2002 - parte 1

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Oxford Street non si era ancora svegliata. Era a letto con i postumi di una sbronza e il trucco sfatto della sera prima. I negozi erano tutti chiusi. In giro c'erano un piccione che beccava un sacchetto di carta, un uomo con un secchio giallo pieno di acqua saponata e alcuni impiegati con gli auricolari. Erano le otto e mezzo di un venerdi mattina e faceva freddissimo. Il sole si era fermato a Soho.
Poi un corpo la urtò. La urtò con una forza tale che, per un attimo, si domandò se fosse andata a sbattere contro un muro. Nello stesso istante, si rese conto che il corpo che le era crollato addosso all'improvviso era la donna con il rossetto rosso e gli orecchini che, qualche secondo prima, camminava verso di lei, con un ticchettio di tacchi sul marciapiede. Barcollò all'indietro, assorbendo il peso, poi qualcuno urlò:《Ehi!》Lei sentì in bocca i capelli ispidi della donna e una fitta dolorosa nel fianco. A quel punto la donna gridò:《La mia borsa!》Tess da brava londinese, provò un tuffo al cuore e si concentrò - anche se aveva le braccia piene di poliestere nero e odore di lacca - sull'uomo piccolo e magro che si allontanava correndo per la strada, infilandosi poi in una via laterale. Lo tallonava, in un folle inseguimento, un altro uomo - piuttosto giovane, altezza media, con una giacca di pelle marrone - appena scomparso dalla visuale, ingoiato dalla stessa curva cieca. Quindi più niente: solo una strada quasi deserta, con pochi passanti che lanciavano veloci occhiate furtive nella loro direzione e distoglievano rapidi lo sguardo.
Rafforzò la stretta sulla donna, in una specie di abbraccio disperato. Questa emise un debole miagolio di sconforto e disse:《Mi ha preso la borsa》Tess, lasciandola andare, rispose:《Penso che qualcuno lo stesse inseguendo》Ma sapevano entrambe, lì in piedi di primo mattino in una strada poco illuminata del sudicio West End, che la borsa era perduta per sempre.《Sta bene?》chiese Tess.
La donna annuì. Ma aveva il rossetto scavato gli occhi, con le ciglia allungate dal mascara nero, pieni di lacrime. Aveva rughe sottili intorno alla bocca come se avesse (o avesse avuto in passato) il vizio di fumare.
《Devo chiamare la polizia?》
La donna scosse la testa.《Ce l'ho avuta solo per pochi minuti. Era un regalo. Era un regalo. Di compleanno.》
《Ha subito un terribile shock. Posso offrirle una tazza di tè?》
Ma la donna rispose:《No, stia tranquilla. Devo andare a lavorare. Sono già in ritardo.》
Tess provò un senso di disperazione come se fosse lei a essere stata spinta, umiliata e derubata.《Mi dispiace tanto.》
《Più che altro è il tempo che su perde. Bloccare tutte le carte di credito, rifare le chiavi, comprare nuovi trucchi. Vorrei che mi avesse chiesto direttamente i soldi. Glieli avrei dati. Tanto è il denaro che vogliono.》
《Penso che lei dovrebbe comunque denunciare il furto.》disse Tess. 《Nel caso quell'uomo riesca a raggiungerlo e a recuperare la borsa.》
La donna guardò in fondo ala strada quasi avesse la vaga speranza di vederli ancora: il rapinatore piccolo e magro e l'uomo con la giacca di pelle marrone. 《Non lo raggiungerà.》 disse in tono amareggiato. A meno che non sia il velocista L'Inford Christie.》
Il sole, raggirando il cemento, emerse da dietro gli edifici e cominciò a splendere sui vetri sporchi delle vetrine dei negozi. Oxford Street si stava svegliando.

Da qualche parte intorno a Wardour Street, George ammise la sconfitta. Rimase lì immobile, il cuore in gola, le orecchie tappate, i battiti a mille, a riempirsi i polmoni di enormi boccate d'aria. Provava una strana sensazione, un misto di vergogna, collera ed euforia. Si sentiva molto accaldato. Era da tanto che non correva così veloce, o così lontano. Rincorrere il ladro era stato un impulso istintivo, una reazione alla rabbia che gli era venuta vedendo la donna cadere, spintonata a terra.
Mentre aspettava che il battito tornasse normale, George si domandò se fosse il caso di tornare in Oxford Street per raccontare alla donna cos'era successo. "Mi dispiace. L'ho rincorso per un bel pezzo ma è riuscito a scappare. Si è nascosto dietro un furgone e l'ho perso di vista." Ma l'avrebbe trovata ancora là? Non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Di certo se n'era già andata.
Forse sarebbe dovuto restare sul luogo dello scippo. Poteva essere un testimone. "Alto circa un metro e sessantacinque, magrissimo, capelli scuri, quattordici anni, forse quindici, bianco, nessun segno particolare." Avrebbe potuto essere d'aiuto? "Sarebbe in grado di riconoscerlo, signore?" Per un breve istante di lucidità, George ne fu sicuro al cento per cento. Poi, velocemente, si rese conto che di certo non ci sarebbe riuscito.
Mentre se ne stava lì in piedi avvolto da un aroma di zuccheri vanigliato, caffè e latte caldo, che arrivava dal bar italiano alle sue spalle, George provò un senso di sconforto. Era qualcosa di familiare che calava su di lui, come un cappotto pesante, ogni volta che veniva strappato ai suoi pensieri (una colonna sonora continua) ed era costretto ad affrontare la realtà. Spesso gli succedeva in quel momento della giornata. Non era solo a causa dei rapinatori, o della violenza casuale di una città piena di stranieri. E nemmeno del caos sconcertante che lo seguiva dovunque lui andasse: chiavi perse, calze spaiate, latte scaduto, conti in rosso, carte di credito che non funzionavano e password dimenticate, una massa brulicante e sfuggente come scarafaggi in una cantina buia, che si riescono a vedere solo per un attimo raccapricciante quando si accende la luce.
No, era qualcosa di molto peggio. Era la crescente convinzione di essersi incasinato completamente la vita, di essere un fallito, di aver perso a un certo punto della strada il sentiero sbagliato - o la decisione sbagliata - e di trovarsi davanti a un muro, a un vicolo cieco. Era lo sconforto che lo sopraffaceva ogni volta che si trova nel bel mezzo di Soho e si rendeva conto che era il 2002, aveva finito l'Università da quasi cinque anni e stava facendo lo stesso lavoro provvisorio e di ripiego che faceva da quando se n'era andato via da Manchester: un lavoro che aveva accettato solo per pagare le bollette in attesa che la band decollasse.
La band, però, non era decollata. E il lavoro temporaneo d'un tratto sembrava molto permanente.
George rimase lì immobile, confuso. Ma qual era la soluzione? Suo padre diceva sempre:《Potevo scegliere tra la musica e medicina.》"Bene", pensò George, "io potevo scegliere tra la musica e la musica." Come aveva detto una volta il suo eroe Thelonious Monk: è quello che ho sempre voluto fare. Negli ultimi tempi le cose erano persino peggiorate. "Adesso", pensò George, "posso scegliere tra continuare o smettere. Smettere sembra una scelta allettante. Basta dare retta a tutti i pensieri che hai cercato di mettere a tacere: non sfonderò mai, c'è troppa competizione, non ha senso. Ma se non suono, non ha comunque senso. Che alternative mi restano allora?"
Intorno a lui passavano, acceleravano e frenavano le bici, i furgoni e i taxi di Soho.
Dopo un po', dato che quei pensieri non lo portavano da nessuna parte, George fece un bel respiro, piegò la testa da un alto e dall'altro per allentare la tensione del collo e andò al lavoro.
Arrivò presto al negozio. D'altra parte di solito non faceva di corsa metà strada da Oxford Circus. Rajesh scese per farlo entrare. Dentro c'era buio perché nessuno aveva ancora aperto le imposte di sicurezza.《Tutto bene?》chiese Rajesh e George annuì, anche se sentiva le gambe ancora un po' instabili, come elastici molli.《Chi c'è oggi?》chiese, e Rajesh rispose:《Freya, Vince e Carmel.》George, mentre appendere il cappotto, si sentì risollevato. Dopotutto la giornata non sarebbe andata tanto male. Freya si intendeva solo di violini, ma Vince suonava le tastiere come Art Tatum.
Accese la luce più vicina è d'un tratto tutte le chitarre appese alla parete in fondo brillarono d'oro come i piatti di una batteria.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 31, 2016 ⏰

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