Capitolo 1

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«Jane, alza quel tuo maledetto culo da quel letto di merda!» Urla mio padre, facendomi sobbalzare. Mi stropiccio gli occhi cercando di svegliarmi del tutto, ma le urla di mio padre tornano a farsi sentire.

«Jane, vieni subito giù o giuro che vengo io lì e ti rovino quel tuo bel faccino del cazzo!» Sbuffo pesantemente prima di alzarmi di scatto dal letto e correre al piano di sotto. Entro tremante in cucina e mi dirigo verso il frigo, ignorando la figura di mio padre decisamente ubriaca accasciata sul tavolo della cucina.

«Buongiorno papà.» Dico tranquilla, ormai abituata a questa routine quotidiana.

«Fottiti.» Ricevo come risposta, e scrollo le spalle come per sminuire la cosa.

Bè, ecco a voi mio padre: l’ennesimo scarto vivente di una scopata andata a male. Peccato che poi da quello scarto vivente ci sia nata io, ma questi son dettagli.

Prendo la tazza del latte e ne verso un po’ dentro, cominciando a sorseggiarlo lentamente. Improvvisamente mio padre si alza in piedi, e, barcollando un po’, si avvicina a me. Istintivamente faccio un passo indietro, incastrandomi tra il ripiano della cucina ed il corpo di mio padre.

«Perché diavolo la mattina non ti vuoi mai alzare?» Mi alita in faccia, e subito l’odore dell’alcool mi arriva fino al cervello. Faccio una smorfia disgustata.

«S-scusa, non lo farò più.» Dico balbettando, e il mio sguardo si sposta sulle sue mani chiuse a pugno. Chiudo gli occhi rassegnata.

«”Scusa, non lo farò più”» Ripete scimmiottandomi ed imitando il mio tono di voce, ed una lacrima comincia a scendere lungo la mia guancia.

E poi succede tutto in un attimo: il pugno di mio padre si sposta sulla mia guancia, seguito da un altro, ed un altro ancora, fino a che mi ritrovo a terra con il viso dolorante e l’orgoglio a pezzi. Lo vedo uscire dalla cucina senza un minimo di rimorso nel viso, la bottiglia di birra in mano e i vestiti sudici della sera prima addosso. Mi rialzo traballante e mi passo una mano sul volto: è rossa, è sporca del mio sangue. Trattengo l’ennesimo singhiozzo e corro in bagno a sciacquarmi la faccia. Lavo via il sangue e osservo il mio riflesso nello specchio: lividi, lividi ovunque. Osservo il mio labbro gonfio, il mio zigomo destro spaccato e il piccolo taglio appena sopra l’occhio sinistro. Il tutto circondato da una miriade di lividi, alcuni vecchi, altri appena usciti. Sospiro, coprendomi il volto dolorante con le mani.

Sono stanca, stanca di tutto. Sono stanca di andare a scuola con il volto coperto per paura che qualcuno noti i lividi, sono stanca di allontanare le persone per paura che mi facciano del male, sono stanca di essere sola, sono stanca di rimanere in silenzio senza poter urlare, sono stanca di immergere il mio corpo nel ghiaccio ogni sera per alleviare il dolore inflittomi dal mio stesso padre, sono stanca di rimanere sveglia ogni santa notte perché i miei pensieri mi impediscono di dormire. Sono stanca, di tutto. Sono stanca persino di essere stanca.

Sospiro per l’ennesima volta, prima di camminare lentamente verso la mia stanza, i piedi nudi a contatto con il pavimento freddo. Apro un’anta del mio armadio, e faccio scorrere lo sguardo fra i pochi vestiti che lo riempiono.

Prendo una felpa rossa con il cappuccio ed un jeans chiaro con le Vans nere.

Mi vesto facendo passare delicatamente gli indumenti sul mio corpo, evitando di premere sui lividi sparsi lungo di esso.

Mi pettino i capelli guardandomi un’ultima volta allo specchio, prima di tirare su il cappuccio e prendere al volo lo zaino poggiato sul letto.

Scendo frettolosamente le scale, e sto per aprire la porta d’ingresso quando una mano si poggia sul mio braccio, impedendomi di uscire fuori.

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