di quanto già non sei.

Ti sento prepararti, poi scacciarti sulla mia schiena e infine, finalmente, insinuarti in me, spingerti dentro di me, strisciare su di me alimentando una fame dentro che si anima come un uragano col vento. "Oh Louis" gemi, strofinandoti addosso. Schiacciato così sul divano è una sofferenza, il dolore bruciante lo è, anche, ma averti finalmente dentro di me, ah, mi arresta quella guerra che ho dentro quando non ci sei e che mi fa tornare in pace con me stesso. Perché ci sei. Ti sento. E il tempo si arresta. 

Ci siamo solo noi, che creiamo echi nuovi per questa casa quasi sempre vuota.

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