L'aeroporto di Londra quella mattina di inizio aprile non era mai stato tanto affollato. A fatica era riuscito a trovare l'uscita dell'enorme struttura, che nonostante lo accogliesse all'incirca dieci volte l'anno, si mostrava ogni volta sempre più distante, più grigia e più triste che mai. Quell'odore di sudore, stanchezza e anche apatia non lo abbandonarono neanche quando salì sul taxi, diretto nel suo appartamento a Londra. Louis Tomlinson, giornalista ben noto del Times aveva appena fatto ritorno da una delle sue tante spedizioni, che lui accettava di fare solo perché così racchettava qualche spicciolo in più, che di certo non guastava mai. Però, quella volta, era stato così stancante, che Louis finì per addormentarsi nel sedile posteriore della macchina nera, la quale viaggiava spensierata tra le strade illuminate di Oxford Street.
Gli occhi appesantiti, la testa che gli vorticava manco fosse un tornado. Non vedeva l'ora di togliersi di dosso quell'orribile completo, che sì, gli faceva un bel culo, ma era così stretto che, oltre a sentirsi soffocare, ad ogni passo che faceva aveva come il terrore di sentire il famelico track e, quindi, entrare nell'ennesima situazione imbarazzante. Quanto mai non si era messo la sua fedelissima tuta firmata Adidas.
Il borsone sulle spalle, i piedi a strisciare per terra mentre con una mano cercava di aprire la porta di quella che era casa sua, e dall'interno poteva già sentire alcuni rumori che in quella settimana gli erano mancati terribilmente, anche se questo a Liam, il suo coinquilino, nonché collega di lavoro, non lo avrebbe mai ammesso. Finalmente quella maledetta porta si aprì, e neanche il tempo di mettere piede in casa che Liam gli si fiondò addosso, cominciando a strattonarlo come se fosse un peluche di pezza. Louis odiava gli abbracci. Li considerava il gesto più falso che una persona potesse mai fare. Ciò nonostante, l'idea di ritrarsi dalla presa di Liam non gli passò neanche per la testa. Aveva addosso un grembiule sporco di farina e cioccolato, il quale sporcò la giacca nera di Louis che, aimè, era tenuto a mettere durante i suoi viaggi. Non se ne fece un dramma, comunque.
«Louis, amico mio! Quanto mi sei mancato!» furono queste le prime parole che Liam pronunciò, la voce un po' più bassa del solito, dopo aver preso le distanze da Louis, il quale lo ringraziò mentalmente. Il sole era già calato da un pezzo, e riuscì a leggere nell'orologio della cucina che erano quasi le 10 di sera.
«Anche tu, Payno» gli rispose Louis sorridendogli, per poi poggiare il borsone sul bracciale del divano. Era dannatamente stanco, e grazie al cielo la loquacità di Liam, quella sera, gli diede tregua. Oltretutto, quella sera il suo migliore amico aveva una pessima cera. Gli occhi erano leggermente più lucidi del solito, il naso era arrossato e aveva le guance colorate di un rosso fuoco. Louis non gli diede tanto peso, comunque.
Dopo essersi scambiati veloci frasi del tipo "Com'era l'Italia?", "Hai assaggiato la pizza?", "Allora è vero che gli italiani sono i ragazzi più fighi del mondo?" alle quali Louis si era dato la pena di rispondere, lo liquidò dirigendosi nella sua stanza, meglio ancora, sotto la doccia.
Era partito per l'Italia la settimana prima, dovendo fare un servizio giornalistico sull'arte e la moda di quel paese, non che a Louis importava qualcosa. Però alla fine gli era piaciuto assistere a sfilate di moda, partecipare a conferenze stampa e intervistare i più grandi esponenti italiani in questo campo. Il giornalismo, dopotutto, era la sua più grande passione. Fin da piccolo, aveva sempre sognato di lavorare per il Times, quel giornale che sua madre comprava sempre quand'era bambino, quelle pagine stampate che erano state il suo primo approccio con il mondo della scrittura e della lettura, ciò che alla fine aveva scaturito in lui la vera e propria passione per la letteratura giornalistica. Ed era bravo, nel suo lavoro. Alla sede del Times era ben visto da tutti, soprattutto dal suo capo, il signor Murdoch, il quale aveva instaurato una sorta di fiducia con Louis che gli permise di arrivare così in alto. Era stato in Austria, Grecia, Spagna, e adesso pure in Italia. Gli piaceva viaggiare, in ogni caso, però aveva deciso di smetterla. Quello in Italia sarebbe stato il suo ultimo viaggio, non per questioni personali, bensì per ulteriori interessi. Non gli sembrava giusto che un ragazzo abile nel campo editoriale come lui dovesse fare tutti questi scoop che sì, erano molto utili all'azienda, ma che comunque poteva fare benissimo chiunque. Louis voleva un posto più alto, e non era orgoglioso, bensì realista e ambizioso. Sapeva di meritare di più che un semplice posto come giornalista. Ci stava pensando proprio mentre si faceva lo shampoo, in quella giornata d'aprile, che quel fottuto aeroporto non voleva più vederlo. O meglio, non per lavoro. Amava viaggiare, visitare nuovi posti e nuove culture, e in un certo senso il suo lavoro sembrava soddisfare questo suo desiderio. Però non era proprio del tutto così, visto che Louis non aveva visto proprio niente dei paesi in cui era stato. Le regole erano semplici: partecipava a conferenze stampa, intervistava i maggiori esponenti, si mostrava gentile e ben disposto, in modo da far fare bella figura alla compagnia, e poi tornava a Londra con un perfetto resoconto tra le mani e un ottimo articolo da poter pubblicare per poter soddisfare le richieste di alcuni lettori. Erano ormai sei anni che faceva questo lavoro, voleva semplicemente cambiare. Chiedeva tanto?
Dopo aver terminato la sua lunghissima doccia –che era solito fare dopo uno dei suoi viaggi-, decise che non aveva sonno. Si infilò velocemente un paio di pantaloni della sua tuta preferita, quelli che lo facevano stare bene, e fece il suo ritorno in salotto, dove beccò un Liam intento a soffiarsi il naso. No, non aveva per niente una bella cera. Prima di sedersi accanto a lui sul divano a guardare quello che sembrava Toy Story 3 –davvero, quel ragazzo non sarebbe mai cambiato-, si diresse in cucina e si versò un po' di tea fumante nella sua tazza di ceramica, quella con sopra stampate delle graziose pecorelle rosa e blu. Sì, l'Italia poteva anche avere la pizza, ma lui non avrebbe mai rinunciato al suo tea targato Twinings. Fece il giro del tavolo, entrando in salotto dove Liam ora si era sdraiato, occupando il suo posto con le gambe lunghe e muscolose che si ritrovava. Louis sbuffò e, senza troppe cerimonie, gli si sedette sopra, ignorando i lamenti dell'amico.
«Mi era mancata la tua finezza» disse Liam, il naso era chiaramente tappato, visto il suono che uscì dalle sue labbra.
Louis storse il naso, prendendo un sorso di tea e «Qualcuno qui ha l'influenza. Dove ti ha portato Niall in questi giorni?» chiese lanciandogli una pacca amichevole sulla coscia destra. Non poté fare a meno di immaginarsi lui e il biondo fare baldoria in quel piccolo appartamento, che si ritrovavano a dover condividere, durante la sua assenza. In effetti, era molto strano che Niall non fosse lì, quella sera. Poi Louis si ricordò che era lunedì, e il lunedì era la giornata studio intensivo con Eleanor. Gli era mancata Eleanor, dopotutto era la sua migliore amica. Sapeva però che in quel periodo aveva molti esami da superare all'università, quindi evitò di chiedere a Liam di quei due.
Questo fece una smorfia in risposta all'affermazione sarcastica di Louis, muovendosi sotto il suo mitico sedere, e per poco non gli fece cadere la tazza –se solo l'avesse fatto, Louis lo avrebbe odiato a morte perché quella era la sua tazza-. Si mise seduto e fece per ribattere, ma uno starnuto lo colse alla sprovvista, facendolo chinare in avanti mentre un suono assordante perforò le orecchie di Louis. Questo gli passò un fazzoletto, forse anche troppo divertito, mentre Liam scuoteva la testa e «Non sono malato» sussurrò, la voce nasale tipica di chi si è preso un terribile raffreddore.
Louis scosse la testa, poggiando la sua tazza sul tavolo di legno davanti a loro, che in quel momento era cosparso di fazzolettini usati. Disgustoso. «Sì che lo sei» gli disse dopo un po' allontanandosi da lui con un balzo. L'ultima cosa che voleva era proprio ammalarsi.
«Non posso essermi ammalato, fra tre giorni devo...» disse sbuffando, prima che l'ennesimo starnuto gli impedisse di concludere la frase. Tossì con potenza e «credo di essermi slogato la gola, Lou» sbiascicò quasi in panico, portandosi le mani al collo per il dolore.
Sì, era decisamente malato. Ed era strano, comunque. Vivevano nello stesso appartamento da circa tre anni, e se la memoria di Louis non inganna, quella era la prima volta che vedeva Liam malato. Era sempre stato un ragazzo pulito, salutare, con un alto sistema immunitario. In ogni caso, Louis mise da parte la sua stanchezza post viaggio, e si prese cura di lui, proprio come faceva con le sue sorelline minori, quando ancora viveva con loro. Erano mesi che non le vedeva, gli mancavano così tanto.
Dopo aver portato Liam a letto –contro la sua volontà-, dopo averlo ricoperto di coperte e maglioni di lana pesanti e dopo avergli preparato una tazza di tea con appresso due aspirine, rimase con l'amico aspettando che si addormentasse.
«Grazie» sussurrò Liam quando finalmente Louis si fu seduto accanto a lui, il quale gli sorrise amichevolmente. Gli infilò il termometro tra le labbra, senza troppe cerimonie, ma a Liam non sembrò importare. «Avrei dovuto io riservarti questo tipo di trattamento, il viaggio dev'essere stato stancante».
«Non preoccuparti, Lì. Io sto bene, sei tu quello che ha bisogno di attenzioni ora» lo tranquillizzò Louis, cominciandosi a torturare una pellicina del pollice. Era un gesto che ormai gli usciva naturale, infatti era solito sfoggiare cerotti su cerotti alle dita, a causa di questa sua pessima abitudine. Sentiva lo sguardo di Liam puntato addosso, probabilmente sulle sue mani –odiava quando lo faceva-, mentre si apprestava a chiedergli la fatidica domanda. «Dove devi andare fra tre giorni?»
Liam sospirò e chiuse gli occhi, come se avesse dimenticato di fare una cosa di vitale importanza, e ora che se l'era ricordata era troppo tardi. «Murdoch mi ha chiesto se ero disposto a fare un servizio sul Festival del Coachella, in California. E io ho accettato» spiegò, mentre il viso di Louis prendeva le sembianze di una faccia stupefatta e orgogliosa. «Ma se sto male, credo che salterà tutto» si affrettò a dire quasi tristemente, mentre il suono incessante del termometro cominciava a diffondersi nella stanza.
Louis glielo ritirò dalle labbra, e con una smorfia lesse il numero lampeggiante nello schermo. «39 e mezzo» disse, seguito da un'imprecazione poco carina di Liam. «Forse ti passa prima della partenza. Liam, Coachella è una grossa opportunità, non puoi fartela scappare» ed era vero. Per quel che ne sapeva Louis, il festival era stato aperto nel 1999, ma non ebbe il successo sperato. Quell'anno si aspettavano grandi cose da questo ritrovo musicale e artistico, e fare un servizio del genere poteva assicurare un futuro promettente e ricco nel campo giornalistico. Liam era la persona adatta per andare là, Louis ne era consapevole. E, stranamente, non provava gelosia, o rimorso di aver detto a Murdoch che avrebbe rinunciato per sempre ai suoi viaggi. Era felice per lui, ecco. E sperava davvero che si sarebbe rimesso in tempo per la partenza.
Liam tossì, alzandosi leggermente dal materasso con la schiena, per poi ripiombarci sopra, mentre le sue labbra lasciavano un lamento sconnesso. Si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi. Rimasero così per un tempo troppo lungo da sopportare secondo la poca pazienza di Louis. Fu per questo che si alzò e si diresse in camera sua, sapendo già che, non appena avesse toccato il cuscino sarebbe caduto in un sonno profondo.
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L'immagine nitida di un concetto sfuocato
FanfictionHarry/Louis; Coachella!AU; side pairing: Liam/Niall; Conteggio tot: 75.6K; Louis, noto giornalista del Times, si ritrova a dover passare 13 ore di aereo diretto al Coachella Festival accanto a Harry Styles, un ragazzo che gli darà filo da torcere, e...